Spumanti per Natale e Capodanno – Parte Quarta: Langhe
Concludo con questo quarto articolo la serie di quest’anno che ho voluto dedicare agli spumanti in occasione del periodo in cui se ne consuma molto di più del previsto. Ho parlato e parlo ancora di esperienze “nuove” piuttosto di quelle più affermate. Come sapete benissimo, preferisco sempre andare controcorrente. Penso che Mauro Sebaste, che proprio quest’anno ha incominciato a produrre un metodo classico blanc de blanc nell’Alta Langa sia proprio il commiato temporaneo ideale, perché posso tornare al mio adorato Piemonte, dove ho cominciato la mia avventura con il vino che dura da oltre mezzo secolo e anche con gli spumanti, di cui ricordo il primo, un Contratto Brut, il secondo, Montelera riserva Martini e poi la fortunata serie di Cinzano Marone, Contessa Rosa Fontanafredda, Duca d’Alba Calissano, President Reserve Riccadonna e altri.
Sono innamorato da sempre di eccellenti metodo classico prodotti in Oltrepò Pavese, in Trentino, in Alto Adige / Südtirol e ne trovo anche di ottimi in Veneto e qualcuno anche in Franciacorta, in Friuli e nella Venezia Giulia, Non disdegno però quelli che stanno producendo di recente anche in altre regioni italiane nelle zone particolarmente vocate alla vitivinicoltura, non sempre con grande successo, per ora, almeno per il mio gusto personale. Queste cantine, tuttavia, vanno tutte incoraggiate, perché la domanda di bottiglie con le “bollicine” è l’unica del comparto del vino che è in rapida crescita in tutto il mondo e può darsi benissimo che ciò che oggi non ha un fascino particolare al mio palato ce l’abbia invece già con quello degli altri.
E poiché da adolescente ho cominciato con il Piemonte, finisco questa prima serie con il Piemonte e in particolare con l’Alta Langa, dedicando questo articolo al buon Mario, incontrato mentre a 77 anni saliva a zappare la vigna intorno al castello di Grinzane Cavour, un uomo che da giovane aveva lavorato in fornace, poi in varie cascine e che viveva con 2 litri di Dolcetto al giorno. «Ma quello leggero… 11 gradi» confessava allegramente nei suoi ultimi anni prima che, grazie al Comune, fosse finalmente curato e assistito come si doveva nella casa di riposo a Monforte d’Alba.
Il suo Piemonte, le sue Langhe, hanno sempre festeggiato da tempo immemorabile e per tante generazioni i momenti più gaudiosi non con i moderni spumanti di pinot nero e/o chardonnay, ma con il Moscato d’Asti, già citato nei documenti fin dal 1511.
Renato Ratti considera il milanese Giovan Battista Croce, un milanese che si era trasferito in Piemonte alla fine del ‘500, il fondatore della branca enologica piemontese che ha dato origine a questo vino dolce, aromatico e poco alcolico, il vino meno alcolico del mondo. Il metodo classico per spumantizzarlo qui è stato importato successivamente nella seconda metà dell’800 da Giuseppe Gallese, poi è stato diffuso dal fratello Giovanni e infine è stato perfezionato da Carlin Artusio, maestro di molti spumantisti, tra cui quelli delle ditte Calissano, Carretta, Cora, Fontanafredda, Serafino ed era un vero incubo da fare quando non c’erano né i frigoriferi, né gli enzimi, né i flottatori, ma contava soltanto l’abilità vera del moscatista, una vera scommessa! La filtrazione con i sacchi olandesi da lavare in acqua fredda a dicembre o in certi casi con i sacchi molton, e in fretta altrimenti diventava ”amaro”, l’uso oculato del tannino Lepetit e della colla di pesce Saliansky per chiarificarlo, ma solo al momento giusto, non prima, quando il mosto era ancora un pochino torbido, con una schiuma appena visibile, altrimenti rifermentava nei tini e veniva fuori un vero pasticcio che mandava a Remengo tutto il lavoro di un anno in vigna. E, come mi diceva mio cugino Tino Farioli che si era diplomato enologo ad Alba, al massimo andava bevuto entro Pasqua. Prima che io nascessi, in zona era arrivata dapprima una tireuse a sei becchi per spumanti fornita dalla ditta Colombo alla Martini e Rossi, quindi la prima riempitrice Omec isobarica in competizione con le tedesche Seitz, poi la prima autoclave italiana Gianazza, infine il primo originale pastorizzatore a immersione Siro Aliberti. Era nato così quel formidabile indotto tecnologico che ancora oggi è un vanto della città di Canelli, la capitale piemontese delle bollicine.
A fine anni ’50 e inizio anni ‘60, ai tempi di Tersilla Dogliani, quand’ero bambino e giocavo con i primi cestelli di ferro per i bottiglioni in cortile da mia zia Mariuccia con lo zio Renzo che imbottigliava vino per tutta Busto Arsizio, erano arrivati in zona i primi filtri Gasquet, Gianazza e Dal Cin, le prime presse orizzontali Vaslin con la gabbia di legno e le catene in ferro, infine il primo impianto di serbatoi in acciaio inox AISI 316 della Siai-Lerici con accessori in bronzo. Il Moscato d’Asti spumante DOCG è diventato così lo spumante dolce più conosciuto al mondo, anche se personalmente rimango affezionato fin da bambino alla versione frizzante e leggerissima di più antica tradizione, perché non c’è festa se i bambini non possono ”pucciare la lingua” nel vino insieme con tutta la famiglia e si sa che lo preferiscono dolce ed è meglio che abbia pochissimo alcool.
Oggi, però, con il progresso tecnologico ed enologico successivo all’introduzione della tecnologia del freddo e del controllo dei processi di cantina, si può godere della moderna tipologia di metodo classico. L’Alta Langa rifermentato in bottiglia (DOC dal 31 ottobre 2002 e DOCG dal 21 febbraio 2011) è prodotto soltanto nei territori autorizzati delle province di Cuneo, Asti e Alessandria con un rigido disciplinare di produzione che richiede una densità di almeno 4.000 piante per ettaro coltivate ad altitudini superiori ai 250 metri su terreni marnosi calcareo-argillosi a fertilità moderata con basse rese in campo (massimo 110 quintali per ettaro) e in vinificazione (massimo 7.150 litri per ettaro). Le operazioni di vinificazione, imbottigliamento, spumantizzazione, elaborazione e invecchiamento dei vini ”Alta Langa” devono essere effettuate nel territorio della Regione Piemonte.
Vi descrivo perciò tutt’e due le tipologie, perché sono rimasto scioccato come Saulo sulla strada di Damasco per quanto hanno fatto ultimamente dei passi da gigante in qualità, in piacevolezza e in freschezza.
Alta Langa Dosaggio Zero Avremo Millesimato 2018
È il nuovo metodo classico Alta Langa prodotto da Mauro Sebaste a partire dalla classica cuvée tra pinot nero (80%) e chardonnay (20%), la tipologia più diffusa da queste parti, anche se si può trovare del blanc de blancs. Il nome non è altro che l’acronimo delle iniziali delle tre vigne in cui sono coltivate le uve ad altitudini tra i 420 e i 550 metri sul livello del mare: AVene (a Mango), REmondà (a Diano d’Alba) e MOrtizzo (a Montelupo).
I suoli sono particolarmente adatti ad apportare eleganza e finezza ai vini base per spumanti, con la loro predominanza marnoso-calcarea e la loro ricchezza in scheletro e microelementi. La raccolta delle uve è stata fatta da metà agosto fino ai primi di settembre e ogni varietà è stata vendemmiata e vinificata a parte. Dopo la consegna alla cantina e una sosta di un paio di giorni in cella frigorifera i grappoli sono stati selezionati sopra un tavolo vibrante e poi pressati interi in pressa pneumatica, separando accuratamente le ultime frazioni di mosto. Dopo la decantazione statica a freddo i mosti di pinot nero e chardonnay sono fermentati a temperatura controllata, per circa due terzi in serbatoi di acciaio inox mentre per circa un terzo sono fermentati in barriques e in tonneaux preferibilmente di secondo passaggio. Dopo la svinatura dai serbatoi di acciaio inox quei vini hanno fatto un primo travaso di pulizia e hanno passato l’inverno sulle loro fecce fini. Un mese prima del tirage si è preparata la cuvée del vino base assemblando tutti i vari vini dalle botticelle e dai serbatoi di acciaio inox. Dopo una leggera chiarifica e filtrazione, a febbraio dell’anno successivo alla vendemmia si è effettuato il tirage per favorire la rifermentazione in bottiglia. La lenta presa di spuma e la successiva maturazione in bottiglia sono durate almeno 30 mesi, quindi è avvenuta la sboccatura, la colmatura e il confezionamento definitivo con tappo in sughero e gabbietta metallica.
Nel calice ha un bel colore giallo paglierino luminoso con una spuma abbondante che lascia il posto a un’effervescenza continua e molto fine. All’attacco sviluppa un profumo di mela verde e bergamotto che apre un bouquet di aromi di fiori di biancospino, crosta di pane casereccio e nocciola fresca sbucciata. In bocca è secco come un chiodo, un’icona per chi ama il pas dosé. In bocca è vispo, sapido, di grande equilibrio fra i sapori di frutti bianchi e scorze di agrumi, pulito e rinfrescante. Il finale è succoso e persistente tra sfumature salmastre con sentori di alghe e di telline. È un vino di grande finezza e personalità, perfetto come aperitivo e ottimo da tutto pasto sia con pesce che con carni bianche, ideale per il vitello tonnato e il cappone in gelatina.
Moscato d’Asti 2020
I miei lettori affezionati sanno che non metto mai delle valutazioni. Non mi arrogo il compito di giudice monocratico e non ho mai nemmeno voluto fare il giurato nelle giurie che assegnano dei punteggi ai vini. Mi limito a descriverli meglio che posso, poi è il cliente che decide se gli piacciono oppure no e quanto gli piacciono, perché il gusto è sempre soggettivo anche se la qualità è oggettiva. Ma questo vino dolce, frizzante, leggero, profumato, gustoso mi ha mandato in tilt. È esattamente come avrei sperato che fosse, un vero amore d’infanzia ritrovato dopo ben 60 anni. Una goduria suprema. Gli assegnerei una corona regale! Le vigne di moscato bianco per questo Moscato si trovano nel comune di Mango, Bricco Avene e Schiasso a un’altitudine di circa 500 metri sul livello del mare su terreno di medio impasto, a reazione sub-alcalina, con sufficiente dotazione di sostanza organica. I grappoli sono stati diradati in estate e quelli selezionati e maturati sono stati raccolti a metà settembre a mano in cassette forate da 25 kg.
Dopo un paio di giorni in cella frigorifera e una seconda selezione sopra un tavolo vibrante le uve sono state pressate sofficemente e il mosto è stato decantato a freddo da 10 a 15 giorni in vasche di acciaio inox a temperatura controllata, quindi è stato illimpidito. Successivamente è iniziata la trasformazione dello zucchero presente nel mosto in alcool e anidride carbonica. Al raggiungimento del tenore di circa 5 gradi alcolici è stata abbassata la temperatura per interrompere la fermentazione, durante la quale si è sviluppata naturalmente l’anidride carbonica che è rimasta disciolta nel vino, conferendogli quella naturale freschezza caratteristica del Moscato d’Asti. il vino è rimasto in vasca di acciaio inox per circa 1 mese, quindi è stato imbottigliato a fine novembre. Il tenore alcolico finale è del 5,5% e il residuo zuccherino naturale è di circa 140 g/l.
Nel calice il colore va dal giallo paglierino al dorato molto chiaro. Forma una bella spuma rapidamente evanescente che lascia il posto a un perlage raro e finissimo. All’attacco è fragrante nei suoi profumi di miele di tiglio e di fiori di cedronella che aprono un bouquet fruttato delicato, intenso, aromatico, molto persistente. È quasi impossibile continuare a deliziarsi degli aromi perché eccita subito la bocca. È dolce e cremoso, anzi grasso, sa di miele di acacia, polpa di mandarino, mela renetta matura, albicocca matura, succosa pesca gialla matura, caramelline di zucchero ”fruttino”. Il sapore dolce è semplicemente delizioso, in perfetta armonia con il fruttato e in affascinante equilibrio con il basso tenore alcolico e con l’acidità piacevole, non elevata, che gli dona una piacevole freschezza. Il finale è pulito, sensuale, sorprendentemente rinfrescante.
È uno splendido vino da dessert gustoso e succoso che si accompagna molto bene con tutta la buona pasticceria fresca e secca, i dolci da forno, i dolci farciti con crema pasticcera, i dolci natalizi e pasquali, la pastiera napoletana, i gelati, gli strudel e le composizioni di frutta fresca come le macedonie, i marbré e gli aspic con la vaniglia e con il cioccolato bianco. Questo vino è anche un’ottima base per preparare dei long-drinks e lo si può bere semplicemente anche come aperitivo e in poltrona dopo pranzo.
Mario Crosta
MAURO SEBASTE Azienda Agricola Sylla
Via Garibaldi 222 bis, frazione Gallo Conforso, 12051 Alba (CN)
coordinate GPS: lat. 44.649330 N, long. 7.978653 E
Tel. 0173.262148, fax 0173.262954
sito www.maurosebaste.it, e-mail info@maurosebaste.it