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AnteprimeIl vino nel bicchiere

Alba Wines Exhibition 2009: Roero e Barbaresco 2006

Manifesto AWE 09Quando gli alberi non servono più
Tante ferite, ma nessun colpo mortale. Arrivando in Langa da Dogliani tagli in due la Bussia e sei a Monforte d’Alba. Il solito scenario ininterrotto di vigne ha qualche buco. Sapevamo che le piogge torrenziali, violente, durate giorni, dell’inizio di Maggio, avevano fatto qualche danno. Dal vivo ci è apparso un paesaggio ferito, tagliato, dolorante, ma per fortuna vivo e vegeto. Scendendo verso Alba, attraversando Castiglione Falletto, ci si rende conto che danni ce ne sono stati un po’ ovunque. “Quasi tutti qualche filare danneggiato l’hanno avuto” ci dirà un vignaiolo nei giorni successivi. Strade franate e rattoppate, alcune proprio interrotte. Filari non più geometricamente in fila a disegnare onde, ma alcuni zig-zag, in alcuni casi dei veri e propri buchi in mezzo alle vigne, come se sotto non ci fosse nulla. Solo vigne giovani? “Non solo, anche alcune vigne vecchie sono franate” ci diranno. In alcuni casi campi incolti caduti giù come uno slittino sul ghiaccio ad inondare i vigneti sottostanti. Spesso in molti, anche noi da queste parti, ci siamo chiesti: ma tutti quegli alberi che hanno lasciato spazio negli anni ai vigneti, non servivano forse a qualcosa? A questa domanda, solitamente, pochi annuiscono, tanti cambiano discorso. Il dubbio rimane, anche qualcosa di più. È pur vero che quest’inverno di neve ne è caduta moltissima, poi le piogge violente: un tocca sana da una parte, dopo anni di alternanza quasi siccitosa, ma che rischia di diventare un boomerang se la natura non ha più gli equilibri che gli sono propri. Quasi una sorta di pudore ci ha fatto desistere, durante tutti i giorni trascorsi alla XIV edizione di Alba Wines Exhibition, dall’immortalare su foto il tutto, fino a quando siamo definitivamente ripartiti ed abbiamo preferito ricordare solo quelle colline così ricche di fascino ed i vini che avevamo degustato durante i quattro intensi giorni passati tra il Palazzo Mostre e Congressi di Alba al mattino e le enoteche regionali al pomeriggio.

Esserci o non esserci?
Prologo con Roero 2006 (e Riserve 2005) ed inizio tour con Barbaresco 2006 (e Riserve 2004) nei primi due giorni. A seguire i tapponi del Barolo 2005 (e Riserve 2003). Solite assenze, specie tra i big, altre che si aggiungono di anno in anno. Non fa piacere, ma al di là dei limiti delle anteprime, che in questo caso, francamente, si stentano ad elencare, viste le meravigliose condizioni nelle quali i giornalisti vengono messi a degustare (sale bianche, silenzio, servizio preciso, paziente e pressoché impeccabile dei sommeliers AIS), sarebbe giunto il momento che i produttori, riuniti tutti intorno all’Albeisa, l’associazione che organizza Alba Wines Exhibition, si decidessero una buona volta a dirsi, e poi a dirci, che strada vogliono intraprendere. Mi piacerebbe accompagnare qualcuno di loro altrove, per far capire che gioiellino hanno a disposizione. Impossibile giudicare i vini degustando per circa 4 giorni una settantina di campioni a mattinata? Può essere: errori ce ne sono e ce ne saranno sempre. Non siamo macchine, ma neanche stupidi. I propri limiti si conoscono, così come la possibilità di prendere lucciole per lanterne. Ma il problema non è il mezzo, ma al massimo il fine. Se dei colleghi dovessero considerare come insindacabile un unico assaggio di un Barbaresco in un anno, avvenuto nel contesto di un’anteprima, che ripeto, non è in sé perfetto, farebbero un torto a loro stessi e ai produttori.
Ma, pur non avendone certezza, non credo che questo avvenga. Al mio fianco sedevano quest’anno parte dei collaboratori di una nota guida cartacea, anzi, praticamente erano quasi tutti presenti. Incrociano i dati di più penne, ma non è certo solo Alba Wines il momento che utilizzeranno per emettere poi giudizi finali e voti! Noi di Lavinium non facciamo guide, ma ugualmente cerchiamo di soppesare con cura i nostri giudizi dopo Alba Wines e li incrociamo con le successive degustazioni che faremo in giro per l’Italia degli stessi vini. Sembra scontato tutto ciò, ma forse è bene sottolinearlo.

DegustatoriLe anteprime, specie se organizzate in questo modo, sono un grande momento di confronto e consentono quel primo sguardo di insieme su annate che di lì a poco andranno in commercio. Punto e a capo: poi si continua, sul territorio possibilmente, tutte le volte che è possibile farlo, per cercare conferme o smentite, per approfondire e riassaggiare. Nessun giudizio insindacabile e definitivo. Decidere di non partecipare è una scelta legittima e come tale va rispettata. C’è chi è baciato da un successo di critica e pubblico da anni e quindi pensa che avrebbe solo da perderci a mischiarsi alla cieca nel gruppo. Comprensibile. Però Alba Wines non è un’allegra sagra di paese, pur con tutta la stima e la simpatia per quest’ultima. Qui di allegro c’è ben poco: ci sono professionisti che cercano di fare al meglio il proprio lavoro, ognuno, ovviamente con il proprio gusto e stile. Dove sarebbe il problema? C’è chi non partecipa perché anche l’amico non lo fa. C’è chi non è pronto, il vino è ancora in botte. C’è chi esce l’anno dopo. C’è chi dice che costa troppo partecipare e allora bisogna scegliere cosa fare durante l’anno. Tutto sacrosanto e rispettabile, ma c’è un ma. Se svuotiamo di contenuto Alba Wines dovrete poi essere voi a girare come trottole (ben inteso, già lo fate) per far assaggiare i vostri vini con la stessa professionalità e cura, sempre che questo sia ancora importante per voi.
E non sarebbe la stessa cosa: per una volta all’anno portate qui per qualche giorno degustatori da tutto il mondo, direttamente sul territorio. Quest’anno c’era una flotta di buyers stranieri ed enotecari nostrani, come l’anno scorso, oltre ad un nutrito stuolo di giornalisti stranieri, dal Giappone al Brasile. Non sembra così disdicevole il tutto. Mi chiedevano, entusiasti, alcuni di loro: ma le anteprime in Italia sono tutte organizzate così? No, purtroppo.

Barbaresco 2006 e Riserve 2004
Prima uno sguardo indietro, al 2005: un’annata difficile si era detto, con il problema delle abbondanti piogge in periodi cruciali per il nebbiolo come a settembre ed ottobre. Durante le giornate di Alba Wine dell’anno passato emerse un quadro composito, difficile, con alti e bassi, a macchia di leopardo, ma con stoffa: trame tanniche a volte verdeggianti, un comune su quattro, cioè Neive, che presentava dei nebbioli decisamente meno equilibrati. Ma c’era tanta sostanza: il veloce riassaggio pomeridiano di molti campioni presso l’Enoteca Regionale del Barbaresco quest’anno ha confermato una lenta, ma presente, progressione, sia aromatica che gustativa, che lascia indubbiamente ben sperare.
Più lineare, aromaticamente di discreta espressione già ora, invece, l’annata 2006. Sono probabilmente mancati, a livello quantitativo, i picchi di eccellenza, quei vini che ti fanno saltare sulla sedia a fronte, però, di un discreto livello medio questa volta ben distribuito su tutti i comuni. La profondità aromatica, quel mix di sfumature che riescono a rendere complesso ed affascinante come pochi vini al mondo il nebbiolo, per ora, sono, come è giusto che sia, ancora in cantiere. Austerità, scontrosità in gioventù, ma ottime prospettive nel lungo termine per il 2005. Mentre per il 2006? Difficile a dirsi, ma sembra manchi quella spinta che, seppur tra chiari e scuri, era presente nell’annata precedente. Anche nel 2006 il tempo ha fatto le bizze d’altronde: caldo torrido e siccità a Giugno e Luglio. Clima più fresco ad Agosto, ma sempre con piogge scarse, infine le grandi preoccupazioni di settembre, con temporali intensi e violenti. La trama tannica è meno irruenta e nervosa rispetto al 2005, più semplice se vogliamo da leggere. Probabilmente saranno vini pronti prima, che raggiungeranno l’apice di maturità in anticipo rispetto al 2005. La scorciatoia della muscolarità, della sovraestrazione di colore sembra, tranne oramai rari casi, che a questo punto spiccano ancora di più in tutta la loro estraneità dal vitigno di partenza e dal territorio, definitivamente sul viale del tramonto. Già l’anno scorso, d’altronde, si intravedeva un percorso che quest’anno prosegue. Sono cambiati i gusti oltreoceano? Comprano meno, causa crisi, e quindi non bisogna più mostrare le spalle al mercato del bel paese? Difficile dirlo: tutti, e lo vedremo anche a Barolo, lavorano di più “in sottrazione”. Probabilmente è corretto annotare come una maggiore consapevolezza degli strumenti di cantina, barrique in primis, si sia maggiormente diffusa. Ne prendiamo atto, con piacere.

La collina del Rabajà a BarbarescoBarbaresco
Molti i campioni che ci hanno soddisfatto sul totale di 16 presentati e provenienti da svariate menzioni geografiche e vigne del comune che dà il nome alla denominazione. Di Cascina delle Rose abbiamo già detto in profondità pochi giorni fa. Alla cieca spiccavano per territorialità, aderenza al varietale, aromaticità già ben definite ora ed un tocco di eleganza e leggerezza, aspetti che è così consolante e corroborante ritrovare in un Barbaresco. Ottimo l’ingresso in società del Barbaresco Tre Stelle, una conferma il Barbaresco Rio Sordo, entrambi ad un passo dall’eccellenza.
In gran spolvero Poderi Colla con il Barbaresco Roncaglie, nonché il Barbaresco annata dei Produttori del Barbaresco, che considerando il numero di bottiglie messe in commercio (280.000), il prezzo solitamente contenuto e l’assenza di menzioni di grido in etichetta, non finisce mai di stupire per finezza, bella definizione di spezie e fiori e un tannino di ottima grana e tensione. Fruttato e dolce il Rabajà di Cascina Luisin, meno esuberante olfattivamente ma di gran nerbo, fresco e dritto, il Rabajà di Castello di Verduno. Michele Chiarlo ci ha stupito nei giorni successivi con una gran bella prestazione del suo Barolo Cerequio 2005, ma anche con il Barbaresco Asili, seppur la fase di assestamento è ancora pienamente in atto, mostra un nebbiolo di classe e stile. Ottimo il tannino, per fittezza e grana di bella fattura, nonché piacevole lo slancio fresco per il Barbaresco Sorì Montaribaldi dell’omonima cantina. Minerale, fine, incisivo per freschezza e sapidità il Barbaresco Bric Mentina di La Cà Növa. Snello nella beva, ma di bella sottigliezza al naso il Barbaresco Ronchi Vigneto Brich Ronchi di Albino Rocca, così come il Barbaresco Rio Sordo di Cascina Bruciata. Concludiamo con il Barbaresco Narin di Carlo Giacosa: belle le note iniziali di agrumi e il corpo sottile e fresco.

Treiso
Chi spicca, anche quest’anno, è una cantina, con un campione in particolare che lascia poco spazio a dubbi o perplessità: stiamo parlando di Rizzi e del suo Barbaresco Nervo Fondetta. Lamponi e ribes di gran cremosità e dolcezza, un tannino nervoso e fine insieme ed un gran bell’allungo finale, fresco e persistente. Non sui livelli di eccellenza del precedente, ma sempre ben definito e convincente, il secondo Barbaresco, vale a dire il Pajoré: non ha ora la finezza tannica del cugino, ma non gli manca certo quella definizione aromatica del frutto, che ogni anno contraddistingue i vini di casa Rizzi.
Dei 15 campioni presenti provenienti da questo comune, segnaliamo: entrambi i vini di Pertinace. Il Barbaresco Marcarini, minerale ed incisivo, e il Barbaresco Nervo, floreale anche se ancora molto crudo in bocca. Belle le note speziate, di cannella del Barbaresco Montersino di Orlando Abrigo. Infine Ca’ del Baio con il Barbaresco Valgrande, balsamico e fruttato al naso, scalpitante, ma di buon corpo in bocca.

Alessandro FranceschiniNeive
Folta la pattuglia, con 26 campioni in degustazione: tanti i vini discreti e buoni. Difficile, in questo momento, trovare, invece, delle eccellenze che emergano in modo netto in mezzo al gruppo. Quelle ruvidità, con tannini molto slegati e verdi, come avevamo trovato l’anno scorso, non sono comparsi quest’anno con la nuova annata, ma al tempo stesso i vini di questo comune patiscono in questo momento di slancio aromatico e amalgama complessivo. Aspetteremo, come è giusto che sia con il nebbiolo. Non sono mancate, comunque, belle prove, a partire, in primis dal Barbaresco Campo Quadro di Punset: prodotto in sole 6000 bottiglie, colpisce per slancio aromatico fine, fruttato e balsamico insieme ed una persistenza di razza. Meno esplosivo, quasi “antico” nel profilo aromatico, ma comunque vivace in bocca, il Barbaresco base sempre della stessa azienda. Dolce, cremoso, con frutti di bosco in primo piano il Barbaresco di Battaglio, così come il Barbaresco Basarin Vigna Gian Maté dei Fratelli Giacosa, che gioca su registri di finezza e sottigliezza della componente fruttata. Fatica ora all’esame gustativo, come spesso accade, ma promette bene non solo per la fittezza dei tannini, ma anche per il quadro olfattivo, dolce e delicato, floreale e balsamico, il Barbaresco Santo Stefano di Castello di Neive. In fase di assestamento l’integrazione del rovere, ma decisamente interessante nel complesso e senza sbavature il Barbaresco Ripa Sorita di La Contea.
Da ossigenare ben bene, dandogli il tempo di cui ha bisogno, il Barbaresco Serraboella dei Fratelli Barale; bella la definizione delle spezie, dolce, nonché le viole, insieme ad un corpo che gioca sulla freschezza e la spinta finale. Duro, scontroso, con un tannino di gran razza, note fruttate e terrose insieme al naso il bel Barbaresco Basarin di Adriano Marco e Vittorio; fresco, con bella chiusura nel finale di bocca, che richiama quelle note minerali già presenti al naso invece il Barbaresco Basarin di Negro Angelo e Figli. Da verificare con attenzione in futuro, ma comunque meritevole già ora di segnalazione, infine, il Barbaresco Canova di Ressia.

Alba (frazione di San Rocco Seno D’Elvio)
Pochi anche quest’anno i campioni provenienti da questa piccola frazione: dei 6 presentati quest’anno ne citiamo tre, gli stessi, per altro, dell’anno scorso: il Barbaresco Sorì Fraitin di Armando Piazzo: di carattere, con note di cardamomo ed un buon equilibrio complessivo. Dolci nella componente fruttata e floreali, con un centro bocca non larghissimo, ma di buona fattura il Barbaresco Sanadaive di Marco e Vittorio Adriano, e il Barbaresco Teorema di Molino.

Le Riserve 2004
L’annata meritava e, dei 9 campioni presentati, 6 ci hanno ben impressionato. Partiamo dai due cru dei Produttori del Barbaresco: Il Barbaresco Montefico coniuga bene l’apporto del legno e un profilo sostanzialmente giocato sulle spezie. Vivo, fresco e più fruttato il Barbaresco Rio Sordo. Preciso, ben definito, con un frutto che richiama la buccia della pesca e le rose, un tannino di razza con freschezza di bella incisività il Barbaresco di Punset. Ben definito nella trama tannica ed un attacco al naso di bella freschezza il Barbaresco Santo Stefano di Castello di Neive. Di buon equilibrio, con un bel mix di menta e fragoline di bosco il Barbaresco Basarin di Marco e Vittorio Adriano; di gran bella calibrazione, con un frutto fine ed elegante e un tannino vivo e in divenire il Barbaresco Bricco di Neive Bricco di Dante Rivetti.

Roero 2006 e Riserve 2005
Quest’anno i nebbioli della riva sinistra del Tanaro erano ben presenti in numero: 25, con 10 campioni riserva del 2005. Più distesi al naso e meno avari a disvelarsi già in questa fase, rispetto alla scorsa annata, pur nella difficoltà di riuscire a trovare una definizione, una compostezza ed una strada che consenta loro finalmente di prendere il volo, senza il pesante fardello di dover essere confrontati a tutti i costi con i cugini langaroli, ci hanno complessivamente ben impressionato. Non ci sono eccellenze, ma neanche tentativi baroleggianti, che non appartengono ai nebbioli del Roero (e che quindi non è il caso di inseguire) tipiche degli anni scorsi. Partiamo con Matteo Correggia, di buona freschezza e un frutto ben definito: Cascina Chicco e il suo Roero Montespinato ha un bel naso di lamponi dolci e qualche cenno balsamico di buona fattura. Sottile al naso ed ancora in fase di assestamento in bocca il Roero Prachiosso di Negro Angelo e Figli. Cascina Val del Prete si distingue bene con il Roero Bricco Medica, delicatamente fruttato con ribes e mirtilli, note di viola e un piacevole slancio sapido e fresco. Tra le riserve 2005 bella la prova del Roero Roche d’Ampsej di Matteo Correggia, che seppur contratto e con il rovere ancora da assorbire integralmente, colpisce per finezza tannica e beva. Esuberante sia al naso nella componente fruttata, sia in freschezza il Roero Valmaggiore di Cascina Chicco; antico, col suo colore tenue e trasparente, ma di bella delicatezza il Roero Mompissano di Cascina Ca’ Rossa. Ancora in divenire, con tannini duri e scontrosi, ma un’interessante aromaticità di menta e mineralità il Ròche Dra Bossora di Michele Taliano.

Alessandro Franceschini

Alessandro Franceschini

Giornalista free-lance, milanese, scrive di vino, grande distribuzione e ortofrutta, non in quest'ordine. Dirige il sito e la rivista dell'Associazione Italiana Sommelier della Lombardia, è docente in vari Master della Scuola di Comunicazione dell’università Iulm di Milano, è uno dei curatori della fiera Autochtona e collabora con testate come Myfruit, l'Informatore Agrario e le pagine GazzaGolosa della Gazzetta dello Sport. In passato, oltre ad aver diretto la redazione di Lavinium.com, ha collaborato con la guida ai ristoranti del Touring Club e con la guida ai vini de L'Espresso. È stato uno degli autori dell'Enciclopedia del Vino di Dalai Editore, del volume "Vini e Vignaioli d'Italia" del Corriere della Sera e del libro "Il vino naturale. I numeri, gli intenti e altri racconti" edito dalla cooperativa Versanti.

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