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Editoriali

Ricordando Bepi Quintarelli, il mito, la leggenda

Giuseppe Quintarelli - Foto Percorsi di VinoE’ domenica sera e sto a curiosare un po’ al computer.
Appare, sulla pagina di Enogea, una frase che mi spiazza, e subito fa sentire tutta la pesantezza di un vuoto appena realizzato.
Giuseppe Quintarelli, da tutti conosciuto come Bepi, ci ha lasciato.
Sapevo da tempo che si era ritirato: mi dicevano non uscisse più nemmeno in vigna.
Quintarelli era un punto di riferimento, per molti. Primo tra tutti Dal Forno. Il “mito” e la “leggenda”.
E quel mito già dal 1968 era entrato nelle pagine dei libri, libri che sono diventati pietra miliare nella storia del vino italiano. Mario Soldati, nell’autunno di quell’anno, era in viaggio. La sua missione era quella di trovare un vino che somigliasse a quello che Hemingway beveva durante il suo soggiorno a Venezia, per trarne ispirazione. Già all’epoca Soldati avverte quella tentazione a forzare la mano alle vigne, ma avvertiva in Quintarelli una guida, una fonte a cui abbeverarsi ed ispirarsi. “Quel gusto: leggero, scivoloso, passante, appena appena abboccato, appena appena amarognolo“.
Leggere, oggi, le parole così nostalgiche ma ancora vive, quasi commoventi, usate da Sangiorgi su Porthos 18-19 per raccontare quella sua prima visita in quel settembre sul finire degli anni ’70, fa un effetto diverso e, forse, anche avvertire di più questa partenza così inaspettata.
Rimane il rammarico, per non essere riuscito a conoscerlo, a guardare come quegli occhi scrutavano la corvina per capire quando fosse pronta per essere vinificata, per capire come tradurre l’essenza di quei vigneti in quei vini così leggendari, e magari sperare nella stessa folgorazione vissuta da quell’allievo di Illasi. Rimangono i suoi vini però, anche. E forse grazie a questi Bepi non ci ha lasciato davvero. Le etichette disegnate a mano, l’appassimento, quella seconda maturazione così delicata e fragile, percorsa per arrivare ad un rosso secco e profondo che esaltasse il territorio, l’eleganza dei vini mai barattata con le esigenze di un mercato troppo volubile per chi conosce e vive i tempi della vite e del vino: credo fosse questa la sua essenza.
Il saluto a lui, e un tentativo di alleviare almeno in parte il dolore dei famigliari e degli amici più intimi, lo voglio fare con quelle parole di Pablo Neruda.
Per questo devo tornare
a tanti luoghi futuri
per incontrarmi con me stesso
ed esaminarmi senza sosta,
senz’altro testimone che la luna
e poi fischiare di gioia
calpestando pietre e zolle,
senz’altro compito che esistere,
senz’altra famiglia che la strada.

Andrea Fasolo

Aspirante agronomo, laurea in Scienze e tecnologie viticole ed enologiche e poi in Scienze agrarie, innamorato tanto della vite che del frumento, e tanto delle colture quanto della cultura che vi affonda le radici. Lo appassionano tutte le forme di agricoltura a basso impatto e ad alta fertilità, che mettono la terra al centro dell'agricoltura e del mondo che ruota attorno al più antico e nobile dei mestieri.

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