
E’ l’orgoglio salentino la prima cosa che mi viene in mente ripensando al mio soggiorno in Puglia in occasione di Roséxpo 2015, il salone internazionale dei vini rosati organizzato dall’associazione deGusto Salento all’interno del Castello Carlo V di Lecce, uno dei monumenti simbolo di questa affascinante città di origini messapiche insieme alla Basilica di Santa Croce e l’attiguo Palazzo dei Celestini e l’animatissima Piazza Sant’Oronzo, il “salotto mondano” leccese con al centro la maestosa Colonna dedicata al santo protettore della città. Proprio in questa piazza i resti archeologici dell’Anfiteatro Romano, scoperto per solo un terzo della sua originaria dimensione, si mescolano alla ricchezza e all’esuberanza del barocco seicentesco, così fecondo durante il Regno di Napoli da meritarsi la definizione di “barocco leccese”, con numerose chiese e palazzi costruiti nella tipica pietra leccese, di colore giallastro, finemente decorata con lavorazioni a scalpello poiché particolarmente malleabile. Non a caso Lecce è Capitale Italiana della Cultura nel 2015, dopo essere stata candidata a Capitale Europea della Cultura 2019.

Un orgoglio che esorta gli abitanti della penisola salentina ad essere estremamente ospitali, fieri del fascino e della bellezza della propria terra, ricca di arte e di prodotti enogastronomici unici, sempre propensi a farli scoprire al visitatore, senza tessere lodi spropositate ma attenti al suo parere e giudizio, da tenere in considerazione per migliorare attività e strutture per far sì che si ritorni a far visita e a soggiornare in questi luoghi. Un orgoglio che però non gli impedisce di collaborare tra loro, di fare gruppo, proprio per far conoscere al mondo intero, resto d’Italia in primis, la varietà e qualità delle tradizioni e dei prodotti di questa fertile terra.

IDeGusto Salento è uno dei segnali concreti di questo modo di essere. Presieduta dalla vulcanica Ilaria Donateo che può contare su collaboratori di fiducia come il suo vice Pamela Pascuzzo oppure Sara Latagliata, ideatrice e chef di Nobili Pasticci, senza dimenticare Jlenia Gigante, Francesca Angelozzi e Tonino Perrone, l’associazione è nata combinando 16 realtà vinicole unite dal comune interesse di promuovere le peculiarità e potenzialità del vitigno Negroamaro. Un esempio di sinergia molto importante in questo momento di crisi economica, per promuovere non solo i propri prodotti ma un intero territorio, che ha trovato l’approvazione e l’appoggio di diverse realtà economiche leccesi anche non strettamente legate al vino, che hanno capito l’importanza e la valenza di “fare gruppo” per attirare le attenzioni sul Salento.

Nell’ambito di questo scenario, la seconda edizione di Roséxpo ha sicuramente premiato gli sforzi compiuti dall’associazione in collaborazione con il Comune di Lecce e con l’area politiche e sviluppo rurale della Regione Puglia. La manifestazione ha riunito una novantina di aziende in rappresentanza di dodici regioni italiane e di alcune regioni estere, come la Provenza, la Loira, la Valle del Rodano, la Languedoc e la zona dello Champagne, la Slovenia e il Libano, rappresentata da Château Musar del recentemente scomparso Serge Hochar. Ma non solo. La manifestazione è riuscita in pratica a coinvolgere l’intera città di Lecce, a cominciare dalle vetrine dei negozi in tema “rosé”, passando ai seminari dedicati ai territori del vino rosato e alla spumantistica in chiave rosé, ai momenti gastronomici come le “interpretazioni di panino gourmet” all’insegna delle eccellenze gastronomiche locali abbinate ai vini delle aziende associate a deGusto Salento, fino ad appuntamenti culturali e artistici come la mostra “Phisys” con opere di vari artisti con tema la natura e le sue sfaccettature.

Tavola rotonda sul Futuro del Rosato Tra i vari eventi di Roséxpo, un ruolo di primo piano l’ha avuto la tavola rotonda “La Rosé Revolution: dal Bardolino Chiaretto al Negroamaro del Salento attraversando tutta l’Italia“, uno stimolante momento di incontro e riflessione sul futuro dei vini rosati italiani svoltosi nella splendida sala conferenze ricavata all’interno delle ex-cantine leccesi del Malcandrino. Il presidente del Consorzio, Franco Cristoforetti, ha spiegato in breve le tappe di questa “rivoluzione” avviata nel territorio del Bardolino, che ha come obiettivo trovare una propria identità partendo dalla grande varietà di colore che ha sempre avuto il loro Chiaretto. In seguito a un confronto-meditazione tra produttori di qualche milione di bottiglie con i “piccoli” da 5-6.000, complice anche l’annata favorevole come il 2014, per sua natura povera di colore e corpo, circa il 70% delle aziende hanno aderito a questo radicale cambiamento. Anticipando la vendemmia a inizio settembre per preservare la sanità delle uve e la freschezza e gli aromi del succo, la maggior parte delle aziende hanno prodotto un Chiaretto dal colore rosa scarico, buccia di cipolla, cercando di avvicinarsi alla palette di tre gradazioni di colore redatta dai francesi di Bagnole, capoluogo di una regione in cui il 97% dei vini prodotti sono rosati per complessive 180 milioni di bottiglie, senza che questo rappresentasse tuttavia un paletto rigido e avendo a disposizione un arco temporale di tre anni per cercare di individuare un colore standard. Un cambiamento che è stato immediatamente recepito e gradito dai mercati, Italia e Germania in primis, grazie anche a un’accurata e mirata comunicazione, che è partita dall’invito rivolto a buyer e consumatori di recarsi in azienda per renderli partecipi del prodotto fin dalla vinificazione delle uve. Sempre secondo Cristoforetti, questa mossa, unita ad altre iniziative per migliorare l’immagine e la qualità del prodotto, come ad esempio dare priorità all’utilizzo di vitigni autoctoni, ha ridato orgoglio ai produttori di Chiaretto Bardolino, portando un notevole aumento della domanda interna che ha fatto sì che la produzione passasse dai 5 a 12 milioni di bottiglie.

Gli interventi di altri produttori sono stati utili per avere un quadro più completo dello stato del vino rosato della nostra penisola. Sara Carbone ad esempio, stimata produttrice di Aglianico del Vulture, ha iniziato a produrre il suo “Rosa” utilizzando dei vigneti giovani, appena andati in produzione, anche sulla scia di un consiglio che le diede il suo importatore americano poiché intravedeva un mercato in ascesa, cercando di gestire un vitigno che per natura poco si presta a questa tipologia, avendo bucce molto cariche di colore. Sara ha scelto quindi una vinificazione pressoché senza macerazione di uva vendemmiata in anticipo, al fine di realizzare un vino fresco, che bene si abbini a una gastronomia che è cambiata, che si è decisamente alleggerita. L’andamento climatico della vendemmia 2014 purtroppo non l’ha aiutata: a ottobre nel Vulture si sono raggiunte alte temperature, l’uva si è arricchita oltremisura e quindi Sara ha deciso di saltare l’annata, scelta coraggiosa ma coerente con il suo progetto di rosato. Nel suo intervento la graziosa produttrice ha sottolineato come purtroppo nel suo territorio manca una marcata collaborazione tra grandi aziende, mentre esistono diversi casi di giovani produttori che, al contrario, stanno dando ottimi esempi di cooperazione.

Uno dei rosati pugliesi più noti e diffusi sul mercato, il Rosa del Golfo prodotto con maggioranza di uva negroamaro con un 10% di malvasia nera, quest’anno festeggia i 50 anni di produzione. Il vulcanico Damiano Calò, titolare della storica azienda di Alezio, da qualche anno l’ha voluto affiancare con un nuovo rosato, il Vigna Mazzì, con più struttura e un leggero affinamento in legno, convinto del potenziale sia di questa tipologia che di queste uve. Secondo Damiano nel territorio salentino manca un Consorzio di tutela per supportare e dare indicazioni alle aziende, così come sarebbe utile una sorta di “Manifesto”, uno schema che aiuti chi non ha idee chiare, necessario anche per ricercare un’identità. Anche lui ritiene fondamentale proseguire questa strada di cooperazione tra aziende, come lo è stato partecipare al progetto deGustoSalento, ed estendeva l’invito alla collaborazione anche alle istituzioni pubbliche, ree, secondo lui, di non avere ad esempio ben chiari i numeri relativi alla produzione di vino e di bottiglie prodotte.

Fattivo in questo contesto il quesito posto dal professor Amedeo Maizza, insegnante di marketing management all’Università del Salento: “E’ più importante andare a cercare nuovi mercati andando incontro alle loro esigenze, oppure creare un prodotto che attiri interesse del mercato, ovvero le aziende devono essere “Market oriented” o “Product oriented?”.“ Pareri pressoché unanimi sul fatto che tendenzialmente ci si sposta verso le esigenze del mercato, complice anche la globalizzazione. Però se da un lato non si può non tener conto del mercato, dall’altro si può provare a indirizzarlo con un buon prodotto abbinato a una giusta comunicazione, a condizione però che le aziende credano nel progetto in maniera pressoché unanime. Ecco allora l’importanza di avere un’identità, che per Maizza significa peculiarità, unicità di quel territorio e dei suoi prodotti, obiettivo raggiungibile tramite una “coopetition” tra aziende, neologismo per esprimere il mix tra cooperazione e competizione. Ribadendo la necessità e l’utilità di creare in Puglia dei centri di formazione e istruzione per saper comunicare territori e prodotti, il docente lanciava quindi l’idea di un’indagine di mercato in una decina di atenei coinvolgendo i giovani, consumatori di oggi ma soprattutto di domani, abbinando la ricerca di informazioni e alla comunicazione: “per esprimere un giudizio ed essere consumatori non necessariamente bisogna essere esperti di vino!“.

Altro punto toccato nel convegno il futuro delle “bollicine rosate”. A Bardolino la produzione si attesta circa sull’1%, anche perché in Veneto (ma credo in tutta la Penisola…) è ormai molto difficile contrastare sia sul piano della diffusione sia soprattutto su quello economico il “fenomeno Prosecco”; pertanto Cristoforetti è convinto che nella loro denominazione occorre senza dubbio concentrare gli sforzi sulla versione ferma del Chiaretto. Opinione condivisa da tutti i produttori presenti, anche se per Calò, che ne produce piccole quantità per un consumo pressoché regionale, è una tipologia-fenomeno da non trascurare.

Azzeccata e un pizzico provocatoria la domanda finale formulata da Stefano Garofano, titolare dell’azienda Tenuta Monaci di Copertino, produttrice del “Girofle”, tra i rosati più noti e quotati del Salento: “Al termine di questo incontro, che Rosato vorreste fare nel 2035?“. Senza tentennamenti, a Sara Carbone basterebbe rifare il suo “Rosa” del 2013. Damiano Calò auspica che si approfondiscano gli studi e la ricerca per individuare i terreni, i vitigni o i cloni che riescano ad esprimere appieno l’identità salentina. Concorde Franco Cristoforetti, che confida che in futuro degustando un vino rosato il consumatore possa riconoscerne la sua provenienza, sia essa di Bardolino, del Salento, del Vulture…

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