La verifica: La Poja 1993 di Allegrini, il cru che vince il tempo
Passano gli anni e nascono ogni giorno vini nuovi, sono talmente tanti che è difficile non trascurarne alcuni, sappiamo bene quanto sia facile che mode e mercati riescano a farci dimenticare anche di grandi bottiglie, semplicemente perché si dà spazio al nuovo. Funziona così. Pensate alle star del mondo della musica, non sono tutti come David Bowie in grado di sopravvivere persino alla loro morte, ogni anno emergono nuove voci, alcune resistono a questo motore inarrestabile e impietoso, altre finiscono presto nel dimenticatoio, pur essendo comunque meritevoli, non c’è posto per tutti, si vive di stagioni, la scelta è praticamente infinita.
Ecco, avere una cantina aiuta a non trascurare vini nati nel millennio passato che stanno solo aspettando di essere messi alla prova. L’occhio mi è caduto sul La Poja 1993, una corvina veronese in purezza, nata dalla consapevolezza di Giovanni Allegrini che quel fazzoletto di terra di 2,65 ettari, punto più elevato del vigneto La Grola (30 ettari), era perfetto per allevare quel vitigno e ricavarne un vino speciale, un vero e proprio cru di corvina.
Lo impiantò nel 1979, quindi nel ’93 aveva acquisito già una buona maturità per fare qualcosa di grande; nonostante l’annata non fosse stata generalmente valutata indimenticabile, nell’area della Valpolicella ha dato buoni risultati, in alcuni casi ottimi.
Stapparla a 23 anni dalla vendemmia provoca già una discreta apprensione, poi vedi che il tappo viene su senza problemi, compatto e con un quarto di esso inumidito dal vino, tenuta perfetta e profumo rassicurante. Lo verso nel calice lentamente, evitando singhiozzi del liquido, noto subito un colore perfettamente integro, granato intenso e profondo con ancora un leggero riflesso rubino; mi avvicino per sondare il terreno olfattivo, sembra già incredibilmente aperto, nessuna riduzione evidente, spara subito una bella confettura di amarene e visciole, non è neanche esatto dire confettura, c’è una spinta balsamica che sposta le sensazioni verso la freschezza, poi arrivano il mallo di noce, il cacao, la menta, la liquirizia, incredibilmente non ci sono terziari spinti, appena un cenno di cuoio, tutto si mantiene su un piano di freschezza, come se quei vent’anni e più non lo riguardassero.
All’assaggio conferma la sua condizione ottimale, tutto è in perfetto equilibrio, un incastro perfetto, freschezza, sapidità, tannino che è puro velluto e un frutto pieno e avvolgente, sempre caratterizzato da una vitalità quasi spiazzante. C’è poco da fare, i grandi cru si riconoscono proprio da questi particolari, laddove altri cominciano a incrinarsi, qui sembra che il tempo si sia fermato e che sia lui a decidere qual è il ritmo da seguire.
Roberto Giuliani