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Promozioni, produzioni, prezzi, consumi. Quale olio vogliamo (e quale compriamo)?

C’è sempre un olio in offerta, ogni giorno dell’anno, per un prodotto che è “premium”, a volte, ma molto spesso è ancora scelto per il prezzo “conveniente”. Conversazione con Luigi Caricato.

Tra gli ulivi a Settignano. Telemaco Signorini
Tra gli ulivi a Settignano. Telemaco Signorini

Quando entriamo in un supermercato per fare la spesa ne troveremo sempre una bottiglia, o una latta, in promozione. Sempre, 365 giorni dell’anno. Una caratteristica, quella che appartiene al mondo dell’olio, e di quello da olive in particolare, comune a molti altri prodotti che tengono un piede, sicuramente di piccola taglia, nel magico universo delle referenze “premium”, e l’altro, quello decisamente più grande, in quello delle commodity, dove origine, provenienza e qualità complessiva lasciano il campo quasi esclusivamente al prezzo come leva principale di acquisto.
E questo succede in un periodo dove qualsiasi indagine sui consumi alimentari restituisca puntualmente l’immagine di un consumatore sempre più coscienzioso e attento, che mette al primo posto l’italianità di quello che mangia, la sua salubrità, la sicurezza, magari l’eventuale presenza di una certificazione biologica. Le promozioni? “Basta, ce ne sono troppe e non sono più così richieste dai consumatori” è il mantra che, chi è avvezzo a frequentare convegni o tavole rotonde dove manager della Gdo fanno il punto della situazione, è solito ascoltare ormai da anni. Molti i proclami circa l’inutilità della forsennata corsa alle promozioni e dei volantini cartacei che le pubblicizzano, tranne poi, una volta tornato a casa, trovare immancabilmente la casella della posta intasata da queste ultime.
In realtà quello del prezzo e delle relative promozioni, ovviamente, è solo uno dei tanti aspetti critici che riguardano il mondo dell’olio. Ne abbiamo parlato con Luigi Caricato, uno dei più attenti osservatori italiani, sia nella veste di giornalista che di degustatore e divulgatore, di tutto ciò che ruota intorno a questo alimento, centrale nello scacchiere agroalimentare italiano.

– Gli ultimi dati, rilanciati anche da molti media generalisti, dicono che nel 2020 l’Italia ha perso il secondo gradino del podio quanto a produzione mondiale di olio extravergine di oliva a scapito della Grecia (265mila tons), nettamente dietro il colosso spagnolo (1,6 milioni di tons). Il nostro Paese ha prodotto 250 mila tonnellate, circa il 30% in meno rispetto al 2019. Il tutto a causa del calo produttivo di regioni importanti per questo comparto come Puglia, Calabria e Sicilia. Come va letto questo dato e, confrontandolo con quello a valore, della produzione, come deve essere interpretato?
È un dato, purtroppo, che fotografa un’Italia olivicola ormai in ritirata da decenni. Sicuramente c’è l’aspetto contingente del calo di produzione che ha inciso, certo, ma non è questo il problema. Si sa che quando la Puglia non ha olive, come quest’anno, crolla il sistema. Va detto che la Puglia rappresenta tra il 40 e il 60% della produzione nazionale. Le altre regioni, da parte loro, non crescono in superficie olivetata.
Il fatto è che quando altri Paesi subiscono un calo di produzione, non crollano in maniera catastrofica come noi. Ci si è resi conto solo troppo tardi di questo inarrestabile declino. Ora è molto più complicato risalire la china. Ci sono Paesi ben più promettenti di noi, la Tunisia e la Turchia investono tantissimo e noi perderemo posizioni. Tanti altri Paesi extra mediterranei stanno puntando sull’olivicoltura mentre noi ci culliamo di una superiorità che ha radici antiche, ma di fatto c’è da preoccuparsi. Le aziende che investono lo fanno in chiave moderna, ovvero piantano olivi adottando sistemi ad alta densità e per questo vengono avversati, perché esiste una incomprensibile ostilità nei confronti di una olivicoltura moderna e al passo con i tempi. La questione del valore vale fino a un certo punto. C’è indubbiamente questo vantaggio, ma non è eterno. Stiamo perdendo quote di mercato all’estero. Su questa condizione pesa il fatto che vi è una forte quota di abbandono degli oliveti, perché non remunerativi. All’estero sono remunerativi perché hanno adottato una concezione moderna di olivicoltura.

– L’altro dato recente è che invece i consumi, sempre nel 2020, nel nostro Paese sono cresciuti del 6%. I motivi sono legati esclusivamente alla pandemia, e quindi all’aumento dei consumi a casa rispetto al fuori casa, o c’è dell’altro? Anche in questo caso, come va letto e interpretato questo aspetto?
I consumi sono cresciuti semplicemente perché la pandemia ha messo in ginocchio il settore Horeca, ma quando tutto tornerà alla normalità i consumi si ridurranno. Non è un caso che prima del Coronavirus stavamo subendo un calo enorme nei consumi domestici. È necessario, appena riprenderemo il corso della realtà, investire in una campagna di comunicazione che qualifichi i consumi e ne valorizzi l’alta qualità degli extra vergini. Purtroppo gli italiani insistono con l’acquisto di oli da primo prezzo non per una questione di indigenza, ma perché ritengono gli extra vergini un prodotto generico come il sale. Si acquista senza consapevolezza. Per carità, ci sono anche consumi di oli eccellenti, per fortuna, ma resta una quota marginale.

– A proposito di prezzi, l’olio di oliva è uno dei prodotti con la più alta pressione promozionale media in GDO, oltre il 60%, con punte tra il 70 e l’80% (fonte: gdonews) nel caso dei principali marchi. Insomma, c’è sempre più di un olio in promozione quando entriamo al supermercato. Se il primo aspetto che il consumatore italiano guarda a scaffale quando deve comprare l’olio è il prezzo, o meglio, lo sconto, qualsiasi operazione di category management che cerca invece di studiare il suo posizionamento in base a necessità/abbinamenti/utilizzi sembra assolutamente inutile. Quali sono le ripercussioni di questa situazione, come ci si è arrivati e c’è una qualche via di uscita?
Si è arrivati a rendere l’olio extra vergine un prodotto commodity per la negligenza di molti operatori. La responsabilità tuttavia va equamente ripartita tra i vari attori. Sicuramente i buyer hanno le colpe maggiori, incapaci di cogliere il valore di un alimento che paradossalmente viene ritenuto universalmente un “alimento funzionale” e addirittura un “nutraceutico”. Mi permetto di dire che è da stupidi trovarsi davanti a un prodotto di alto valore nutrizionale, rispetto ad altri grassi alimentari, e assistere alla barbarie dei prezzi. Io non punto il dito contro i buyer, perché comunque alla grande distribuzione spetta il merito di aver reso l’extra vergine un prodotto popolare, mentre fino agli anni Ottanta era un prodotto regionale, che riscuoteva successo solo nei luoghi di produzione. Quando sono arrivato da studente universitario a Milano nel 1984 gli scaffali erano quasi sprovvisti, vi erano poche referenze di extra vergine, per il resto erano tutti oli di semi o generici oli di oliva. La concorrenza spietata tra i vari marchi ha fatto il resto. Alla fine ci perdono tutti, anche lo stesso consumatore, che si illude di risparmiare ma con le sue scelte in funzione del basso prezzo contribuisce all’abbassamento della qualità degli oli. Le aziende non hanno le risorse per investire in ricerca e le conseguenze si pagheranno non subito ma nel corso dei prossimi decenni. Non so se si possa ribaltare questa fortissima, smisurata, pressione promozionale, che in realtà è più vicina all’80% anziché al 60, e con troppe offerte pesantemente sottocosto – si pensi che si assiste spesso a offerte di extra vergini proposti a prezzi più bassi rispetto a un normale olio di oliva, che è un prodotto quest’ultimo di qualità inferiore. Ripeto: trovo veramente stupido svilire un prodotto che la scienza ritiene di alto profilo qualitativo.

– Oltre il 90% dell’olio Evo venduto in Italia è “comunitario”. D’altronde il fabbisogno interno è talmente alto che la produzione italiana non riuscirebbe mai a sopperire la domanda. Lo spazio per il prodotto DOP, quindi, è minimo e occupa una nicchia. È una nicchia in media di qualità, oggi, che è riuscita a ritagliarsi un suo ruolo, oppure fatica ed è schiacciata dai grandi consumi più orientati a considerare l’olio come una commodity?
I numeri parlano chiaro. Il fabbisogno dell’Italia è di un milione di tonnellate, di cui 600 mila destinate al consumo interno e le restanti 400 mila per l’export. Noi quest’anno abbiamo prodotto circa 250 mila tonnellate. Non c’è altro da aggiungere. Ci troviamo di fronte a un problema serissimo. Il dramma è che guardando i dati del Registro telematico dell’olio si nota sempre una grossa quota di invenduto. Quindi produciamo poco olio e non riusciamo a venderlo nell’arco di un anno. Ciò deve far riflettere, porterà al declino totale. Ci salva solo l’export, ma non sarà per sempre. I consumatori italiani a parole vogliono l’olio italiano ma alla fine, per via del prezzo più basso, comprano olio comunitario. Le Dop e le Igp, salvo alcune denominazioni celebri, sono inesistenti sul mercato. Tutto ciò ci induce a credere che agli italiani non interessa l’origine. Ci sono però grosse responsabilità per questo insuccesso delle attestazioni di origine. A parte alcuni consorzi virtuosi, per esempio Garda e Riviera Ligure, che però pesano poco per le loro esigue quantità di olio, altri consorzi non riescono a sfondare. Faccio un esempio eclatante: la Dop Terra Di Bari. Gli stessi produttori preferiscono vendere lo stesso olio senza la certificazione, perché il mercato quota meglio il 100% italiano anziché lo stesso olio ottenuto dalle medesime piante coltivate nello stesso territorio. Questa è una anomalia grave. Purtroppo ci sono incarichi dirigenziali imposti dalla politica che crea danni irreversibili. Il sistema assegna a persone senza competenze manageriali la gestione di consorzi che si dimostrano di fatto incapaci di creare valore.

– L’olio che tutti cerchiamo e vogliamo, tra quelli da olive, è l’Evo. Questo rovesciamento della piramide – il prodotto in cima è il più richiesto – è positivo o negativo? Perché le altre tipologie di olio non vengono richieste?
Io sono l’unico nel mondo dell’olio a sostenere che non sia un bene avere comportamenti commercialmente così irrazionali.  Che tutti vogliano l’extra vergine è senza dubbio un bene, ma se poi vi sono sul mercato extra vergini di basso profilo qualitativo non credo sia un grande affare. Ci vorrebbe maggiore equilibrio. Faccio un esempio. L’olio vergine di oliva: non lo si trova sul mercato dell’imbottigliato. Eppure si produce, e in grandi quantità. Che senso ha mescolare un olio vergine, di qualità inferiore, con un extra vergine per avere poi che cosa, se non un extra vergine così così? Invece andrebbero valorizzate tutte e quattro le categorie merceologiche. Dal basso verso l’alto, ciascun olio ha una propria collocazione ideale. Olio di sansa di oliva: per prodotti da forno e fritture, soprattutto per impieghi industriali. Olio di oliva: per fritture o per coloro che non amano oli dal sapore accentuato; per usi industriali per esempio nei tonni sott’olio. Olio vergine di oliva: per cotture è l’ideale. Olio extra vergine di oliva: per tutto, a crudo come in cottura; poi ci sono gli extra vergini eccellenti e questi sicuramente sono straordinari a crudo, senza eccedere nel dosaggio perché hanno un alto effetto condente.

Olive

– L’olio da oliva è un alimento e ingrediente intimamente legato all’alimentazione e tradizione italiana, però per una grande maggioranza di persone più che un ingrediente in grado di esaltare, se non migliorare, un piatto, è quasi, consentimi la provocazione, quasi un semplice lubrificante. La conoscenza media dell’olio da oliva da parte del consumatore italiano, oggi, com’è? Sta migliorando in media?
Sta migliorando ma vive di pregiudizi. C’è chi sostiene non sia adatto in cottura, ma è al contrario il migliore perché più stabile, e perfino con le alte temperature della frittura è il migliore in assoluto. Sono comunque ottimista: in passato la situazione era peggiore. Oggi c’è un consumatore che si interroga. Manca semmai una formazione seria nelle scuole alberghiere, e così molti chef sono impreparati. L’olio extra vergine di oliva è un alimento funzionale, quindi indispensabile.

– Per quanto riguarda la formazione, concludiamo con un accenno alla degustazione dell’olio. Professionalmente esiste da tempo, ma non è mai riuscita a trovare lo stesso spazio in termini di notorietà nel grande pubblico come avvenuto per il vino. Mentre c’è quasi la fila per voler diventare esperti di vino, non succede la stessa cosa per l’olio. Al netto delle ovvie differenze tra i due prodotti, perché?
Eppure c’è da osservare che l’olio extra vergine di oliva è stato il primo prodotto alimentare a essere giudicato per legge attraverso l’analisi sensoriale. Il giudizio del panel test è legge dell’Unione europea che ora vale nell’universo mondo. Diciamo che l’olio non gode della medesima fama del vino perché parte svantaggiato, non essendo una bevanda. Si esprime solo insieme con il cibo. Sta qui un elemento di debolezza, ma sono convinto che i sommelier possano contribuire a rendere l’assaggio dell’olio più piacevole e interessante. Non è facile in ogni caso, ma rispetto a due decenni fa ora la gente non fa la faccia schifata all’idea di degustare l’olio. È già un significativo progresso. C’è anche da osservare che la qualità generale degli oli è decisamente migliorata. Poi c’è un altro aspetto che non giova: gli assaggiatori di olio partono da una visione sbagliata: cercano di individuare l’assenza di difetti, non cercano i pregi. Questo è un grossissimo limite culturale. Quando si effettuano corsi, anche rivolti a gente comune, gli assaggiatori d’olio non affascinano, perché confondono l’approccio professionale dei panelisti con l’approccio divulgativo. C’è da riflettere infine sul fatto che i termini positivi siano pochi rispetto a quelli negativi che compaiono invece nel dizionario ufficiale dell’olio.

Alessandro Franceschini

Biografia
Luigi Caricato, scrittore e giornalista, è ideatore del progetto culturale Olio Officina. Conferenziere e relatore in importanti convegni e congressi internazionali, è ideatore e direttore dal 2012 a tutt’oggi, del più grande e autorevole happening al mondo dedicato ai condimenti: Olio Officina Festival. Ha pubblicato molti libri, tra cui L’incanto dell’olio italiano (Bibliotheca Culinaria, 2001), Oli d’Italia (Mondadori, 2001), Star bene con l’olio d’oliva (Tecniche Nuove, 2003), Olio. Puro succo d’oliva (Tecniche Nuove, 2005), A tavola e in cucina con le olive (Tecniche Nuove, 2007), Friggere bene (con Giuseppe Capano; Tecniche Nuove, 2009), Olio di lago (Mondadori, 2010), Olio: crudo e cotto (con Giuseppe Capano; Tecniche Nuove, 2012), Libero Olio in libero Stato (Zona Franca, 2013; Olio Officina, 2018)) e Atlante degli oli italiani (Mondadori, 2015). Ha inoltre pubblicato un romanzo, L’olio della conversione (Besa, 2005 e 2006), e collabora da anni con prestigiose testate giornalistiche italiane ed estere. Dirige le riviste in edizione cartacea OOF International Magazine (bilingue italiano/inglese) e L’Almanacco di Olio Officina, il mensile digitale di soli assaggi Oliocentrico e il settimanale web Olio Officina Magazine.

Alessandro Franceschini

Giornalista free-lance, milanese, scrive di vino, grande distribuzione e ortofrutta, non in quest'ordine. Dirige il sito e la rivista dell'Associazione Italiana Sommelier della Lombardia, è docente in vari Master della Scuola di Comunicazione dell’università Iulm di Milano, è uno dei curatori della fiera Autochtona e collabora con testate come Myfruit, l'Informatore Agrario e le pagine GazzaGolosa della Gazzetta dello Sport. In passato, oltre ad aver diretto la redazione di Lavinium.com, ha collaborato con la guida ai ristoranti del Touring Club e con la guida ai vini de L'Espresso. È stato uno degli autori dell'Enciclopedia del Vino di Dalai Editore, del volume "Vini e Vignaioli d'Italia" del Corriere della Sera e del libro "Il vino naturale. I numeri, gli intenti e altri racconti" edito dalla cooperativa Versanti.

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