Seppie al nero con polenta e Sicilia Nero d’Avola
L’amico e collega Mario Crosta, purtroppo scomparso lo scorso 28 ottobre dopo 9 anni di intensa collaborazione con quasi 400 articoli, consapevole forse del peggioramento della sua cardiopatia con cui combatteva da anni ha voluto lasciarci alcuni suoi preziosi scritti che continueremo a pubblicare e che termineranno il 22 dicembre, certi di assecondare il suo desiderio. Sarà il nostro modo per sentirlo ancora vicino, al nostro fianco, a lui va tutta la nostra stima come uomo e come professionista e la nostra riconoscenza per il suo impegno e i suoi illuminanti contributi.
È una pietanza della tradizione della Serenissima Repubblica di Venezia che ha un forte legame storico con la stagionalità. La stagione di questi molluschi comincia in primavera, quando entrano nella laguna dal mare per depositare le uova ed è proprio in questo periodo che le seppie vengono pescate mentre le loro dimensioni sono all’incirca quelle del palmo di una mano e perciò consigliate alla griglia sopra la brace, come le facevo in Sardegna, pescandole presso il bagnasciuga sulla spiaggia di Platamona nelle serate di luna piena con una canna aguzza.
È proprio questo, infatti, il momento di maggiore voracità della giornata, quello in cui la seppia va a caccia di pesciolini, granchietti, gamberetti e altri piccoli molluschi attirati in superficie dalla luce lunare. In piena estate, poi, dalle loro uova nascono le seppioline ed è proprio quando queste escono dalla laguna verso il mare aperto che vengono pescate e cucinate per un altro piatto della tradizione veneziana chiamato “e sépe del Redentor” poiché il periodo coincide con la festa cristiana del Redentore che si celebra ogni anno la terza domenica di Luglio. Queste seppioline di dimensioni fino a 3 o 4 centimetri vengono prevalentemente infarinate e fritte. Per tutto il resto dell’estate fino alle feste di Ognissanti le seppie vengono pescate ancora in mare aperto, ma le loro dimensioni sono certamente più grandi.
Tutte quante sono comunque sempre buone “in tocio coi bisi“, cioè cotte in tegame con i piselli (vedi la ricetta di Ornella Bezzegato). Un’altra vera leccornia si ottiene dalla cottura delle seppie con il loro nero, quando sono veramente ottime se vengono accompagnate dalla polenta di mais Biancoperla ottenuta dal mais bianco, più delicata di quella gialla e dalla grana più fine, oppure se vengono usate per condire linguine e spaghetti.
Come pulire le seppie
Le seppioline nostrane non vanno pelate perché hanno una pelle sottile che in cottura si scioglie. Per pulire invece le seppie e le altre seppioline bisogna togliere l’osso, la bocca e gli occhi. Quando le aprite per eviscerarle dovete fare attenzione a non rompere il sacchetto del nero, quella sacca marroncina che rimane attaccata alla testa con due punte.
Per prima cosa, spingete con le dita l’osso fino ad estrarlo facendolo passare dall’apertura presente tra la sacca e i tentacoli. Poi separate i tentacoli dai visceri (sacca intestinale, vescichetta gialla e sacchetto del nero), tenendo con una mano la sacca e con l’altra la testa, quindi praticate un taglio appena sopra gli occhi per cavarli ed eliminarli insieme al becco. Non buttate il sacchetto del nero, anzi conservatelo intatto in frigorifero (non più di un giorno, massimo due) per utilizzarlo appunto come condimento, perché è saporitissimo. Spellate la sacca bianca così svuotata partendo dal cappuccio e staccando accuratamente e con delicatezza il lembo di pelle dalla polpa, facendo in modo di toglierla in un sol colpo. Se le seppie non sono molto grandi e volete servirle come secondo, potete lasciare intere le sacche bianche, altrimenti se volete usarle per condire la pasta vanno tagliate a striscioline non troppo sottili.
Come preparare la polenta
La polenta viene tradizionalmente preparata utilizzando dei paioli di rame poiché questo metallo permette di diffondere il calore in modo uniforme. In alternativa, si può utilizzare una pentola alta e stretta, così da non far evaporare troppo velocemente il liquido e in questo caso il metallo da preferire per la diffusione del calore è più l’alluminio che l’acciaio. La temperatura del fornello deve sempre essere tenuta abbastanza bassa e la farina di polenta va versata a pioggia poco alla volta mentre si fa girare l’acqua con un cucchiaio di legno allo scopo di evitare la formazione di grumi. Per rendere la consistenza della polenta più cremosa, basta semplicemente aggiungere acqua bollente durante la fase di cottura, seguendo le istruzioni del contenitore per quanto riguarda la durata. Per una versione più solida, invece, basta preparare la polenta in anticipo, aggiungere alla polenta del latte o della panna, amalgamando il tutto con una frusta elettrica per poi lasciarla riposare sotto un telo e servirla al momento a mestolate o a grosse fette con le seppie calde.
Ingredienti per 4 persone
- da 500 a 600 g di seppie ancora nere con i loro sacchetti di nero (circa 50 g)
- 100 ml di olio extravergine di oliva
- 2 spicchi d’aglio o di scalogno
- 30 g circa di prezzemolo tritato
- quasi mezzo bicchiere di vino bianco secco
- un peperoncino secco a piacere
- mezzo cucchiaino raso di estratto di pomodoro
- 250 g di farina di polenta bianca
- un litro circa di acqua (meglio se aromatizzata con verdure varie)
- sale fino quanto basta
Procedimento
Dopo aver preparato, svuotato, lavato le seppioline o le seppie a pezzetti e tenuta al coperto sotto un telo la polenta, sciogliete il contenuto dei sacchetti del nero nel vino bianco e tenete questo liquido da parte (eventualmente filtrato).
Preparate dell’acqua salata (meglio se aromatizzata lessandoci prima per qualche minuto sedano, alloro, porro, chiodi di garofano e bacche di ginepro) e portatela a bollore per sbollentarci le seppie a pezzetti o le seppioline intere già pulite per pochi secondi, quindi scolatele conservando l’acqua per riusarla in seguito e deponetele in un piatto o sopra un tagliere.
Rosolate gli spicchi d’aglio o di scalogno con 3-4 cucchiai di olio extravergine di oliva in una casseruola larga a bordi alti. Prima che l’olio diventi dorato aggiungete le seppie a pezzetti o le seppioline che avevate sbollentato e procedete a insaporirle mescolando per qualche minuto con un cucchiaio di legno.
Aggiungete a piacere il peperoncino secco sbriciolato tra le dita (non toccatevi gli occhi o la bocca se non avrete prima sciacquato bene la dita!).
Sfumate con il vino bianco in cui è stato sciolto il nero di seppia, fate evaporare, regolate il sale, insaporite con mezzo cucchiaino raso di estratto di pomodoro e coprite. Continuate la cottura per un quarto d’ora circa e a cottura ultimata completate con il prezzemolo tritato fresco.
Servite nei piatti degli ospiti la polenta che avrete lasciato riposare sotto un telo, a mestolate o a grosse fette a seconda della consistenza, e guarnitela con le seppie calde.
Il vino consigliato: Sicilia DOC Nero d’Avola Mandrarossa 2022 della Cantina Settesoli
Il cosiddetto ”matrimonio d’amore” negli abbinamenti tra cibo e vino è sempre consigliato e di solito si riferisce al consiglio ”mogli e buoi dei paesi tuoi”, com’era abitudine popolare per millenni. Ma ci sono anche le cosiddette ”scappatelle” impreviste per innamoramenti vari e in genere si riferiscono a vere e proprie cotte per un partner forestiero. Questo è proprio il caso dell’abbinamento che vi suggerisco. I vini rossi a base di plavac mali della sponda opposta dell’Adriatico che un tempo faceva parte dei territori della Serenissima Repubblica di Venezia vanno dunque benissimo con le seppie al nero, però… però… un fresco Nero d’Avola maturato per pochi mesi in acciaio inossidabile mi ha soddisfatto, questa volta, un po’ di più.
Ho conosciuto i vini di Mandrarossa piuttosto tardi, una volta già residente all’estero, a una degustazione del 2005 a Cracovia organizzata dall’Enoteca Italiana di Siena, a un tavolino della grande Cantina cooperativa Settesoli fondata nel 1958 a Menfi in provincia di Agrigento, infatti il nome Mandrarossa contraddistingue i suoi vini di elevata qualità. Ma chi l’ha detto che “piccolo è bello” per non riconoscere che alcune grandi, veramente grandi cantine, anche cooperative, raggiungono livelli di qualità eccezionale in alcuni loro prodotti?
Settesoli si estende su ben 6.000 ettari, di cui 1.035 dedicati alla produzione biologica, di ben 36 varietà di uve per circa 20 milioni di bottiglie l’anno di ben 280 tipi di etichette piazzate da 3 marchi aziendali (Settesoli, Mandrarossa, Inycom più altre, seguendo un apposito programma Roperty & Private Label) su 44 mercati (43% esteri). Settesoli con i suoi 2.000 soci, tra cui 155 viticoltori produttori in regime biologico, costituisce così il reddito da vitivinicoltura per 5.000 famiglie.
Mandrarossa Terra Viva nasce nel 1999 da uno studio durato oltre 20 anni che ha portato a individuare le migliori integrazioni tra vitigni e terroir, i fattori fondamentali per far esprimere al meglio le potenzialità di ciascuna tipologia di uva. Questo territorio della costa sudoccidentale dell’isola è caratterizzato da morbide colline degradanti verso il mare con distese di uliveti e vigneti che ne segnano il paesaggio, incorniciati da siepi e fichi d’India e circondati dalla macchia mediterranea.
È questo che ormai viene chiamato ”Menfishire” per rendere meglio l’immagine di uno dei più importanti distretti della Sicilia in cui l’agricoltura e la vitivinicoltura sono la fonte dello sviluppo dell’economia e della comunità locale.
Si tratta di un ambiente naturale unico, una costa della Sicilia ancora poco conosciuta e per questo incontaminata. Qui, accanto a vini perlomeno dignitosi, in massima parte buoni, ma alcuni perfino eccellenti, nascono anche un ottimo olio di oliva da varietà autoctone e altri prodotti ortofrutticoli quali il carciofo, il melone d’inverno, gli agrumi.
Spiagge, fiumi, colline, vigneti, uliveti e un sole abbagliante che splende tutto l’anno. Dalla palma nana al giglio marino, dall’airone allo scarabeo, fino alla tartaruga caretta caretta, questo territorio protegge e custodisce un patrimonio ambientale di inestimabile biodiversità. Una vasta area collinare, con il punto più alto a 440 metri di altitudine sul livello del mare, parte dal bosco del Magaggiaro e arriva fino alla spiaggia ed è proprio qui che hanno trovato il territorio d’elezione i vigneti Mandrarossa, con le loro geometrie perfette composte da piccoli fazzoletti di terra che disegnano un panorama eccezionale.
Scendendo verso sud il clima secco e asciutto gode i profumi salmastri delle brezze marine miti che accarezzano le diverse pendenze, con diverse esposizioni e altitudini e che, combinate con le differenti tipologie di suoli, creano tanti particolari microclimi, ciascuno studiato e prescelto come ideale per ogni vitigno che vi si coltiva.
Sono luoghi in cui le condizioni ambientali sono ideali per la coltivazione della vite che avviene sotto la luce forte, intensa e talvolta abbagliante del sole di giorno e in presenza di significative escursioni termiche più fresche la notte, rendendo salubri i vigneti e di grande qualità le uve.
Qui nel ”Menfishire” il vigneto di Mandrarossa, che dopo anni di studi ha iniziato a produrre nel 1999, si estende per 500 ettari che attraversano una moltitudine di bellissime contrade. Il territorio di Menfi è suddiviso, infatti, in una vera e propria costellazione di contrade, zone di campagna vocate e votate alle coltivazioni di vitigni tra cui primeggiano per tradizione le varietà autoctone come il rosso nero D’Avola e il bianco grecanico, ma anche gli internazionali syrah, merlot, cabernet sauvignon, viognier, petit verdot, alicante bouschet e chardonnay, fiano, chenin blanc e sauvignon blanc.
Il Sicilia DOC Nero d’Avola 2022 Mandrarossa è ottenuto da uve nero d’Avola vendemmiate a fine agosto. Il vigneto è esposto a sud e sudovest e coltivato a una densità tra 4.000 e 5.000 ceppi per ettaro su suoli calcarei a medio impasto con allevamento a controspalliera e potatura a Guyot. Dopo la macerazione e la fermentazione per 6-8 giorni a temperatura controllata nell’arco 22-25°C, la maturazione si è svolta in serbatoi di acciaio inox per un periodo di 3-5 mesi, quindi il vino ottenuto è stato filtrato per l’imbottigliamento.
Nel calice ha un colore rosso cardinale di media intensità con riflessi violacei, luminoso e trasparente. Attacca con un profumo di ciliegia nera che introduce un bouquet di prugna, more rosse di gelso e mirtilli tra leggere sfumature di chiodi di garofano, pepe nero, liquirizia e cioccolato. In bocca è potente, ma morbido con tannini davvero ben levigati verso un finale fruttato succoso e sapido, con una ventata di brezza di mare.
Per gustarlo meglio, suggerirei di servirlo fresco di cantina e di mantenerlo a 16-18 °C e non oltre, abbinandolo principalmente a taglieri di salumi e formaggi, pasta al ragù, salsicce alla griglia, agnello arrosto, carni rosse alla piastra croccanti fuori ma tenere e cariche di succhi all’interno e selvaggina.
Mario Crosta
Cantine Settesoli S.C.A.
S.S. 115 – 92013 Menfi (AG) – Italia
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