Rollatina di gamberi rossi di Santa Margherita Ligure e Rosé Pas Dosé
L’Italia è una penisola allungata, con due grandi isole, quindi in condizione geofisica ottimale per disporre di grandi quantità di pesce. Invece da noi il pesce è sempre stato scarso e conseguentemente salato, nel senso di caro.
Il mare nostrum è un mare interno, di misure troppo ridotte e inadatte alle grandi migrazioni ittiche ed i pesci, vivendo sempre troppo vicini alle coste, sono esposti alla continua minaccia dell’uomo e non possono moltiplicarsi abbondantemente come avviene negli spazi oceanici. Inoltre, quasi tutta l’intera fauna acquatica è, negli ultimi decenni, minacciata da un massiccio incremento della pesca che cerca di far fronte ad un altrettanto massiccio incremento della domanda di pescato. Secondo un recente studio dell’Irepa (Istituto di Ricerche economiche per la Pesca e l’Acquacoltura), in Italia vengono commercializzate ogni anno circa 900 mila tonnellate di pesce di cui solo 230 mila pescate nei nostri mari.
Anche il Gambero Rosso di Santa Margherita Ligure, protagonista di questo marinaresco menu, deve fare i conti con la cruda realtà.
La pesca del Gambero Rosso di Santa Margherita Ligure ha una storia che parte dalla fine degli anni ’20, quando, con l’avvento dei primi pescherecci a vapore, che andavano a sostituire le paranze a vela, i pescatori liguri iniziarono ad allontanarsi sempre di più dalla costa, praticando la pesca a profondità superiori ai 200 metri, in zone fino ad allora inesplorate. Le marinerie di Genova e Santa Margherita Ligure, già a partire dal 1925, furono tra le prime in Italia ad esplorare questi fondali che si rivelarono molto pescosi di gamberi.
Dopo la pausa forzata, dovuta agli eventi bellici della seconda guerra mondiale, se ne potevano pescare fino a 10 quintali al giorno per barca.
Attualmente la pesca del Gambero Rosso, a Santa Margherita, viene praticata da un piccolo numero di motopescherecci di piccole dimensioni, in battute di pesca giornaliere che garantiscono freschezza e qualità del prodotto.
A fine 2018 si è concluso il percorso che ha portato il Gambero Rosso e il Gambero Viola, pescati a Santa Margherita Ligure, ad ottenere la denominazione comunale (De.Co.).
Ingredienti
- 10 Gamberi Rossi di Santa Margherita Ligure
- 2 patate di medie dimensioni
- 2 melanzane della varietà nana precoce a frutto piccolo (violetta nana)
- 1 cipollotto rosso piccolo
- 1 cucchiaio di succo di limone
- 200 cl. di olio evo 100% italiano
Presentazione (per ogni piatto): tre avvoltini di gamberi (lo chiamo avvoltino per distinguerlo da involtino che, ahimè, riecheggia quello “primavera“, tanto caro alla cucina cinese), misticanza di rucola, scarola, puntarelle di Catalogna, germogli di fave, uova di lompo.
Prima di iniziare…
Vesto la camicia rossa, dello stesso colore dei gamberi che ho sul tavolo della cucina e stappo uno Scimiscià che Guido Zampaglione ottiene da una vigna a San Lorenzo della Costa, sulle alture del Golfo del Tigullio.
Lo Scimiscià (o Scimixà) è un’uva controversa. Si può considerare una varietà selvatica che predilige terreni selvatici, pietrosi: ha bisogno della pietra, di povertà assoluta. Il nome deriva da cimiciaio, assembramento di cimici ed è dovuto ad una punteggiatura superficiale della buccia che viene ricondotta alla puntura della cimice. In realtà l’acino accumula molta materia zuccherina e l’esposizione ai raggi del sole carammellizza a puntini lo zucchero. Ha una buccia sottile, problematica da lavorare con le vinificazioni convenzionali ma, quella di Guido, è una vinificazione naturale che adotta anche nelle sue altre due aziende vitivinicole; una in Monferrato (Cascina Grillo) e una in Alta Irpinia (Il Tufiello).
È il primo anno di questo vino e non c’è ancora l’etichetta, quindi lo chiamerò Costa San Lorenzo. Mentre si sprigiona la complessità di profumi di questo Costa San Lorenzo, chiudo gli occhi e vedo le vecchie terrazze con le viti a spalliera di Scimiscià che Guido ha salvato dall’abbandono, disposte su un eroico fazzoletto di terra sul mare di Santa Margherita Ligure.
Al contatto con jodio, alghe e muschio, mescolati insieme in un amalgama perfetto, la gola si scombussola.
Penso che la vita, che è già bella di suo, è ancor più bella con un calice di vino in mano e mi viene in mente la pregevole Coppa trivulziana del IV secolo, conservata al Museo Archeologico di Milano e all’iscrizione che l’ha resa famosa; “Bibe Vivas multis Annis”, che non ha bisogno di traduzione perché si può facilmente interpretare e che, da sola, vale più di mille proclami sulla genuinità del vino, sbugiardando implacabilmente quelli che vorrebbero bollarlo come dannoso alla salute.
Faccio partire Nada como el Sol e appena Sting intona “Un dia danzaremos…un dia cantaremos…libres” il mio animo è pronto per passare alla…
Esecuzione
Tolgo le code dei gamberi e le taglio a fettine sottilissime.
Spiano le fette su un foglio di alluminio comprimendole per formare una specie di sfoglia. Faccio bollire le patate poi le schiaccio, vi aggiungo un cucchiaio di olio evo italiano, mezzo bicchiere di latte intero, il sale e faccio una purea che tengo al caldo.
Pelo le melanzane, le taglio a dadini e le faccio dorare in padella con il trito di cipollotto e l’olio evo italiano.
Alla fine metto il contenuto nel tritatutto e insaporisco l’impasto con il sale e il succo di limone. Amalgamo la purea con le melanzane, adagio l’amalgama nella sfoglia di gamberi e arrotolo in modo da formare un avvoltino.
Adagio gli avvoltini in una pirofila spennellata con olio evo italiano e inforno per 5 minuti a 180°C.
Li tolgo dal forno, li dispongo nel piatto di portata, li irroro con un filo di olio evo italiano, guarnisco con le foglioline di misticanza e le uova di lompo.
Vino abbinato: Profilo Metodo Classico VSQ Rosé Pas Dosé Picchioni
Nel calice c’è un Metodo Classico dell’Oltrepò Pavese di Andrea Picchioni.
Andrea è un ideologo silenzioso, del vino del suo territorio.
Qualcuno lo ha definito erede naturale di Lino Maga.
Anche se questa definizione è impropria, perché l’erede naturale è il figlio Giuseppe, è vero che Andrea, del grande maestro del Barbacarlo, ha la pacatezza dei modi, l’umiltà, il fervore intimo nell’interpretare il lavoro di custode dell’artigianalità e genuinità del vino.
L’Azienda Agricola Picchioni Andrea, è certificata biologicamente ma la sua non è stata una “conversione”, perché l’amore e il rispetto per la terra, che lui ha, sono innati e non hanno bisogno di certificazioni.
Sono soprattutto i suoi vini rossi che lo hanno reso famoso ma il Profilo è una chicca riservata a pochi e lui stesso non ha mai fatto nulla per promuoverlo, anzi si schermisce quando qualcuno gli ricorda la straordinarietà di questo suo gioiello che lui tiene minimo 96 mesi sui lieviti.
Quello contenuto nella bottiglia che ho davanti, sui lieviti c’è rimasto 150 mesi.
È un Pinot Nero 100%, da vigne in Montecalvo Versiggia (Valle Versa).
Le uve, raccolte a mano in cassetta, una volta pressate, restano per 4 ore a contatto con le bucce. Il mosto fermenta quindi in acciaio a temperatura controllata. In primavera il vino base viene imbottigliato e lasciato sui lieviti per almeno 8 anni. Le bottiglie sono infine sboccate e colmate con vino dello stesso millesimo, senza aggiunta di zucchero.
Uno spumante dal colore ramato, perlage elegante e profumi freschi e briosi che rimandano alla fragranza tipica del Pinot Nero, ai suoi aromi fruttati. Le note minerali che scalpitano nel bicchiere contribuiscono ad aggiungere vivacità. In bocca si amplifica la freschezza e gli agrumi sgomitano per non farsi sopraffare dall’incipiente sapidità. La complessità e la sfaccettatura aromatica sono esaltate da bollicine finissime, abbondanti, cremose con una luce brillante di rara intensità e una deliziosa avvolgenza che allunga la persistenza gustativa.
È un vino intrigante, concreto, di grande classe che si abbina perfettamente alla delicatezza del piatto.
Valerio Bergamini