Quattro grandi vini di Ar.Pe.Pe. per dare una svolta ad una giornata uggiosa
John Abercrombie Organ Trio, con un dinamico e creativo Adam Nussbaum alla batteria e Jared Gold Versace all’organo Hammond B3. Se proprio dovessi cercare una giustificazione a questo fastidio interiore, dovrei andarla a pescare nell’aver constatato per l’ennesima volta che l’acustica delle tre sale dell’Auditorium romano, Petrassi, Sinopoli e Santa Cecilia, lascia davvero a desiderare. E mi domando come mai, visto che si tratta di una struttura decisamente moderna, che avrebbe dovuto offrire il meglio non solo sul piano tecnologico ma soprattutto di rendimento sonoro. Invece niente da fare. Aggiungiamo che questa mattina si è presentata decisamente uggiosa, tutt’altro che primaverile…
Ma non sono convinto. Ci deve essere dell’altro, che per il momento mi trovo costretto a definire “inafferrabile”. Poi, come a volte accade, forse per un istinto di sopravvivenza per fortuna ancora non del tutto sopito, sopraggiunge un insano desiderio: perché non stappare una buona bottiglia di vino, di quelle che ti rimettono al mondo? A scanso di equivoci, non un proposito di ubriacatura, un tentativo di perdermi, di annebbiarmi nei meandri dell’alcol, giammai, sono cose che non mi appartengono, ho un etilometro incorporato (niente a che vedere con l’etilometro in dotazione alla Polizia Stradale, che si limita a verificare un valore numerico ma non è assolutamente in grado di stabilire se sei sobrio o ubriaco) che stabilisce inequivocabilmente e con il giusto anticipo quand’è il momento di porre uno stop, un freno salva salute, un limite inderogabile che mi ha permesso, nella mia lunga vita di dégustateur, di non arrivare allo stato di ebbrezza neanche una volta. Piuttosto una di quelle bottiglie di cui conosco la straordinaria capacità di dare una svolta decisiva alla tua giornata.
Non ho dubbi, vado diretto dove so di trovarla. In uno dei ripiani dove sono disposte le bottiglie, coricate e a file di quattro, scorgo l’inconfondibile etichetta rossonera (no, non mi ricorda la bandiera di una nota squadra calcistica, non sono tifoso, piuttosto la mia militanza giovanile fra gli anarchici) del Valtellina Superiore Sassella Rocce Rosse Riserva di Ar.Pe.Pe., quella adottata fino all’annata 1996. Estraggo il vino con compiacimento, è proprio il millesimo ’96. Sto per allontanarmi, quando mi rendo conto che le altre tre bottiglie della fila sono tutte di questa mitica azienda valtellinese. Accidenti, che faccio? Quasi quasi le prendo tutte, un’ottima occasione per rivivere le emozioni di quelle meravigliose giornate passate non molto tempo fa tra le vigne terrazzate sul versante esposto a mezzogiorno delle Alpi Retiche, in compagnia di Emanuele Pelizzatti Perego.
Crepi l’avarizia! Dunque…vediamo di cosa si tratta…un altro Rocce Rosse Riserva, benone, annata 1997, poi c’è il Sassella Vigna Regina Riserva 1995 e la riserva 1999 del Grumello Buon Consiglio. Fantastico! Cosa chiedere di più? Sento già che il mio stato d’animo ha subìto una violenta sterzata in positivo. Bene, cominciamo!
Valtellina Superiore Sassella Vigna Regina Riserva 1995
Dati tecnici: gradazione 12,5%, bottiglie prodotte n. 4.395, uvaggio nebbiolo (loc. chiavennasca) 95%, brugnola e rossola (coda di volpe della Valtellina) 5%
E si, dare inizio alle danze con questo vino ha sortito l’effetto desiderato, spostando il mio stato d’animo verso una improvvisa, quanto benefica, dissoluzione dei più reconditi turbamenti. Ritrovarmi in Valtellina è stato facile, ricordo bene il “ragno”, quell’escavatore snodato indispensabile per formare le terrazze su cui impiantare le viti, ricordo il cambiamento profondo avvenuto in Emanuele dopo la perdita di papà Arturo, il suo immergersi ogni giorno di più nel ruolo di vignaiolo, convinto e innamorato di questa terra tanto da abbandonare il gruppo con cui suonava da anni. Che piacere ritrovare nel calice il colore del nebbiolo, un granato caldo, dai riflessi fumé, ancora vivo e luminoso nonostante i 15 anni dalla vendemmia. Quindici anni che non si sentono minimamente, tanto che accostandolo al naso rimango subito colpito dalla netta nota agrumata, caratteristica a dire il vero già percepita in altre annate, in un certo senso spiazzante. Capisci subito dal bouquet, che mi trovo di fronte ad un vino elegante, che si discosta nettamente da buona parte dei vini valtellinesi per una gradazione e una struttura più moderate, in perfetto stile Arpepe. C’è una profonda mineralità, note che ricordano il miele di castagno, ma anche la terra, toni ematici, erbe di montagna, sottobosco, a tratti ferroso, non manca un accenno fruttato, anche se questo è meno viscerale, più sottile ma fornisce un bel contributo all’ampiezza e all’equilibrio espressivo.
L’assaggio conferma una condizione eccellente, una freschezza impressionante, un tannino preciso e nebbioleggiante ma di grande misura, una polpa graduale e raffinata che favorisce un equilibrio ancora non del tutto completato. Asciutto e dinamico, sembra avere ancora piena energia, voglia di stuzzicare i sensori della bocca, conferma quei riverberi agrumati che avevo percepito al naso, chiudendo su fiori macerati e una punta di liquirizia. Un inizio folgorante, che conferma la classe di questo vino e un millesimo che qui ha dato risultati eccellenti, fenomeno abbastanza raro nel resto dello Stivale.
Valtellina Superiore Sassella Rocce Rosse Riserva 1996
Dati tecnici: gradazione 12,5%, bottiglie prodotte n. 13.263, uvaggio nebbiolo 95%, brugnola e pinot nero 5%
Fatico un po’, davanti a questi vini, a fare una degustazione “classica”, non tanto perché non ci siano grandi cose da dire, al contrario, ma è l’emozione che trasmettono a fare la differenza, un’emozione difficile da definire in termini organolettici, perché a volte il vino offre tutto se stesso in modo integrale, completo, ben più profondo di quello che possono fare dei descrittori sensoriali; non è possibile, anzi non è forse corretto sezionarlo, suddividerne i diversi aspetti in modo tecnico. Non so se riesco a spiegarmi, ma è come quando ti trovi davanti a una donna affascinante, la cui bellezza e ricchezza è data dalla completezza in ogni suo aspetto e sfumatura. Si può descriverne gli occhi, lo sguardo profondo, si può soffermarsi sui fianchi o sui seni, ma è nell’interezza che trovi tutte le risposte, è nella sua totalità che percepisci la fierezza, l’orgoglio del suo essere donna. Con un vino come questo, l’impressione che ricevo è la stessa. Le parole appaiono fuorvianti, quasi di intralcio, ma sono l’unico mezzo che ho a disposizione per tentare di farvi essere qui, con me, per percepire e godere di quello che io ho l’opportunità di assimilare e apprezzare in questo preciso momento.
Non è rilevante neanche se è o sarà il migliore fra questi quattro vini che oggi vi presento. Quello che è certo, è che è un vino ricco, carnoso, per certi aspetti maschile e nebbiolesco, austero eppure caldo, di grande sensibilità, bellissima la tinta omogenea, un granato vivo e luminoso, premessa di un naso sommesso quanto ardito, le sensazioni si spostano ad ogni ossigenazione, a momenti emerge una particolare sfumatura di oliva, poi un gioco di prugna e liquirizia, e ancora richiami al mirto, ma anche a frutti meno cupi come la ciliegia appena intinta nello spirito, anche qui affiora una leggera nota agrumata, poi leggerissimo anice stellato e ginepro. La bocca ha una pienezza del tutto diversa dal Vigna Regina, che appariva più asciutto e moderato; qui c’è una massa e un’energia superiori, un carattere deciso e in parte ancora poco concessivo ma di straordinario fascino, l’alcol e una morbidezza non ruffiana livellano un tannino fitto e importante, perfetto nella sua tessitura. Un millesimo che continua a stupirmi, in molte zone è passato in sordina confrontato con un ’97 subito pronto e avvolgente, quello si ruffiano. Ma qui ho la riprova, come del resto è accaduto con molti nebbioli di Langa, che quest’annata ha una marcia superiore, la sua evoluzione sembra viaggiare con ritmi più lenti ma straordinariamente efficaci, con una prospettiva di invecchiamento decisamente elevata.
Valtellina Superiore Sassella Rocce Rosse Riserva 1997
Dati tecnici: gradazione 13%, bottiglie prodotte n. 11.051, uvaggio nebbiolo 95%, brugnola e pinot nero 5%
Questo vino è la conferma che la Valtellina, forse più di ogni altro luogo in Italia, per la sua particolare conformazione non fa mai testo nella valutazione generale delle annate. Non è un caso che, ad esempio, il 2002, croce e disperazione della maggior parte delle zone vitate, qui abbia trovato una delle migliori espressioni. Non fa eccezione anche la calda annata ’97, generalmente sopravvalutata e spinta fortemente dai media in un momento particolarmente positivo per le vendite di vino italiano. Il Rocce Rosse ne è la prova lampante, di quel millesimo ha trattenuto solo i lati positivi, non c’è traccia o quasi di quegli eccessi alcolici e maturi presenti in molte tipologie toscane ma anche pienomtesi e ancora più siciliane. Il colore è sempre un bel granato vivo, qui appena più compatto e cristallino, ma è accostandolo al naso che si percepisce subito una freschezza piuttosto desueta per un ’97. Fra l’altro è un naso più ermetico, meno prepotente, non si pavoneggia ma rivela una finezza e una complessità straordinarie, dosa le sue risorse espressive e le concede via via che si ossigena. Ecco allora che si passa da note di viola e sottobosco a erbe secche e officinali, flessioni speziate di cardamomo, pepe rosa, poi richiami terrosi, affumicatura, ruggine, china, buccia di frutti essiccati, alloro, leggero goudron. In bocca è trascinante, di una freschezza quasi citrina eppure ammorbido da una polpa ricca e avvolgente, caldo eppure teso, tannico ma di incredibile setosità, le suggestioni si ripetono con esattezza matematica, mostrando una persistenza non comune e ancora tanta giovinezza. E’ una tavolozza di colori ancora accennati, una premessa e una promessa di un fantastico futuro. Un vero peccato avere aperto l’unica bottiglia a mia disposizione.
Valtellina Superiore Grumello Buon Consiglio Riserva 1999
Dati tecnici: gradazione 13%, bottiglie prodotte n. 7.123, uvaggio nebbiolo 100%
La mattinata si è rivelata altalenante, momenti di schiarita che hanno permesso sporadiche apparizioni di un sole primaverile, ma nel complesso la situazione è statica, cielo coperto e brezza fresca. Situazione ben diversa davanti al calice che ha avuto il privilegio di accogliere quattro grandi vini di cui io ho potuto inebriarmi, tanto da ripulire completamente la mia mente da quello stato cupo e disturbato che mi aveva colto appena svegliato. Ma bando alle ciance e torniamo a questo last but not least Grumello Buon Consiglio Riserva 1999, dal colore ancora una volta granato sebbene con leggera sfumatura aranciata, nonostante la più giovane età. Qui ci siamo spostati nella sottozona Grumello, in prossimità del bellissimo castello che domina la valle. Il manto odoroso appare subito diverso, non solo nella sua composizione ma anche nella modalità espressiva, complessivamente appare leggermente più maturo degli altri, pur non nascondendo una rassicurante nota di legno di cedro e richiami all’arancia verde; riecheggia la percezione di ruggine, più soffusa, c’è il frutto di bosco, sempre orientato alla prugna e alla ciliegia, ma con un tocco leggero di anguria, richiami ai funghi, al rabarbaro e una chiusura minerale ben delineata. La bocca denuncia una minore dinamica espressiva, di fronte ai campioni precedenti, rischia di apparire un vino secondario, cosa che non è, la sua piacevolezza e godibilità rappresentano un elemento a suo favore, il tannino ben modellato e un bel ritorno minerale confermano una tessitura di un certo valore, suffragata da una buona persistenza con una particolare chiusura di arancia amara che agisce molte bene come stimolo alla beva. Ma guarda…è tornato il sole!
Roberto Giuliani