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La crisi del comparto lattiero-caseario: dubbi e prospettive

Mucche al pascoloNon molto tempo fa ho avuto l’occasione di visitare il magazzino di stagionatura di uno dei formaggi più conosciuti in Italia e oltre confine. Durante quella visita, mi balzarono all’occhio decine e decine di scaffali completamente vuoti, più o meno – ho pensato – pari alla metà della capienza totale del locale. Ci andai molto vicino: la ragazza che mi accompagnava alla visita non esitò a confermarmi che, a fronte di una capienza potenziale di 60.000 forme, attualmente il magazzino ne ospitava circa 30.000. Chi, o cosa, aveva provocato nel tempo un tale decremento nella produzione?
Tale fenomeno, è bene dirlo, coinvolge molti dei formaggi nazionali a denominazioni di origine, presenti sia al nord che al sud, isole comprese.

LattePrendendo spunto da questa mia esperienza personale, ho cercato di analizzare il problema in un’ottica globale, senza soffermarmi su un tipo di prodotto in particolare. Partiamo con il dato più attuale: le elevate temperature dell’estate appena trascorsa non hanno risparmiato neppure i pascoli e le latterie di alta montagna (ricordiamo infatti che gran parte degli allevamenti di mucche da latte sono stanziati in zone montane); in questi pascoli l’erba, cresciuta troppo in fretta, altrettanto velocemente si è seccata, e la sua ricrescita si è rallentata a causa della scarsità di piogge. Dunque, meno erba significa meno alimento per le vacche, che di conseguenza hanno prodotto una minore quantità di latte.
Ma oltre a questo fenomeno, che è purtroppo variabile e non controllabile dall’uomo, esiste un’altra importante tendenza che sta provocando un’inesorabile diminuzione della produzione casearia in generale: il costo del latte dall’allevatore al produttore.
Mediamente, il latte viene pagato 0,40 centesimi al litro, che è una cifra troppo bassa per poter permettere agli allevatori il sostentamento proprio, e quello del bestiame. Consideriamo infatti che, al supermercato, il latte viene pagato al dettaglio circa 1,50 euro al litro.
Se poi aggiungiamo che, più o meno, metà della quantità di latte italiano è destinata alla produzione di formaggio dop, e che – come detto sopra – poco più della metà degli allevamenti italiani sono stanziati in zone di montagna, la situazione in questo settore diventa particolarmente critica.
I disciplinari di produzione infatti non ammettono deroghe: laddove è previsto l’utilizzo esclusivamente di latte crudo, o quando una certa percentuale di latte deve provenire da pascoli di montagna, la quantità e la qualità della materia prima rappresenta un aspetto fondamentale.
Inoltre, la recente notizia per cui la Commissione Europea avrebbe imposto al nostro Governo l’eliminazione della norma (contenuta in una vecchia legge del 1974) che vieta l’utilizzo di latte in polvere o suoi derivati nella produzione casearia, ha destato non poco clamore. Non è infatti ancora chiaro se i formaggi a denominazione di origine verranno inclusi in questa “deroga” o viceversa continueranno ad essere prodotti nell’osservanza dei rispettivi disciplinari.

CagliataIn ogni caso, a mio parere, non è tanto l’utilizzo del latte in polvere in sé a rappresentare la vera minaccia (in assenza di dati scientifici che mi dimostrino il contrario, non penso infatti che il latte in polvere sia nocivo né possa conferire al prodotto finale una qualità inferiore) quanto, piuttosto, il fatto che l’UE non abbia reso obbligatoria l’indicazione in etichetta dell’eventuale utilizzo di latte in polvere. Questo infatti danneggerebbe i produttori che utilizzano solo latte fresco, sostenendo costi inevitabilmente più alti.
Un ultimo dato che deve fare riflettere è quello per cui, nel contempo, stiamo assistendo ad un aumento dell’importazione di latte e cagliate dall’estero (in particolare dall’Europa dell’Est) fenomeno che spesso va di pari passo con la produzione di prodotti caseari di bassa qualità, che vengono offerti al consumatore finale ad un prezzo competitivo, e – come è noto alle leggi economiche – tanto più basso è il prezzo di un bene, maggiore sarà la quantità richiesta.

Esistono pertanto diverse cause che stanno determinando la diminuzione della produzione casearia di alto livello, e che meriterebbero in altre occasioni di essere approfondite. E’ necessario mantenere alta l’attenzione sul tema, sia per salvaguardare il sistema produttivo, sia per migliorare il sistema di tracciabilità e rintracciabilità del prodotto, e da ultimo ma non meno importante, per valorizzare l’offerta sul mercato, ad esempio facendo leva sulla varietà dei prodotti tipici e regionali.

Francesca Valassi

Originaria dell'Oltrepò Pavese ma per metà spagnola. L'interesse per il mondo del cibo e del vino nasce in famiglia, grazie a papà salumiere e formaggiaio, e mamma cuoca provetta, e dal territorio in cui è nata, dove colline e vigneti si perdono a vista d'occhio. Pratica corsa, bici e nuoto e sta scoprendo come la buona cucina possa sposarsi con scelte consapevoli a tavola. Dal 2009 collabora con il blog Soul&Food e con Lavinium. Dal 2015 è assaggiatrice ONAV e membro del consiglio provinciale di Milano. Ama scrivere e scattare foto per ricordare i luoghi e i sapori che ha vissuto e le piace scoprire nuovi locali nella città dove vive, Milano, dove gira sempre in bicicletta, per non lasciarsi intrappolare dalla frenesia dei suoi ritmi. Se volete fare breccia nel suo cuore, regalatele un dolce al cioccolato, il più fondente possibile.

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