Il Montepulciano perfetto
A volte capita di assaggiare il vino perfetto. Di sicuro non dipende solo dal vino ma anche da fattori soggettivi, come la momentanea disposizione dei nostri sensi, l’abbinamento con un certo piatto, la compagnia, le condizioni ambientali, il posto fortunato che occupa in una successioni di più assaggi. Magari in un altro momento ci parrebbe soltanto un vino buono, forse ottimo, ma nulla più. Sappiamo che è così, sappiamo di essere instabili e fallaci, e fa parte del gioco. Ma, tutto ciò premesso, a volte il vino perfetto capita nel bicchiere,e quando capita sembra di sentir suonare le campane a Pasqua.
Da dodici anni frequento regolarmente l’Abruzzo e assaggio molti Montepulciano. Ne ho assaggiati di buoni, di eccellenti, di medi e di mediocri. Anche di pessimi, ma di rado. Uno solo però mi è sembrato il Montepulciano perfetto, pochi giorni fa, nel corso di un tour organizzato dal Consorzio al quale ho partecipato, travestito da giornalista (ma alla prima cantina mi hanno subito beccato)… Una cantina di media fama, che ne meriterebbe una maggiore, quella di →Camillo Montori a Controguerra.
Il vino era un Fonte Cupa Riserva del 1998, Colline Teramane (allora non ancora DOCG) e quasi certamente non è più in commercio. Il vino perfetto è frutto di una stagione favorevole, di bravura e di passione, ma, inutile negarlo, anche di fortuna: perché nella produzione di un vino è impossibile tenere sotto controllo tutte le variabili, e forse se ci si prova si rischia di fare peggio.
Vinificare il Montepulciano è una specie di tauromachia: è una creatura selvaggia. In tutte le cantine sociali d’Abruzzo, dove si fanno vini molto buoni (non solo quelli, d’accordo), vi diranno che per decenni hanno mandato le cisterne in Toscana, al nord e in Francia per fortificare i vini degli altri, e continuano a farlo. Verissimo, anche se il ritornello è diventato un po’ stantio e rischia di essere controproducente: in primo luogo perché chi lo ripete troppo spesso rischia di passare come quel tale che per non perdere i soldi li nascondeva in tasca agli altri; in secondo luogo perché non è detto che un grande vino da taglio, forse il migliore che esista, possa essere un grande vino anche da solo.
I nomi più prestigiosi dell’Abruzzo vitivinicolo stanno cercando da decenni di dimostrarlo, e credo che si possa dire, ormai, con successo. La cosa più difficile è evitare che l’eleganza e la complessità che può avere questo vino soccombano sotto la sua mole imponente: “beaucoup de matiére“, dicono in Francia.
Soprattutto di questi tempi, nei quali i grandi esperti, quelli che fanno il successo dei vini di alta gamma, si sono stufati dei vini “spalmabili” e cercano altro.
Il prof. Dubourdieu, che ama le frasi lapidarie, dice che la qualità è frutto di un’estrazione selettiva, non di un’estrazione totale. Non so se Camillo Montori conosca Dubourdieu ma questo vino aveva davvero tutto quello che serviva, e nulla di più. Complessità e profondità al naso, note balsamiche quasi da Barolo, un colore perfetto, tannini levigati, maturi, ma ancora ben presenti, lunga persistenza di frutto nero, totale assenza di quelle note animali e vegetali che spesso rovinano un po’ la festa.
Mi rendo conto che è un po’ stupido provare a descrivere un vino che pochi avranno la fortuna di assaggiare. Se lo faccio è perché spero che sempre più spesso i produttori di prestigio mettano da parte almeno qualche centinaio o migliaio di bottiglie nelle annate migliori di Montepulciano d’Abruzzo, per consentire al tempo di fare il suo insostituibile lavoro, e ai consumatori più raffinati di apprezzare questi vini nel loro massimo splendore. Oggi lo fanno in pochi.
Nota a margine: di questa azienda ho trovato veramente eccellente anche il Pecorino 2012. Pochi fronzoli, nettezza varietale, volume e freschezza, finale di susina gialla. Un altro Pecorino che mi è piaciuto molto, diverso, più agrumato e salino, è stato quello de Il Feuduccio di Orsogna, coltivato a oltre 400 metri in un luogo incantevole.
Maurizio Gily