Retrodatato il vino italiano più antico: secondo una recente ricerca avrebbe 6000 anni
1996: una spedizione archeologica organizzata dall’Università della Pennsylvania scopre, in un piccolo villaggio dell’Iran, una giara di terracotta contenente tracce di una sostanza derivante da grappoli d’uva. Parliamo di un reperto che risale circa al 5100 a.C. e la cui scoperta ha convinto la comunità scientifica che già 7000 anni fa in Iran la produzione di una bevanda realizzata con l’uva non fosse un processo accidentale ma un’operazione consapevolmente eseguita.
Se la sostanza trovata in Iran rappresenta il più antico esempio di bevanda assimilabile al vino, per quel che riguarda l’Italia, abbiamo assistito di recente ad una scoperta che ha rimescolate le carte in tavola. Fino ad oggi, infatti, sembrava provenire dalla Sardegna ed avere un’età di circa 3000 anni il vino italiano più antico. Infatti, la spedizione del 2015, operata dagli studiosi dell’Università di Cagliari, ha portato alla luce circa 15.000 vinaccioli contenuti in un pozzo usato per refrigerare gli alimenti, nella provincia di Oristano. Tale rinvenimento dimostra che la viticoltura in Sardegna era autoctona e non, come si pensava fino a quel momento, dovuta alla colonizzazione dell’isola da parte dei Fenici intorno all’800 a.C.
A soli due anni di distanza la nuova scoperta che fa retrodatare ancora la nascita del primo vino italiano. A guidare le ricerche l’archeologo siciliano Davide Tanasi, professore presso l’Università della Florida del Sud ed il suo team di assistenti. Analizzando chimicamente le sostanze contenute in alcune giare rinvenute nella zona di Agrigento, Tanasi ha potuto dimostrare che al loro interno ci sarebbe stato proprio del vino. Infatti, la terracotta con cui le giare sono state realizzate ha conservato tracce di bitartrato di potassio, residuo del processo di vinificazione. L’analisi chimica dei contenitori li farebbe risalire al 4000 a.C. circa, così come il vino una volta contenuto al loro interno.
Molto interessanti le conseguenze di una scoperta del genere. Intanto, rispetto al vino iraniano datato 5000 a.C, qui abbiamo tracce di fermentazione alcolica vera e propria. È qualcosa di molto più simile a quanto accaduto nel 2011 ad Areni, piccolo villaggio dell’Armenia in cui sono state ritrovate tracce di malvidina, un pigmento responsabile della colorazione del vino. Ma in questo frangente, la certezza che si tratti di vino non è assoluta perché tale sostanza potrebbe anche derivare dal frutto del melograno, diffuso in quella regione nel 6000 a.C. ma non presente in Sicilia nello stesso periodo. In pratica, a parità di età, è un dato di fatto che quello siciliano sia stato vino ma non si può dire la stessa cosa di quello armeno.
Altra conseguenza importante è la conferma che il primo vino italiano sia autoctono e non, come si è sempre pensato, portato dai Greci in Sicilia intorno al 1200 a.C. Risalendo all’età del rame, infatti, quest’ultimo anticipa di gran lunga la colonizzazione greca dell’isola.
Apparsi intorno alla metà di agosto sul Microchemical Journal, i risultati di questo lavoro stanno avendo un grande impatto a livello internazionale. Per tale ragione, il professor Tanasi non intende fermarsi qui ma considera questo come un primo passo verso la comprensione di quella che è stata la cultura degli abitanti autoctoni siciliani del 4000 a.C. Solo capendo quali sono state le abitudini culinarie di un popolo, infatti, si può avere un quadro completo di tradizioni e usanze. Altro obiettivo del prof. Tanasi, infine, è quello di capire se questo antico vino embrionale fosse stato bianco oppure rosso.