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Quanto vive il Piedirosso? L’esperienza del 2003 e del 1999 a Cantine Astroni

Gerardo Vernazzaro
Gerardo Vernazzaro

Quanto vive il Piedirosso?  Dopo venti anni di degustazioni, prove, protocolli in acciaio, in legno piccolo e grande, cemento e compagnia cantando, si può ragionevolmente affermare che dal punto di vista del consumatore questo vino può essere stappato subito per godere i suoi generosi respiri floreali oppure lasciarlo maturare mediamente tra due ai tre anni, in ogni caso non più di cinque.
Si tratta di una regola generale e come ogni regola, soprattutto nel vino, può avere le sue eccezioni, ma per arrivare a queste conclusioni dobbiamo anzitutto dire cosa è il Piedirosso.
Si tratta di un vino ottenuto da uve omonime allevate prevalentemente in provincia di Napoli, entra di forza nella doc Lacryma Christi, è l’unica cultivar della Campi Flegrei doc, importante nella Penisola Sorrentina doc (nel Gragnano) e in Ischia doc. È un’uva antichissima, tipica della Campania (non si trova fuori dalla regione come invece accade per l’altro rosso campano, l’Aglianico, presente in Basilicata, Molise, Puglia e Calabria) che ama il suolo vulcanico e il caldo. Viene coltivata, con poca convinzione ma con ottimi risultati, anche nel Sannio e in minima parte nel Salernitano.
Il Piedirosso rappresenta il carattere del proprio territorio, è un vino allegro, beverino, dai tempi brevi, non impegnativo dal punto di vista gustativo, che ben si adatta a gran parte della cucina partenopea, è il vino della costa campana sostanzialmente.
Ha tannini poco pronunciati, e questo lo rende immediatamente bevibile oltre che usato per tagliare l’Aglianico, vino dai tempi lunghi per eccessi di acidità e presenza in esubero di tannini.
Il Piedirosso è un vino difficile in vigna perché poco prolifico, anche se questo ormai è diventato un pregio e non un difetto nella viticultura moderna. Ma è difficile anche in cantina dove solo da una ventina d’anni, appunto, si sono centrati i protocolli giusti per evitare gli eterni sentori di ridotto e di poca pulizia olfattiva e gustativa che lo hanno segnato per un lungo passato.
Ogni vino deve fare la sua parte, un po’ come le auto: meglio una Smart di una Ferrari sul Grande Raccordo Anulare o nelle strade delle città. La strada che ha puntato a farne un vino in stile anni ’90, con legno piccolo e surmaturazioni in vigna, non ha dato grandi risultati perché alla lunga ci si è fermati proprio di fronte alla caducità di questo vino e al suo crollo immediato in bottiglie dimenticate per qualche tempo e rovinosamente stappate poi tra la delusione generale.
Insomma, il risultato è lo stesso quando si vogliono fare vini pronti con forzature enologiche di uva che regalano bottiglie strutturate come l’Aglianico.
Venti anni di degustazione hanno fissato una volta per tutte il concetto che l’Aglianico giovane e il Piedirosso invecchiato sono due ossimori.
Sono queste le considerazioni che si sono fatte al termine di una verticale a Cantine Astroni, la bella azienda dei Campi Flegrei protagonista della riscossa di questo vitigno insieme a una bella pattuglia di giovani viticultori. Una cavalcata iniziata nel 2007 e proseguita sino al 2019 nel quale si è potuto vedere questa continua progressione qualitativa.
Ma il colpo finale a sorpresa sono state le due bottiglie prodotte quando l’azienda si chiamava ancora Varchetta datate 2003 e 1999.

Piedirosso 2003 e 1999 di Cantine degli Astroni

Questo il cognome di una delle famiglie di vinificatori che sin dall’800 circondavano Napoli in una sorta di tangenziale del vino che partiva dai Campi Flegrei con i Martusciello e proseguiva con Varchetta a Napoli, De Falco a San Sebastiano al Vesuvio, Russo a Terzigno, Scala a Portici.
Un’altra era geologica che termina grosso modo con la crisi del metanolo del 1986 che costringe tutti a un ripensamento globale in Italia e che trasforma alcuni vinificatori in produttori.
La storia di Varchetta è proprio questa, con le nuove generazioni, prima Gerardo Vernazzaro e poi Vincenzo Varchetta a studiare Enologia e a fare esperienze in giro.
Ecco perché è affascinante bere queste vecchie bottiglie, figlie di un’epoca di transizione, che allora costavano circa quattro mila lire diventate poi quattro-cinque euro.
Quando passa tanto tempo si finisce a parlare delle annate più che delle bottiglie. Due annate particolari perché la 2003, ricorderete, è stata la prima annata tropicale che abbiamo vissuto in Italia con un caldo estenuante e lungo e temperature pazzesche. Annata che però per le varietà tardive alla lunga è stata molto generosa. In questo caso il Piedirosso ha sicuramente retto bene alla prova del tempo, presentandosi scarnificato ma con una buona acidità che lo teneva in piedi e una nota fumé, di gomma bruciata, che aveva completamente offuscato i sentori di frutta e di geranio tipici del vitigno.
La 1999 è annata particolare per la sua perfezione, potremmo dire l’ultima vera grande annata per gran parte del vino italiano che dopo non ha avuto eguali in vigneto. In questo caso il vino è apparso sicuramente più tonico, fine, con spunto di frutta rossa sotto spirito e una verve al palato decisa e intrigante.
Si tratta della prima annata che ha visto l’ingresso in azienda di Gerardo Vernazzaro, e da allora si sono fatti grandi passi in avanti nella conoscenza del comportamento di questo vitigno apparentemente allegro e gioioso, ma in realtà difficile e complicato per chi lo lavora.
Dunque, per rispondere alla domanda iniziale, quanto vive il Piedirosso? Molto a lungo, almeno vent’anni. Ma è meglio berlo non oltre il quinto anno dalla vendemmia.

Luciano Pignataro

Luciano Pignataro

Laureato in Filosofia e giornalista professionista, lavora al Mattino dove da anni cura una rubrica sul vino seguendo dal 1994 il grande rilancio della viticoltura campana e meridionale. Al centro dei suoi interessi la ristorazione di qualità, la difesa dei prodotti tipici e dell'agricoltura ecocompatibile. È autore per le Edizioni dell'Ippogrifo delle uniche guide, sponsor free, sui vini della Campania e della Basilicata andate ripetutamente esaurite oltre che del fortunato Le Ricette del Cilento giunto alla terza edizione. Con la Newton Compton ha pubblicato La cucina napoletana di mare, I dolci napoletani, 101 vini da bere almeno una volta nella vita. Ha vinto il premio Veronelli come miglior giornalista italiano nel 2008. Dal 1998 collabora con la Guida ristoranti Espresso, è impegnato nella nuova guida Vini d'Italia di Slow Food. Fa parte del gruppo Garantito Igp.

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