Vai a incontrare per la prima volta una persona. Ci passi assieme quasi otto ore degustando dei deliziosi vini abbinanti a qualche prelibatezza gastronomica mentre parli di un po’ tutto come fossi dinnanzi ad un amico d’infanzia che non vedi da tanto tempo. Quando è ora di andare via ti accorgi che ci sono ancora tante cose che hai lasciato in sospeso e vorresti approfondire e che quindi sarà necessario programmare un secondo incontro. Mi sembra superfluo dire che questa magica empatia che si è creata si manifesta solo quando il personaggio con cui interloquisci è persona vera, capace di trasmetterti genuine emozioni. Questo personaggio che oggi andremo a conoscere è il simpatico e frizzante Stefano Novello proprietario e responsabile delle sorti vitivinicole dell’azienda Ronco Severo.
Ci troviamo a Prepotto, piccolo centro rurale circondato dalle colline e dai vigneti all’interno della rinomata zona DOC dei Colli Orientali del Friuli in un territorio che si estende lungo la fascia collinare della provincia di Udine a ridosso del confine con la Slovenia. Molti fattori rendono unica questa zona. Le Prealpi Giulie riparano la vite dalle fredde correnti del nord, mentre l’influenza benefica del non lontano mare crea microclimi particolarmente favorevoli ad una viticoltura altamente qualificata. Ma uno dei fattori che maggiormente caratterizzano il territorio è la particolare caratteristica geologica del terreno: rocce marnose e arenarie che in superficie si sgretolano in frammenti scagliosi e via via in argilla finissima (la cosiddetta “ponka”, termine friulano che identifica la marna). La storia dell’azienda inizia nei primi anni del dopoguerra quando il nonno e gli zii provenienti dal vicino veneto comprano dei terreni nella zona di Prepotto. Famiglia di origini contadine dedita all’agricoltura e all’allevamento di bestiame, ma desiderosa di dedicarsi anche alla coltivazione della vite. Vengono risistemati gli antichi vigneti e restaurata la vecchia casa che diventa al tempo stesso abitazione e cantina. Stefano crescendo in un contesto che gli trasmette mille emozioni, si innamora subito della terra e di tutto il fantastico mondo del vino. Si iscrive nel 1982 all’Istituto Agrario di Cividale e nel 1988 ottiene la qualifica di enologo. Dopo alcune esperienze in varie aziende della California e del Nuovo Messico, ritorna a casa ed è pronto alle soglie degli anni novanta a prendere in mano le sorti dell’attività vitivinicola. Agli inizi mette in pratica quanto aveva imparato a scuola e si affida alla lettera ad una vinificazione di tipo convenzionale. Gli affari vanno bene, i vini sono apprezzati, ma a un certo punto a Stefano questo non basta più. Inizia ad avere altre idee per la testa. Desidera che il vino gli dia emozioni diverse, e gradualmente si avvicina al mondo dei vini naturali. Gli inizi non sono facili. I conflitti con il padre che non capisce le scelte del figlio. Gli antichi clienti che restano spiazzati da un così radicale cambiamento di prodotto. La necessità di rivolgersi ad altri estimatori per ricreare un nuovo bacino di acquirenti. Qualche dubbio personale che normalmente affiora quando si sceglie una strada completamente diversa. Tutte problematiche che Stefano affronta con coraggio e determinazione. Una vera e propria scommessa dall’esito imprevedibile, in cui lui riversa tutte le sue risorse e il suo impegno.
Nei circa 8 ettari di vigneto pratica una viticoltura che rispetta in modo maniacale la terra e la natura. Vengono messi al bando diserbanti e concimi chimici. I trattamenti eseguiti utilizzando solo zolfo e rame. La vendemmia svolta esclusivamente a mano con produzioni ridotte (45-50 quintali per ettaro) ed uve sane al perfetto grado di maturazione. In cantina le uve sia bianche che rosse subiscono lunghe macerazioni sulle bucce con l’utilizzo di soli lieviti indigeni. Vengono utilizzati tini troncoconici da 30 hl per i bianchi, mentre per i rossi si utilizza talvolta anche qualche barrique. Nessuna chiarifica e filtrazione che porta ad ottenere vini alle volte lievemente velati dai colori molto intensi. Viene aggiunta una piccola quantità di solforosa solo all’imbottigliamento. Annualmente vengono prodotte, a seconda dell’andamento stagionale, 20/25mila bottiglie. Nella pattuglia dei vini bianchi, troviamo il Pinot Grigio, il Friulano e il Bianco Severo, vero uvaggio ottenuta da un 60% di tocai friulano, 30% chardonnay, 10% picolit e una piccola porzione di ribolla gialla. Il Bianco Severo resta a contatto con le bucce all’interno dei tini troncoconici circa 40 giorni, mentre i monovitigni una decina di giorni in meno. Dopo la svinatura in contenitore di acciaio, il vino ritorna in botte dove resta quasi due anni a maturare in compagnia delle proprie fecce più fini, a cui segue un affinamento di circa sei mesi in bottiglia. I colori intensi dorati e ambrati che si ottengono, i profumi complessi e variegati che si sprigionano al naso sono accompagnati da un perfetto equilibrio in bocca dove la spalla di acidità e il contenuto di estratto ed alcol fanno prevedere un lungo e roseo futuro a questi vini.
La squadra dei rossi vede in campo lo Schioppettino, vitigno autoctono della zona, il Refosco e un Merlot base. Tutti in macerazione per circa 45 giorni sulle bucce e successivamente a maturare per due anni in botte, con una piccolissima percentuale che invece viene accolta dalle barrique e assemblata prima dell’imbottigliamento. Viene poi prodotta solo nelle migliori annate una riserva, il Merlot Artiul che sta in macerazione sulle bucce per circa sei mesi e dopo la svinatura và ad affinarsi per tre anni in barrique. Un grande vino capace di dare notevoli emozioni e con grandi prospettive di serbevolezza. Mai come questa volta risulta valida la regola che dice che il vino rappresenta lo specchio dell’anima del suo produttore. Prodotti che sono innanzi tutto figli di uve sane e di primissima qualità che in cantina devono seguire il loro percorso naturale senza interventi artificiali. Vini con la propria personalità che rappresentano fedelmente il territorio e l’annata, quest’ultima che ha sempre qualcosa di diverso da raccontare, con i suoi molti pregi e magari anche qualche piccolo difetto. Vini veri come vero è chi li produce. Stefano non vuole stupirci con effetti speciali, etichette artistiche o cantine ipertecnologiche, come quelle di certe aziende che sembrano essere dei piccoli parchi di divertimento che però molte volte ci distolgono dalle cose veramente importanti. Nella nostra società contemporanea, l’immagine, l’apparire, si sono ritagliati un ruolo importante (anche troppo) ma gli unici e insostituibili attori protagonisti di questo meraviglioso mondo devono restare l’uomo, il vino e il territorio. Sta a noi appassionati o addetti ai lavori, difendere quelle piccole realtà come Ronco Severo che portano avanti fra mille difficoltà quelle tradizioni secolari e un modo semplice e sano di fare agricoltura senza perseguire ad ogni costo la logica prioritaria del profitto. Un antico detto degli indiani d’America diceva: “Quando avrete abbattuto l’ultimo albero, quando avrete pescato l’ultimo pesce, quando avrete inquinato l’ultimo fiume, allora vi accorgerete che non si può mangiare il denaro“. Noi tutti abbiamo il dovere di combattere per far sì che le logiche del mercato e del consumismo sfrenato non ci portino ad una deriva senza ritorno. Il nostro piccolo contributo lo possiamo dare valorizzando e sostenendo quei tantissimi maestri e artigiani della terra che popolano lo stivale e che ci regalano ogni giorno prodotti naturali e di primissima qualità. Facendo questo faremmo un grande regalo a noi stessi e a tutte le generazioni che verranno dopo di noi.
DIALOGANDO CON IL VIGNAIOLO
Da dove deriva la nomenclatura “Ronco Severo” che hai scelto per rappresentare la tua azienda? La necessità di dare un nome all’azienda è nata quando gli zii, che prima erano parte comune della nostra attività, hanno deciso di intraprendere una strada indipendente e allora per evitare di confondere le due realtà targate Novello era necessaria una nomenclatura univoca. Inizialmente non sapevo dove far cadere la mia scelta, e fu in una serata enogastronomica con amici che fra un discorso e l’altro (“discorsi” di colore bianco e rosso) arrivò l’illuminazione vincente. E’ stato scelto il nome di mio padre Severo in modo da portare avanti la tradizione e il nome della famiglia, da vari decenni protagonista nei vigneti che si arrampicano lungo le colline di Prepotto.
A un certo momento della tua vita sembrava non avessi intenzione di seguire le orme di tuo padre, ma col tempo incominciasti a scoprire la gioia che ti dava produrre vino e il vivere fra le vigne e in mezzo alla natura. Ma se non avresti fatto il vignaiolo, cosa ti sarebbe piaciuto fare nella tua vita? E’ vero che a un certo punto della mia vita non volevo seguire le orme di mio padre, ma solo a causa di momentanei contrasti che abbiamo avuto. Pur lasciando la mia casa natia per un certo periodo, ho continuato sempre a lavorare nel settore ed è stato alla fine una bella esperienza. Io sono nato in vigna e in mezzo alla natura e non avrei fatto nulla di diverso perché è un mestiere che amo. Io sono un’entusiasta per natura, mi piacciono tante cose, ma fare il viticoltore mi ha sempre affascinato, è un lavoro che devi amare davvero perché ti riserva tanti sacrifici e poco tempo libero.
Le tue conoscenze in viticultura ed enologia sono frutto di passione e tanta dedizione sul campo o hai attinto da qualche maestro per “rubare” i segreti del mestiere? Diciamo entrambe le cose. La mia base di conoscenza è stata la scuola, poi mi sono fatto le mie esperienze sul campo, lavorando, cercando anche di confrontarmi con chi aveva più esperienza di me. Ma penso che la tua vigna sia sempre unica, con problematiche e caratteristiche diverse anche da quelle del vicino più prossimo al tuo vigneto. Quindi bisogna entrare in sintonia assoluta con le tue viti, imparare a conoscerle, rispettarle, capire le problematiche, qualche volta incorrere in qualche errore, solo così poi la natura ti ricompenserà di tutte le tue attenzioni e dedizione.
Quanto contano da 1 a 10 questi fattori, per riuscire a fare degli ottimi vini: Lavoro in vigna: Massimo dei voti, il lavoro in vigna è fondamentale: 10 Lavoro in cantina: In cantina bisogna non rovinare quanto di buone fatto in vigna, quindi: 6 Tipologia dei contenitori usati per vinificare: Ritengo che un uso consapevole dei contenitori in cantina sia importante: 8 Caratteristiche dell’annata: L’andamento climatico dell’annata caratterizza in maniera netta le caratteristiche del vino che finirà in bottiglia: 10
Produci fra gli altri lo Schioppettino, vitigno autoctono per antonomasia della zona di Prepotto. Qual è lo stato di salute di questo vitigno e soprattutto quali sono i margini di crescita commerciale di questo vino all’interno dei confini nazionali e magari anche esteri? Lo Schioppettino è un autoctono figlio di questi valli, che trova molti estimatori, commercialmente ha il suo mercato e il solo nome esprime curiosità e simpatia. E’ molto richiesto all’estero, specialmente negli USA e in Giappone. E’ una tipologia che può essere un importante cavallo da battaglia per i produttori di Prepotto, anche se i numeri di produzione sono limitati e non permettono di pensare in grande. Anche a me piace come vitigno ed è una tipologia a cui credo molto. Ho anche un piccolo appezzamento con circa 4500 viti a piede franco di circa 140 anni di età, una chicca di cui vado orgoglioso.
La zona di Prepotto con le sue colline nel cuore dei Colli Orientali del Friuli, è stata beneficiata di un terroir e di un microclima eccezionali per la coltivazione della vite. Ma se a doni della natura siete messi molto bene, com’è la situazione se parliamo di offerta turistica e promozione del territorio? Le valli di Prepotto sono eccezionali dal punto di vista paesaggistico, ma penso che in una terra dove si produce quasi esclusivamente vino, bisognerebbe dare più informazione, strutture e possibilità di offerta turistica a chi decide di venire nelle nostre zone. E’ vero che ci sono tanti luoghi vicini che posso rappresentare un’interessante meta, vedi ad esempio Cividale per fare un esempio. Ma a Prepotto abbiamo il vino, qualche agriturismo e poco altro. Sono stato in Austria, nella Stiria, e sono restato colpito da come oltre al vino, il turista abbia un arcobaleno di possibilità per trascorrere per il meglio il suo soggiorno vacanziero. Questa è la strada da seguire, nell’interesse di tutti.
Non usi fertilizzanti, vinifichi con lieviti autoctoni e temperature non controllate. Fai lunghe macerazioni sia per i rossi che per i bianchi. La solforosa compara in minime quantità solo al momento dell’imbottigliamento. Insomma segui la corrente dei produttori di vini naturali. Cosa c’è dietro a questa tua scelta di seguire questa strada per produrre i tuoi vini? Sono il più grande consumatore dei miei vini e questo basterebbe per spiegare la strada che ho deciso di seguire. A un certo punto ho iniziato a non riconoscermi più nei tanti prodotti che bevevo in giro e gradualmente ho virato verso un’altra filosofia di intendere il vino e il lavoro in vigna e in cantina. Non voglio essere presuntuoso e dire che i miei vini siano i migliori e non abbiano difetti. Anzi sono vini che magari non sono perfetti come altri ma secondo me hanno un’anima che non sempre si riscontra in tutti i prodotti in circolazione.
A proposito dell’associazione Viniveri e della manifestazione che si tiene ogni anno in concomitanza con il Vinitaly. Pensi che Cerea resti la sede migliore per chi segue una certa filosofia o ci potrà essere in futuro la possibilità che i produttori che frequentano abitualmente VinoVinoVino e magari anche quelli di Vinnatur possano ritagliarsi un proprio spazio esclusivo all’interno della fiera veronese? Abbiamo più volte discusso fra noi produttori su questo argomento, ma penso che alla fine non ci sarà la volontà da parte dell’associazione Viniveri di andare al Vinitaly. Il mio pensiero è che le divisioni fra le varie associazioni creino confusione nel consumatore. Credo che la possibilità di avvicinarsi a Verona, magari in un’altra sede, non vada scartata a priori. Ci sono molti appassionati e addetti ai lavori che vorrebbero avvicinarsi al nostro mondo ma che hanno poco tempo durante il periodo della fiera e si trovano ad avere dei problemi di semplice natura logistica e magari preferiscono andare e restare al Vinitaly. L’idea di un padiglione all’interno della fiera veronese potrebbe essere un’idea, ma dovremmo comunque evitare di essere inglobati nella massa dei padiglioni perché verremmo scacciati e sarebbe impossibile trasmettere adeguatamente il nostro messaggio e la nostra filosofia. Detto questo, penso che alla fine al Vinitaly probabilmente non ci andremo mai.
La tua missione è quella di produrre vini d’elevata qualità in modo naturale lasciando il ruolo di protagonista alle viti che devono produrre uve sane che permettano di produrre vini che rappresentino il territorio. Riesci sempre a seguire questo obbiettivo anche nelle annate più difficili senza scendere a compromessi? Una cosa certa e che non scendo mai a compromessi. Nelle buone annate è più semplice ottenere uve sane e di qualità che basta seguire nel loro percorso in cantina per ottenere poi ottimi vini. Nelle annate meno fortunate bisogna accettare quello che la natura ti dà. Non è nella mia filosofia intervenire in vigna e cantina con i mezzi che sono oggi a disposizione e cambiare gli equilibri naturali nel tentativo di ottenere quello che la natura in quell’annata ti ha negato. Ricordo un aneddoto dell’annata 2003. Eravamo in agosto, una grandinata compromise l’80% dell’uva prossima alla vendemmia. Io era quasi disperato, ma mio padre prese una bottiglia di vino e mi invito a sedermi e a berla assieme a lui. Io non capivo la sua rilassatezza e tranquillità. “La natura ti dà e la natura ti toglie” mi disse, “bisogna accettare le sue leggi con serenità e fiducia nel futuro”. Avevo sempre avuto un rapporto conflittuale con mio padre, ma queste sue parole fecero breccia nel mio cuore e le condivisi appieno.
Qual è il complimento che ti fa più piacere? Beh sono contento quando i miei clienti o consumatori mi dicono: “Sai Stefano, ho bevuto il tuo vino, ho finito la bottiglia e oltre ad essermi piaciuto sono stato bene, nessun mal di testa o effetti secondari da eccessiva degustazione”. Poi mi fa piacere come tanti ristoratori stanno cambiando atteggiamento nei confronti dei miei vini. Quando ho cambiato filosofia produttiva, le prime volte mi dicevano: “Stefano cosa stai combinando, forse e meglio che cambi lavoro”. Io ci restavo male ma sono andato avanti per la mia strada e ora le cose sono cambiate per fortuna.
Quale critica invece ti fa imbestialire? Ci sono tante cose che mi fanno arrabbiare. Ma in assoluto la cosa che mi fa più imbestialire è quando qualcuno dopo aver assaggiato per la prima volta un mio vino mi dice: ” mmm è un vino strano, diverso, difficile da capire”… dimmi che non ti piace, che avrà qualche difetto, che non è un vino perfetto, ma non dire strano e difficile da capire di un prodotto che viene fatto in modo naturale senza aggiunte di sostanze ambigue e seguendo le leggi della natura.
Hai raggiunto tutti i tuoi obbiettivi o hai qualche altro progetto all’orizzonte? Nella vita bisogna sempre migliorarsi e specialmente nel mondo del vino non bisogna mai fermarsi e adagiarsi. Questo è un punto di partenza, e avrei tanti progetti nel cassetto. Mi piacerebbe avere un altro appezzamento di terra per dare sfogo a qualche idea che mi gira per la testa. Poi vorrei ingrandire un po’ la cantina per renderla più funzionale, ed avere qualche spazio a disposizione per stoccare in maniere più ordinata le mie bottiglie. Ma la vedo dura. Oggigiorno se si lavora onestamente è difficile guadagnare abbastanza per permettersi qualche sogno in più, sarebbe più conveniente fare i furbetti, ma questo non rientra nel mio modo di essere e di questo ne vado fiero.
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