“Il lavoro è amore rivelato. E se non riuscite a lavorare con amore, ma solo con disgusto, è meglio per voi lasciarlo e, seduti alla porta del tempio, accettare l’elemosina di chi lavora con gioia. Poiché se cuocete il pane con indifferenza, voi cuocete un pane amaro, che non potrà sfamare l’uomo del tutto. E se spremete l’uva controvoglia, la vostra riluttanza distillerà veleno nel vino. E anche se cantate come angeli, ma non amate il canto, renderete l’uomo sordo alle voci del giorno e della notte”. Kahlil Gibran
Mi sono permesso un momento di poesia, per collegare i versi di Gibran a questo mio racconto che ci porterà alla conoscenza di un personaggio che fra i vigneti dei Colli Orientali del Friuli è riuscito a realizzare il suo sogno. Alzi la mano chi almeno una volta nella vita, sopraffatto dallo stress quotidiano, logorato dalla routine di un lavoro che non lo soddisfa appieno, non si sia lasciato andare con la fantasia, catapultando la propria mente verso i celesti orizzonti che ognuno di noi cela dentro il proprio cuore. Io non voglio fare l’ipocrita, e ammetto che molte volte mi sono chiesto se la strada che stavo seguendo era quella giusta. La vita che vola via come un brivido, il desiderio di viverla intensamente in ogni suo momento, eppure molte volte la paura di fare scelte radicali, che potrebbero indirizzare il tuo cammino verso un labirinto imprevedibile, ti tiene ancorato all’interno del tuo piccolo spazio, che ti sembra sicuro ma che molte volte risulta troppo stretto per le tue reali esigenze. In uno stupendo e soleggiato pomeriggio di febbraio, la mia sete di conoscenza (e anche di vino, perché non ammetterlo), mi ha portato fra i vigneti dei Colli Orientali del Friuli, in località Ipplis, dove sono andato a conoscere Roberto Scubla, condottiero dell’azienda omonima.
I Colli Orientali del Friuli si estendono lungo la fascia collinare della provincia di Udine a ridosso del confine con la Slovenia. I terreni terrazzati sono caratterizzati da un’alternanza di marna e arenaria che in superficie si sgretola in frammenti scagliosi e via via in argilla finissima (la cosiddetta “ponka”, termine friulano che identifica la marna). Le Prealpi Giulie riparano la vite dalle fredde correnti del nord, mentre l’influenza benefica del mare (non molto distante in linea d’aria) crea microclimi particolarmente favorevoli a una viticoltura altamente qualificata. L’azienda Scubla si trova a Ipplis, piccola frazione nelle vicinanze della più conosciuta Cividale del Friuli. Situata sul sommo di una collina, circondata dai vigneti, da ogni lato dell’azienda è possibile godere di un panorama mozzafiato. Dopo aver percorso la strada bianca che ti porta in azienda, la prima cosa che ti colpisce, non sono i vigneti, ma un enorme gelso con più di 200 anni di vita, che oltre a fare da imponente guardiano, rappresenta il simbolo dell’azienda, in parte riprodotto anche sulle etichette delle bottiglie. Roberto, in sintonia con la soleggiata giornata, mi accoglie calorosamente e da entusiasta oratore mi racconta la storia della sua attività e i risultati del suo lavoro. I suoi studi lo portano alla facoltà di Biologia, percorso interrotto alle soglie del traguardo. Trova impiego in banca, ma dopo tanti anni passati a contare i soldi degli altri, si accorge che quello non era il lavoro dei suoi sogni. Ritorna a farsi vivo in lui un atavico desiderio, coltivato fin da quando bimbo correva fra le vigne dello zio: condurre un’azienda e fare vini di qualità. Alle soglie dei quarant’anni la svolta. Decide di lasciare il sicuro lavoro in banca, e con l’aiuto finanziario dei famigliari, rileva la sua attuale cantina e proprietà, che al tempo era in parte produttiva, ma versava in condizioni di semi abbandono.
Le sue conoscenze di biologia potevano aiutarlo in qualche passo di quest’avventura, ma inutile essere presuntuosi, queste non bastavano. Il destino, la perseveranza e un pizzico di fortuna lo portano a conoscere due personaggi che saranno fondamentali per l’avvio e le fortune della sua azienda. Conosce l’enologo Gianni Menotti con cui instaura un rapporto di amicizia e collaborazione facilitato dalla filosofia comune in tema di vino, e si guadagna le prestazioni di un validissimo uomo di campagna, Enzo Monutti con cui pone le basi della sua attività, e che gli consiglierà anche la figura di Alex Martincich, attuale valido responsabile in vigna. Siamo nel 1991 ed inizia un’avventura densa di interrogativi. Una casa, una cantina e i vigneti da ristrutturare completamente. La responsabilità di non poter deludere la famiglia e gli amici che avevano creduto in lui, e avevano economicamente contribuito al progetto. La necessita di entrare subito nei mercati perché qualcosa in cassa bisognava far entrare. Ed è così, con audacia e un pizzico di incoscienza, che Roberto con la sua piccola produzione, entra nel salotto buono della viticultura, e partecipa al suo primo Vinitaly: un topolino fra tutti gli elefanti che allora dominavano i mercati. Sarà perché e risaputo che gli elefanti hanno paura dei topolini che gli avranno concesso un po’ di spazio, sarà stata un po’ di fortuna, ma grazie a un Sauvignon da clone R3, riesce a incuriosire e catturare l’attenzione degli addetti ai lavori. E’ l’inizio di un percorso che lo porterà anno dopo anno ad ingrandirsi e crescere. Viene restaurata completamente la casa rustica e creata un’accogliente sala di degustazione. Anche la cantina subisce un restyling completo, ricavando una sala per i legni completamente interrata, che gode di una temperatura straordinariamente equilibrata per l’affinamento in barrique e tonneau. In campagna, le vecchie vigne coltivate a cappuccina, vengono affiancate dai nuovi impianti a guyot. Aumentano le densità d’impianto, ma si resta poco sopra i 5.000 ceppi per ettaro, perché per Roberto è fondamentale la ventilazione delle uve, solo così possono raggiungere l’ottimale livello di maturazione e restare sane e resistenti agli attacchi esterni. Nei 12 ettari vitati, vige la regola che l’obiettivo deve essere solo quello di ottenere uve sane, cercando di rispettare la natura e l’ambiente, perché solo da una materia prima di qualità, si possono ottenere vini di eccellenza. Poi in cantina bisogna solo stare attenti a non sbagliare e permettere ai vini di fare il proprio percorso senza intoppi.
La produzione annuale di circa 60mila bottiglie è suddivisa tra i bianchi (65%), i rossi (30%) e il Passito di Verduzzo “Cràtis” (5%). Per i bianchi in purezza è stato scelto di sviluppare l’evoluzione in botti d’acciaio termocondizionate, per conferire la massima tipicità e l’espressione fruttata dell’uva. Troviamo a rappresentare l’azienda, il Friulano, il Sauvignon, il Pinot Bianco e il Riesling Renano, tutti, dopo la fermentazione ad affinarsi per 8 mesi sui residui dei propri lieviti. Sempre a rappresentare la bacca bianca, ci sono due uvaggi: il Bianco Speziale e il Pomedes. Il Bianco Speziale è un assemblaggio paritario di Malvasia e Ribolla Gialla. Un vino dove sono i profumi dell’uva e della fermentazione a farla da padrone. Un prodotto estremamente piacevole da bersi, che viene vinificato totalmente in acciaio. Il Pomedes prevede invece circa il 65% di Pinot Bianco, il 25% di Friulano e il restante 10% di Riesling Renano, prodotto con uve di primissima scelta, ottenute da sole viti vecchie. Siamo dinanzi a un vino di spessore, con un bagaglio aromatico importante, dove il legno seppur presente, non sgomita per essere il protagonista nel bicchiere, ma se ne resta defilato dando all’uva il ruolo principale. Nel Pomedes il mosto fermenta in barrique e tonneau di rovere francese nuovi al 50% e il resto di secondo passaggio. La maturazione dura 8 mesi e viene praticato un frequente batonnage. L’assemblaggio di 10 mesi in vasche inox, mantenendo il contatto con le fecce nobili, anticipa l’affinamento in bottiglia per altri 3 mesi. Passando dalle “bacche pallide” ai rappresentati della bacca rossa, altri ottimi prodotti rappresentano l’azienda Scubla. Partiamo dal Cabernet Franc perché è l’unico a essere vinificato completamente in acciaio, fermentazione e successivo affinamento di 19 mesi, il tutto per regalare tutte le sfumature varietali che questo caratteristico vitigno è in grado di offrire. Conoscono invece un po’ di legno il Cabernet Sauvignon, il Merlot e l’ultimo arrivato in bottiglia, il Refosco. Dopo la fermentazione in acciaio e lo svinamento, questi vini vengono accolti per circa 10 mesi in barrique e tonneau di rovere francese di diversa età, e poi finiscono il loro affinamento per 9 mesi in acciaio. Da selezioni di qualità assoluta di uve Merlot (80%) e Refosco dal Peduncolo Rosso (20%), viene prodotto l’assemblaggio Rosso Scuro, un vino importante che matura per ben 18 mesi circa in barrique e tonneau di rovere francese (50% nuove e 50% di diversa età), e poi continua il suo affinamento per 10 mesi in acciaio e per i 3 mesi finali in bottiglia. Tutti vini che meriterebbero singolarmente ampie divagazioni, ma l’invito che vi faccio è quello di assaggiarli perché è l’unico modo per carpire tutte le emozioni che sono in grado di donare.
Ed eccoci arrivati all’ultimo dei vini proposti dall’azienda, e mai come in questo caso, (mi scuso anticipatamente per la “sacra metafora”), si può dire tranquillamente che gli ultimi saranno i primi nella casa di Roberto Scubla. Sto parlando del Cratis, il sontuoso e ultra premiato Verduzzo Friulano passito. In questo vino s’intreccia un mix di storia, cultura e tradizioni. Si tratta di un vino prodotto con uva Verduzzo Friulano, che una volta raccolta a piena maturazione, viene lasciata appassire su dei graticci, lasciati sotto una tettoia rivolta a nord-est da dove soffia il tipico vento di bora, freddo e secco che permette nei tre mesi che precedono il Natale, un appassimento naturale e ottimale. I graticci nel passato venivano utilizzati nell’allevamento dei bachi da seta. Questi preziosi animaletti, posti su questi antichi attrezzi, venivano nutriti con le foglie del gelso, alimento principale della loro alimentazione. Quando i graticci venivano liberati dai bachi da seta e portati in essiccatoio, era tempo dell’ultima uva rimasta da vendemmiare, il Verduzzo. Era tradizione lasciare appassire i grappoli sui graticci per produrre poi un vino che rappresentava, per le povere famiglie contadine del tempo, il cosiddetto vino della festa. Oggi invece, le uve sono lasciate tre mesi ad appassire, e prima di Natale, vengono pressate e fatte fermentare in barrique di rovere francese (50% nuove, 50% secondo passaggio). Dopo circa un mese, utilizzando un esclusivo metodo di raffreddamento, viene arrestata la fermentazione per permettere la conservazione degli zuccheri residui naturali. Il prodotto che si ottiene rappresenta una sinfonia di profumi e di aromi. Il colore ambrato che illumina la nostra vista, fa da anteprima a una complessità unica di sfumature, dove il miele di acacia, il mallo di noce e la vaniglia sono predominanti. In bocca i sentori di frutta secca, fichi, caramello e agrumi sono sostenuti dalla tannicità che è tipica in questa tipologia di uva. Insomma un vino che anno dopo anno trova ampi consensi, un vino unico che dimostra come uve di primissima qualità, condizioni climatiche naturali ed eccezionalmente vantaggiose e il lavoro e l’ingegno dell’uomo, siano in grado di produrre autentiche primizie del panorama enoico nazionale. La giornata purtroppo oramai è giunta al termine. Sono arrivato in azienda mentre il sole era ben alto in cielo. Ho visto un commovente tramonto fare da anteprima all’imbrunire. Quando sono ripartito verso casa, ho dovuto accendere le luci della mia macchina perché faceva buio. Secondo voi la giornata in compagnia di Roberto Scubla e dei suoi vini è stata interessante o si è stancamente tirata avanti, fra un assaggio e l’altro? Beh, la risposta mi sembra scontata. Come mi sembra scontato dire che non ricordo di essere mai uscito da una banca particolarmente ebro di gioia e soddisfazione, sarà perché il mio conto è sempre in rosso, ma i soldi qui c’entrano poco, e mi permetto anche di dire che secondo me, Roberto ha fatto proprio la scelta giusta.
DIALOGANDO CON IL VIGNAIOLO
A un certo punto della tua vita, hai abbandonato la banca dove lavoravi e hai deciso di rilevare la tua attuale azienda per intraprendere un percorso totalmente differente. Si è trattato di una folgorazione improvvisa o ti portavi dentro di te questo sogno da quando eri piccolo? Anche se inizialmente il mio percorso lavorativo ha seguito una strada diversa, nel mio cuore si celava da sempre questa passione. Da piccolo correvo assieme ai miei cuginetti fra le vigne di mio zio e probabilmente dentro di me ho conservato questi bei momenti che poi da grande si sono trasformati nel desiderio di avere un’azienda tutta mia.
Qual è la tua filosofia produttiva, in campagna e in cantina? Quanto è cambiato come uomo e come viticoltore, Roberto Scubla da quel lontano 1991, anno in cui hai iniziato la tua attività? L’uomo è molto cambiato e ha preso coscienza dell’importanza della precisione in ogni campo della vita, e quindi anche nel campo della viticultura, dove bisogna avere un notevole rispetto per la natura e una notevole precisione in tutti quei processi che sono pilotati dall’uomo. Oltre ad essere più preciso e attento, questo lavoro mi ha fatto diventare un uomo molto meno pigro e più creativo. Quando lavoravo in banca, mi appoggiavo comunque a un’organizzazione, si poteva avere sempre qualche aiuto in caso di difficoltà e magari mi sforzavo meno di trovare ad ogni costo una soluzione al problema. Ora sono direttamente responsabile del mio lavoro. Se qualcosa non và non c’è scusa che tenga e sono l’unico responsabile di un risultato negativo. Ma guardando l’altra faccia della medaglia, le soddisfazioni sono sicuramente maggiori, perché riesco a raccogliere i frutti del mio lavoro contando esclusivamente sulle mie forze.
Oltre a produrre degli ottimi vini bianchi, ti diletti anche con i vini rossi, ottenendo comunque importanti risultati. Ma i Colli Orientali del Friuli restano soprattutto un territorio adatto per produrre eccellenze bianche o pensi che anche i rossi possano col tempo guadagnare posizioni di mercato e trovare nuovi estimatori al di fuori dei confini regionali? La dimensione attuale della mia produzione, con circa 2/3 di vini bianchi e la restante parte dedicata ai rossi, penso sia la più giusta. Per la tipologia dei suoli è del clima, in Friuli si producono soprattutto eccellenze bianche. Questo non significa che anche i vini rossi non possano trovare una loro dimensione, anche perché il clima non preclude di ottenere delle ottime uve che poi si possono trasformare in vini di qualità ed eleganza. Ovvio che non è possibile fare i vini che si producono ad esempio in zone più calde come la Toscana, ma anche i nostri possono essere apprezzati per loro personalità e tipicità, pur con caratteristiche diverse.
Sauvignon, Tocai Friulano, Pinot Bianco, Riesling Renano, Merlot, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon Refosco dal Peduncolo Rosso sono le tipologie in purezza che produci. Qual è la tua preferita e perché? Ho da sempre considerato il Tocai Friulano e il Merlot i migliori rappresentanti della nostra terra. Il Friulano, che però con nostalgia continuo a chiamare Tocai, è l’indiscusso leader quando si parla di vini bianchi. Il Merlot invece è l’unica bacca rossa in grado di raggiungere un certo tipo di maturazioni, le altre tipologie hanno dei limiti nel nostro territorio. Qualcuno utilizza gli appassimenti per aumentare le concentrazioni, ma alla fine per ottenere certi risultati bisogna partire sempre da un’uva matura e di qualità, altrimenti anche gli appassimenti diventano effimeri.
Pomedes, Bianco Speziale, Rosso Scuro e Cratis sono sicuramente le eccellenze della tua produzione. Ma che significato si cela dietro al nome che hai dato a questi tuoi vini? Il nome Bianco Speziale è un omaggio all’attività di mia moglie, che è farmacista. Fa riferimento all’antico speziale, che usando diverse sostanze, componeva un medicamento, mentre io unendo uve diverse creo un nuovo vino. Il Pomedes nasce in una località delle Tofane, sopra Cortina d’Ampezzo, dove assieme all’amico e consigliere Gianni Menotti, fummo colti, sciando, da una tormenta di neve e trovammo riparo nel Rifugio Pomèdes. Ed è al caldo di questo rifugio che nacque l’idea di quest’uvaggio. Il nome Scuro è un gioco di parole, SCUbla ROberto. Il Cratis originariamente si chiamava graticcio in ricordo delle antiche tecniche di appassimento. Ma a causa di una disputa legale sull’esclusiva del nome, ho scelto il nome latino che così dà anche un sapore di antico al nettare contenuto nella bottiglia.
Quanto conta in percentuale lo splendido “terroir” dei Colli Orientali del Friuli e quanto il lavoro di Roberto Scubla nel raggiungimento degli elevati livelli qualitativi dei tuoi vini? Sicuramente la tipologia dei suoli e il microclima della collina è fondamentale per il raggiungimento di elevati livelli qualitativi. Ma penso che anche il lavoro e la bravura dell’uomo faccia la differenza. Quante volte si assiste a zone di vigneti che si trovano a stretto contatto, ma gestiti da persone diverse danno risultati qualitativi differenti. Resta però indiscutibile che solo da una base di partenza di qualità si possono ottenere dei prodotti di un certo livello, cosa impossibile se si parte da una base povera.
Leggendo una recensione, i tuoi vini sono stati definiti mai uguali a se stessi, sempre differenti, fedeli testimoni dell’annata e delle bizze climatiche, segno che in cantina non si cerca di modificare quello che madre natura ci ha regalato. Ti trovi concorde con queste affermazioni? Il vino deve essere fedele rappresentante del territorio e dell’annata. Bisogna apprezzare quello che la natura ti regala, e quindi ci possono essere annate eccezionali, oppure annate di minor livello che comunque permetteranno di produrre vini con la propria personalità, magari meno complessi, ma pur sempre ricchi di aromi e ampiamente apprezzabili. Parlando di vinificazione, devo dire che uso lieviti selezionati perché mi piace lavorare con qualcosa che conosco, niente di ricercato, una selezione base per i bianchi e una per i rossi, onesti lavoratori che hanno l’unico scopo di elaborare gli zuccheri senza interferire sugli aromi. Non amo il pericolo, e non voglio correre il rischio di usare i lieviti indigeni, che magari mi possono riservare qualche brutta sorpresa.
Il Verduzzo Friulano Cratis festeggerà quest’anno le 15 primavere di vita. E’ senza ombra di dubbio il tuo vino più famoso e quello che ti ha regalato le maggiori soddisfazioni. Ma come è nato, quasi per caso o è stato frutto di una geniale intuizione? E’ nato dall’intuizione di capire di avere delle risorse naturali importanti per produrre un grande vino. Un territorio vocato in grado di regalare ottime uve, la posizione dell’azienda posta in cima a un colle con l’influsso dei freddi e secchi venti di bora provenienti da nord-est. Tutto questo ha creato le condizioni ideali per l’appassimento delle uve.
Quali sono i progetti futuri nella vita di Roberto Scluba? Non avrai mica intenzione di ritornare a lavorare in banca? Non sono un pentito e sono felicissimo della scelta che ho fatto e che mi ha permesso di realizzare un sogno e di vivere in un paradiso naturale. In questo mondo, anche se si è una piccola azienda e ci si confronta con dei colossi, si può ripetere la storia di Davide che vince contro Golia. Il mio caso insegna che si può fare un vino di qualità che può competere con aziende blasonate. Ovvio se poi si parla di guadagni e della possibilità di arricchirsi, con i piccoli numeri questo non è possibile, ma non è mai stato nemmeno il mio obbiettivo. Faccio un lavoro che mi permette di essere contemporaneamente produttore, trasformatore del prodotto e commerciante dello stesso. Quindi opero a 360° e questo mi permette di seguire tutto il ciclo produttivo riempiendomi di soddisfazione. Sono contento della struttura aziendale che ho e non ho in progetto di ingrandirmi ed aumentare i numeri, visti anche i tempi odierni dove regna un po’ di crisi ed incertezza. Ci saranno dei progetti che riguarderanno i vini, ma sicuramente non è mio obbiettivo seguire le mode ed i cambiamenti temporanei dei mercati.
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