Le notizie che provengono dalla Grecia non ci parlano di un paese in salute, stretto fra la morsa della crisi economica e uno sviluppo che sembra aver dimenticato gli antichi fasti. Ma è innegabile affermare che la penisola ellenica sia stata la madre della civiltà occidentale moderna, e che se si parla di viticoltura, abbia avuto il merito di diffondere la cultura del vino, la cosiddetta “bevanda di Dioniso&”, nel resto dell’Europa. Ma oggi non vi voglio parlare di Asyrtiko, Retsina, Mavrodafni, giusto per fare qualche nome di vini greci che mi vengono in mente e che sinceramente non conoscono nemmeno molto bene, bensì di un personaggio che partito giovane da Salonicco ha poi trovato il suo habitat ideale in mezzo alle colline e ai vigneti di San Floriano del Collio. Evangelos Paraschos nato in Grecia, arriva poco più che ventenne in Italia per studiare all’università di Trieste con la speranza di diventare un bravo farmacista. Ma il suo cuore non viene rapito dalla scienza farmaceutica, bensì da Nadia, una bella ragazza di San Floriano del Collio che senza troppa fatica lo porta in cima all’altare strappandogli il SI eterno. La farmacia per Evangelos diventa solo un luogo dove rifornirsi in caso di virus influenzale, mentre nasce a poco a poco in lui una grande passione per la vigna ed il vino. Da un piccolo appezzamento di proprietà, inizia a produrre assieme al suocero piccoli quantitativi di vino che serviranno a rifornire il ristorante che terrà in gestione a Gorizia per molti anni. Inizialmente è quasi solo un hobby a margine dell’attività principale di ristorazione, ma la sua passione per il vino è sempre in crescita, e viene alimentata dalle frequentazioni che instaura con Stanko Radikon e Josko Gravner, autentici santoni della zona. Come lasciarsi quindi scappare l’occasione di comprare poco meno di 4 ettari di vigna messi in vendita da un produttore della zona?
Correva l’anno 1997 e per Evangelos era l’inizio di un nuovo percorso. Gli inizi sono in salita, mancava una vera cantina e si fa uso di locali di fortuna e metodi rudimentali per portare a termine tutto il ciclo produttivo. Il 1999 può essere considerato l’anno di inizio attività, con 10mila bottiglie che vengono messe in commercio. Lo stile produttivo inizialmente segue il filone tradizionale, ma il suo concetto di vino e le carismatiche influenze di Gravner e Radikon lo instradano verso un percorso che lo porterà sulla via delle macerazioni. Nel 2003 viene inaugurata la nuova cantina, arredata con botti grandi da 15 e 25 ettolitri e qualche tonneau e barrique. Sebbene i lavori della cantina fossero ancora da completare e rifinire, similari all’attuale Salerno-Reggio Calabria, la vendemmia viene interamente vinificata nei nuovi locali ed ha inizio anche la stagione delle macerazioni e dei lunghi affinamenti in botte. La sua filosofia segue i filoni del biologico e dei seguaci dei vini naturali, sebbene rimanga un produttore indipendente da partiti e schieramenti. In vigna massimo rispetto per la natura e per le uve che vengono vinificate sempre al massimo della loro qualità e maturazione. Trattamenti solo con zolfo e rame. Non vengono utilizzati concimi chimici e diserbanti. In cantina si seguono le antiche tradizioni. Vengono eseguite macerazioni sulle bucce, in botti grandi di rovere di Slavonia, con durate che variano a seconda della tipologia e dell’annata. Si utilizzano solo lieviti indigeni. Chiarifiche e filtrazioni non sono parole presenti nel vocabolario di Evangelos. La eventuale solforosa presente nei vini è quella autoprodotta dal processo fermentativo. Per verificare la salute del vino viene eseguita la prova di tenuta. Infatti, poco prima di essere imbottigliato, viene portato un bicchiere in un locale caldo e illuminato e in base alla reazioni del prodotto a questo ambiente non ottimale per il vino, si verifica se si rende necessaria l’aggiunta di pochi milligrammi (non più di 15) di solforosa o se è pronto per soddisfare autonomamente papille gustative degli appassionati degustatori.
Oggi in azienda lavora attivamente Alexis, primogenito e prezioso aiuto in vigna e in cantina, attento a rubare tutti i segreti del mestiere e in un futuro prossimo, a raccogliere l’eredità paterna. Dai circa 8 ettari di vigneto dislocati nei territori di San Floriano, Oslavia, Gradisciutta, Lucinico e Sant’Andrea si producono mediamente 25mila bottiglie che possono diventare 30mila nelle annate più fortunate. I deliziosi marchi etichettati Paraschos sono in grado di soddisfare i gusti dei palati più esigenti. Tutti i prodotti vengono macerati sulle bucce e dopo la svinatura rimangono per due anni a maturare in botti grandi di Slavonia. Fra i bianchi viene prodotto il Kaj, nome in memoria del vecchio Tocai, ora diventato Friulano, che però nella sua nomenclatura non ha ancora suscitato unanimi consensi. Nel territorio del Collio e specialmente in zona San Floriano/Oslavia non può naturalmente mancare la Ribolla Gialla, sempre capace in queste zone di regalare emozioni uniche. Altro vitigno non autoctono di fatto ma oramai legato in maniera indissolubile con il territorio friulano, è il Pinot Grigio, che macerato sulle bocce regala colori aranciati e profumi variegati. Lo Chardonnay e il Sauvignon hanno un destino legato alla stagionalità e al clima. Se l’annata li porta ad avere maturazioni differenti, andranno a formare produzioni monovitigno, altrimenti saranno protagonisti dell’uvaggio Ponka, nel quale a un 50% di Chardonnay verrà unito un mix di uve proveniente da vecchi viti, alcune delle quali con produzioni minime. (Sauvignon, Ribolla Gialla, Pinot Bianco, Malvasia, Picolit, Verduzzo). Quando si parla di vino rosso, in casa Paraschos si parla di Merlot. Viene vinificato in purezza e solo nelle annate migliori diventa protagonista dell’uvaggio Skala dove trova come preziosi alleati, una piccolissima percentuale (5%) di Refosco e Barbera. Un grande vino, con uve rigorosamente selezionate da viti di oltre 30 anni di età, macerazioni delle uve per 30 giorni in tini aperti e lunga maturazione di quattro anni in botti grandi.
Ma le entusiasmanti sorprese che già mi ha riservato Evangelos, non sono finite. Infatti da poco in cantina sono comparse 3 anfore da 300 litri e 2 da 180 litri provenienti dal Peloponneso con le quali nel 2009 è stato fatto un esperimento con la Malvasia, vinificata esclusivamente in anfora per 7 mesi sulle bucce. Il tentativo era quello di produrre dei vini macerati che non dessero colori eccessivamente intensi, come accade nei processi evolutivi sulle bucce che avvengono in legno, e che mantenessero comunque quelle caratteristiche di elevata qualità sensoriale. Esperimento che ha convinto e che è stato ripetuto nell’annata 2010, prolungando il tempo di macerazione a quasi un anno utilizzando uve di Malvasia, Pinot Grigio e Ribolla Gialla. Si tratta per adesso di sperimentazioni, ma il prossimo arrivo in cantina di altre 15 anfore sta a significare che è un progetto al quale Evangelos sembra dare molto credito, e ne ha ben ragione. Avendo avuto la fortuna di assaporare di persona il prodotto delle anfore, posso testimoniare che potrebbe ben presto regalare delle piacevoli sorprese. Ma queste sorprese forse è meglio rimandarle a un altro giorno. Sono arrivato in azienda nel primo pomeriggio accompagnato da Elio, antico dio sole della mitologia greca, e quando mi accingo ad andarmene mi ritrovo dinnanzi Diana, dea della luna. Accidenti si è fatto tardi e non me ne sono nemmeno accorto, ma si sa che Dioniso é un dio con cui si sta bene in compagnia e il tempo con lui vola sempre velocemente.
DIALOGANDO CON IL VIGNAIOLO
Come mai hai scelto il p, simbolo matematico più famoso in assoluto, per identificare la tua azienda? Quando ho iniziato questa attività era un periodo nel qualche in Friuli si usavano le parole ronco o borgo per le denominazioni aziendali. A me piaceva molto l’etichetta delle bottiglie di Keber con la K in evidenza, ma se avessi usato la P di Paraschos, la bottiglia sarebbe diventata una sorta di zona parcheggio. Allora pensando alle mie origini, mi è venuto naturale puntare sul pi-greco, un numero non del tutto definibile con i suoi infinitesimi, come non sono definibili i vini che variano a seconda delle annate e mutano le loro caratteristiche nel tempo.
Nel antico mondo greco il saper produrre vino di qualità era segno di cultura e civiltà: “Chi usa vino è civile, chi non ne usa è un barbaro”, dicevano i greci. Ti sei portato dietro qualcosa delle tue origini che poi hai trasferito nella tua filosofia produttiva e nel modo in cui produci i tuoi vini? Nella zona da cui provengo, non si produceva vino e quindi tutti i segreti li ho imparati una volta giunto in Italia. Una grande parte di merito la debbo riservare a personaggi come Gravner, Radikon, i fratelli Bensa de La Castellada, che mi hanno trasmesso il loro entusiasmo e le loro grandi conoscenze.
Hai messo al bando l’uso dei solfiti in cantina, sostanze che è scientificamente provato, sono tossiche e fanno male alla salute. L’ideale sarebbe quindi non usarli. Ma fra chi li usa, c’è chi ne fa un uso limitato e scrupoloso e chi magari ne abbonda. Non pensi che la dicitura attualmente obbligatoria in etichetta &” Contiene Solfiti&” sia quindi insufficiente e sarebbe più giusto integrarla con l’esatta quantità presente in bottiglia in modo da fare i dovuti distinguo caso per caso? La soluzione ideale e più corretta sarebbe quella di scrivere in etichetta l’esatto quantitativo di solforosa. La legge è stata fatta seguendo le logiche e gli interessi dell’industria del vino, molte volte meno rispettosa degli aspetti legati ai quantitativi di solforosa che finisce in bottiglia. Chi è attento e scrupoloso si vede costretto a scrivere in etichetta la stessa dicitura (contiene solfiti) di chi invece, pur restando nei ampi limiti concessi, ne fa un uso sostanzioso e alle volte spropositato.
Vinitaly rappresenta ancora il “diavolo” da cui tenersi a debita distanza o ci potrà essere in futuro un percorso comune dove i produttori che frequentano abitualmente VinoVinoVino e Vinnatur magari potranno ritagliarsi un proprio spazio esclusivo all’interno della fiera veronese? Secondo la mia modesta opinione, si dovrebbe trovare uno spazio all’interno della fiera veronese. Gli addetti ai lavori, specialmente quelli stranieri, arrivano dai quattro angoli del pianeta e molte volte non hanno il tempo materiale per spostarsi nelle varie sedi dove si tengono le fiere. In certi momenti lo spezzatino che c’è fra le varie sigle che ruotano attorno al mondo dei vini naturali, mi ricorda la sinistra italiana, con tanti schieramenti che non riescono mai a mettersi d’accordo. I produttori non devono chiudersi in se stessi, ma devono cercare di fare quadrato e amplificare la loro voce, e questo può essere fatto anche in uno spazio loro dedicato all’interno del Vinitaly.
L’immagine del manifesto dell’edizione 2011 di VinoVinoVino a cui hai partecipato, raffigurava l’arca di Noè, metafora che voleva rappresentare la salvaguardia di valori come sensibilità per il territorio, valorizzazione delle diversità di sapori, rispetto degli equilibri naturali. Ma oggi qual è lo stato di salute della viticoltura, settore forte di un mondo, quello dell’agricoltura sempre più in sofferenza per logiche di mercato industriali e globalizzanti? Lo stato di salute del mondo del vino è ancora in piena convalescenza e c’è molta strada da fare per arrivare a una viticoltura che rispetti davvero la natura, le sue leggi e le diversità che rendono unici tutti i prodotti della terra. E’ necessario un impegno comune, sia di chi produce e sia di chi consuma. Ci deve essere una maggior volontà ed informazione.
Dando per scontato che ami tutti i tuoi vini, qual è quello che ruba le tue massime simpatie e perché? Non ce n’è uno in particolare che amo più di tutti. Ogni annata ha qualche vino in particolare che può sorprendermi e regalarmi delle emozioni. Ad esempio il 2005 è stato un anno difficile per il Pinot Grigio che produco. Sembrava fosse un vino destinato all’anonimato e invece alla fine ha premiato le mie cure e la mia attesa donandomi enormi soddisfazioni.
Dal 15 al 17 maggio parteciperai a “The Natural Wine Fair”, fiera internazionale che si tiene a Londra. Quanto sono vicini appassionati ed addetti ai lavori stranieri al mondo dei &”vini naturali&” e alla loro filosofia? C’è una grande cultura e interesse attorno all’argomento. Ci sono paesi, cito ad esempio Giappone, Svezia, Norvegia che sono attentissimi a tutto quello che riguarda le produzioni biologiche e naturali, sia di vino che di cibo. Per citare il mio caso, le 800 bottiglie di Malvasia che ho prodotto come esperimento nelle anfore nel 2009, sono subito state vendute in Norvegia, anche se rappresentavano un prodotto nuovo per la mia azienda. Poi ci sono paesi dove tira un po’ il vento delle mode, ma in generale, come detto, c’è un notevole interesse.
Ci sono dei nuovi progetti nel futuro dell’azienda Paraschos? Un progetto è quello già iniziato e riguarda la sperimentazione delle anfore per vinificare parte del prodotto. A questo riguardo sono in arrivo altre 15 anfore per aumentare i numeri della sperimentazione. Poi stiamo allestendo un ristoro agrituristico per dare ospitalità ai tanti appassionati delle nostre terre e dei nostri prodotti.
|