Intervista ad Antonello Maietta
L’AIS, Associazione Italiana Sommeliers, nel 2005 ha compiuto e festeggiato i suoi primi 40 anni, non pochi. Di acqua, come si suol dire in questi casi, sotto i ponti ne è passata tanta, tantissima. Si sono avvicendati presidenti nazionali, il numero di associati è arrivato a livelli inimmaginabili sino a qualche anno fa, a qualcuno vien da dire anche troppi. Non vogliamo certamente noi fare un punto della situazione, abbiamo però pensato fosse interessante, per i nostri lettori, molti dei quali fanno parte dell’AIS o hanno frequentato i loro corsi o magari stanno pensando di farlo, di intervistare Antonello Maietta. Chi è? Ve lo dirà lui, durante l’intervista. Perché abbiamo pensato a lui e non ad altri, per esempio al presidente attuale Terenzio Medri? Mah, un motivo reale a dire il vero non c’è, né d’altronde abbiamo neanche tirato a sorte all’interno della cosiddetta G.E.N. (Giunta Esecutiva Nazionale). Diciamo che l’abbiamo incontrato sul forum dell’AIS, vi scrive da qualche tempo per rispondere alle domande che vengono poste all’associazione, altre volte per parlare di vini oppure per cimentarsi all’interno di polemiche, spesso roventi, che come in tutti i forum enoici che popolano la rete, anche in questo caso non mancano.
Presentati ai lettori di LaVINIum
Un po’ imbarazzante, ma ci provo! Ho 45 anni, sono iscritto all’AIS da 26 anni. Come attività professionale sono proprietario insieme a mia sorella di un’enoteca a Porto Venere (A’ Posaa) e di un’attività di commercializzazione all’ingrosso di vini e specialità alimentari della Liguria (Antichi Sapori Liguri). In AIS faccio parte della Giunta Esecutiva Nazionale (che è un po’ il “governo” dell’Associazione) e del Comitato di Presidenza (che è un organo consultivo ristretto che assiste il Presidente nelle scelte che richiedono immediatezza).
Quando sei entrato in AIS e, soprattutto, perché?
Mi sono iscritto all’AIS nel 1980, i miei genitori avevano all’epoca un ristorante a Porto Venere ed io, quando potevo (fine settimana, estate, ecc.), davo loro una mano compatibilmente con gli studi all’università a Pisa. Sono sempre stato animato da una grande passione per il vino e mi resi conto che nel ristorante di famiglia, come del resto in moltissime altre realtà a quell’epoca, si dava molta importanza alla qualità del cibo ma si dedicava meno attenzione al vino. Volevo ampliare un pochino le mie conoscenze ed allora in quell’anno mi sono iscritto al primo livello a Genova perché a La Spezia di corsi AIS ancora non se ne facevano. E’ stata un’esperienza che ricordo ancora con grande piacere perché è stata vissuta anche con qualche piccolo sacrificio: quando c’erano le lezioni facevo avanti e indietro prima con l’autobus fino a La Spezia e poi in treno al pomeriggio per essere nuovamente al ristorante per l’orario di cena, oppure appena finite le lezioni di mattina all’università mi catapultavo a Genova, sempre in treno perché contemporaneamente stavo prendendo la patente.
Quali sono i motivi che ti hanno poi spinto ad assumere ruoli di una certa responsabilità all’interno di questa associazione?
È capitato tutto per caso perché nel 1982, quindi soltanto due anni dopo aver fatto il primo livello, sono stato eletto Delegato della mia provincia. Niente di che, eravamo solo tre iscritti e tutti amici, ma nessuno lo voleva fare ed allora abbiamo tirato a sorte con i bigliettini il nome del candidato e (s)fortuna volle che toccasse a me! Io non avevo ancora completato i tre livelli (allora si poteva fare il Delegato anche semplicemente con il primo livello) così negli anni a seguire ho organizzato i corsi a La Spezia ed in seguito ho fatto il Delegato per dieci anni consecutivi, sempre con la massima collaborazione dei due amici della prima ora. Poi nel 1990 ho vinto il titolo di miglior sommelier d’Italia e nel 1992 ho rappresentato l’Italia al campionato del mondo a Rio de Janeiro. Nello stesso anno ci furono le elezioni per il presidente regionale (allora si chiamava fiduciario) e c’era una piccola disputa tra due candidati, io avevo nel frattempo acquisito una buona visibilità grazie ai due concorsi e mi chiesero allora di presentarmi come candidato alternativo per mettere fine a quello stato di tensione. Fu un plebiscito, ma non per merito mio, semplicemente perché come dice il proverbio: tra i due litiganti…Nel 1999 sono stato eletto per la prima volta nella GEN ed attualmente sono al secondo mandato. Il resto è storia recente.
Quali sono le motivazioni oggi, nel 2006, rispetto ai primi anni di nascita dell’associazione, che possono spingere un appassionato di vino a frequentare i corsi dell’AIS e a prendere l’agognato diploma?
Oggi ci sono sicuramente gli stessi elementi del passato legati alla passione per il vino e al desiderio di approfondire una conoscenza utile sotto il profilo professionale, in più c’è sicuramente una grande curiosità e una maggiore attenzione verso il settore dell’enogastronomia, in generale anche da parte del semplice consumatore. Da ultimo, inutile negare che oggi in alcuni ambienti un po’ snob presentarsi come un cultore del vino costituisce una sorta di “status symbol”.
Perché uno dovrebbe frequentare i corsi AIS e non quelli di altre associazioni di settore? Premetto, prima che me lo dica tu, che non ti chiedo ovviamente di parlar male di altre associazioni, ma dimmi cosa avrebbe in più l’AIS rispetto agli altri per cui valga la pena investire un bel gruzzoletto di denaro e tanto tempo e studio in questa associazione piuttosto che in altre, benemerite, di settore?
Personalmente ho frequentato in passato il corso dell’ONAV e anche alcuni minicorsi di Slow Food, da allievo e da docente, e li ho trovati molto validi, poi evidentemente ho dovuto scegliere la mia strada. Sono fermamente convinto quindi che anche ad altre associazioni, oltre all’AIS, vada riconosciuto il merito di aver divulgato la cultura del vino in Italia. Per quanto riguarda i corsi, da quello che ho potuto notare come esperienza diretta, occorre ricordare che il corso AIS è quello che dura più di tutti, termina con un esame molto selettivo, ha un suo costo adeguato, ma essendo un corso finalizzato ad una professione deve analizzare il mondo del vino nei suoi molteplici aspetti, mi riferisco ad esempio a temi come la gestione della cantina, il marketing, il servizio del vino, l’abbinamento. Temi questi che altre associazioni, proprio per la natura stessa del corso che propongono, sviluppano con tempi e modalità differenti perché differenti sono le aspettative dei corsisti. Chi decide di fare un corso AIS deve quindi sapere a priori che non potrà dedicare alla propria formazione soltanto i ritagli di tempo ma avrà il vantaggio di essere formato adeguatamente in vista di una prospettiva di lavoro.
Oggi, non penso di sbagliare, dei circa 35.000 soci che l’AIS dichiara di avere, più della metà, forse anche qualcosa in più, non sono professionisti, cioè non lavorano nel settore “vino”, ma fanno altro nella vita, anche se hanno ritenuto importante, comunque, prendersi il diploma per appagare il loro senso di sapere o, magari, perché no, per pura moda. In fondo, oggi, dire “sono sommelier” sembra quasi ti inserisca automaticamente in una sorta di casta del sapere enoico che dona autorevolezza, aspetto che citavi anche tu prima. L’AIS, quindi si rivolge a una base diversa forse dal passato, che ha bisogno di comunicazione, stimoli ed esigenze diverse da chi lavora nel settore. Come fate a prendere e soprattutto a mantenere, due piccioni con una fava?
All’inizio i corsi erano riservati agli addetti ai lavori, la vera intuizione fu di aprire le porte dell’associazione anche agli appassionati, ma senza cambiare il percorso didattico. Direi che questa è una formula che ha funzionato e continua a funzionare perché chi decide di iscriversi al corso AIS lo fa perché vuole porsi allo stesso livello del professionista del settore. Oggi queste due anime convivono senza problemi, anzi la percentuale dei non addetti ai lavori tra tutti gli associati è molto significativa e sfiora quasi il 75%! Quindi direi che non è tanto l’AIS che va alla ricerca dei corsisti, quanto il fatto che i partecipanti ai corsi trovano di loro gradimento il percorso didattico dell’AIS e lo consigliano ai loro amici e conoscenti. Un ulteriore elemento di riscontro lo abbiamo avuto dopo aver inserito nella programmazione didattica alcuni minicorsi di avvicinamento al vino, ideati appositamente per i semplici appassionati, strutturati in 4/5 lezioni, senza vincoli di esami, ecc. ebbene questi corsi non solo non hanno minimamente creato concorrenza alla normale programmazione didattica ma la maggior parte delle persone che frequentano i minicorsi alla prima occasione utile si iscrive al corso tradizionale.
Quali forme di comunicazione ritieni siano utili alla diffusione della cultura del vino per l’AIS? Rivista nazionale, riviste regionali, internet, comparsate in TV?
Comincio dal fondo, la televisione è un mezzo di comunicazione di massa importantissimo per avere visibilità ma, a parte i canali televisivi tematici, non offre spazi adeguati per poter approfondire gli argomenti come noi vorremmo; credo quindi che le “comparsate”, come dici tu, in tv più che per fare cultura servano a stimolare la curiosità del grande pubblico verso questo argomento. Internet invece è ancora troppo poco utilizzato tra i nostri associati anche se è in atto un grande ricambio generazionale e probabilmente di qui a poco dovremo tenere conto di un numero crescente di persone che ne farà uso a piene mani. A mio avviso quindi la carta stampata è ancora l’elemento più idoneo per fare cultura del vino, ma non soltanto attraverso le riviste associative che, per loro definizione, oltre ai contenuti tecnici debbono dare al socio informazioni sulla vita associativa e sugli eventi che hanno coinvolto il territorio.
L’AIS, attraverso i suoi mezzi di informazione, ripete sempre ogni anno: il sommelier è il tramite tra le aziende e il consumatore. Esattamente, cosa significa? Che siete legittimati a fare le markette? Oppure che, all’opposto, dovete mettere in guardia il consumatore da vini che non reputate validi, per un qualsivoglia motivo di tipo tecnico piuttosto che puramente edonistico? Ti chiedo questo, perché qualche mese fa, quando si è avuta notizia di possibili “taroccamenti” in quel del Chianti Classico in Toscana, con tanto di guardia di finanza a far visite e sequestri in alcune cantine, per altro famose e spesso segnalate anche dall’AIS, mi sono chiesto quale fosse il ruolo dell’AIS in quel frangente e che posizione, pubblica, avesse dovuto tenere?
L’AIS ha un ruolo importantissimo sotto questo profilo ma deve fare l’arbitro e l’arbitro, per sua natura, deve essere imparziale. Le aziende debbono pensare a produrre e, se producono bene, l’associazione ha il dovere di comunicarlo all’esterno anche se è impossibile per un degustatore, assaggiando un vino, certificare l’integrità morale di quella tale azienda. Nel poco spazio che abbiamo, rispetto alla quantità di vino prodotto, credo che sia più utile parlare bene delle eccellenze piuttosto che perdere tempo a parlare male delle schifezze. A proposito del caso da te citato, ma di esempi ne potremmo fare molti altri, credo che non ci sia bisogno che ogni volta che accade un fatto anomalo l’AIS prenda una posizione contro questa o quella azienda, sarebbe a mio avviso soltanto sciacallaggio anche perché la posizione dell’AIS non solo è nota, ma è scritta nel suo statuto, inoltre l’AIS non può sostituirsi agli organi di controllo e neppure agli organismi preposti a giudicare ed a comminare le sanzioni. All’AIS corre invece l’obbligo di prendere posizione contro un sistema di vigilanza e controllo che lascia ancora molte maglie aperte e lo deve fare stimolando il legislatore a elaborare normative chiare ma severe.
Prendere il diploma AIS significa aver appreso un “alfabeto” e quindi conoscere un linguaggio comune con cui confrontarsi con altre persone, oppure rappresenta, a livello conoscitivo, qualcosa in più rispetto a delle semplici basi che poi devono essere approfondite?
Prendere il diploma AIS significa condividere lo spirito di 35.000 soci che per capirsi tra loro e per farsi capire all’esterno parlano lo stesso linguaggio. Ma significa anche avere la consapevolezza di essere soltanto all’inizio di un percorso lungo e impegnativo e l’umiltà di considerare quanto è misero in quel momento il nostro sapere, il tutto condito dal piacere e dalla curiosità di voler apprendere ogni giorno cose nuove.
Ancora sul diploma di sommelier AIS: può realmente, oggi, rappresentare una concreta possibilità di lavoro, per chi desidera lavorare nel settore vino?
A giudicare dalle richieste che riceviamo quotidianamente da ristoranti, enoteche, alberghi, ecc. e non soltanto in Italia, direi proprio di sì. Anche in questo caso occorre ricordare che il neo sommelier, fresco di diploma, ha necessità di acquisire esperienza sul campo. Se vogliamo fare un paragone, nessuno affiderebbe ad un ragioniere appena diplomato la contabilità di una multinazionale, allo stesso modo non sarà possibile affidare al nostro giovane collega appena uscito dai corsi la gestione della cantina di Pinchiorri.
Tra un sommelier che proviene dalla scuola alberghiera ed uno che si è diplomato ai corsi serali e che ha un retroterra altro e diverso, che differenze ci sono a livello conoscitivo?
L’AIS in passato si è spesso sostituita alla scuola per fare formazione; purtroppo ancora oggi nella scuola alberghiera, tranne qualche raro caso ancora a livello di sperimentazione, non esiste un percorso vero e proprio per diventare sommelier, spesso ci si limita a lezioni integrative tenute da nostri docenti oppure da insegnanti interni che hanno frequentato i corsi. Non vorrei sembrare presuntuoso ma credo che per chi decidesse oggi di intraprendere l’attività di sommelier, la frequenza ai nostri corsi sia un passaggio obbligato, anche per chi già opera nel settore, perché rappresenta una ulteriore possibilità di verificare e confrontare le proprie esperienze e la propria preparazione. Non è un caso che la stragrande maggioranza dei professionisti dei grandi ristoranti sia passata comunque dai nostri corsi.
Ma non ti sembra, per esempio, che tranne rari casi, in Italia, questo tipo di figura sia considerata ancora poco più di un cameriere?
Probabilmente questo è vero anche perché in passato, nella ristorazione tradizionale, una persona che si dedicasse esclusivamente al vino era vista semplicemente come un costo e il sommelier lo trovavi soltanto nei ristoranti di livello più elevato. Negli ultimi anni però il valore delle vendite del vino al ristorante ha acquisito in percentuale un incremento esponenziale, ecco allora che molte aziende della ristorazione, anche medio/piccole si accorgono che avere nello staff una persona esperta di vini assicura notevoli vantaggi, dagli acquisti alla gestione della cantina, dal rapporto col cliente all’elaborazione della carta dei vini, e quindi è il ristoratore stesso a frequentare il corso oppure stimola i suoi dipendenti a farlo. In molte attività quindi il sommelier è presente sotto forme diverse, anche se non è immediatamente riconoscibile attraverso l’abbigliamento canonico.
Ringraziamo Antonello Maietta per il tempo che ci ha dedicato e gli facciamo un in bocca al lupo per i suoi programmi futuri e per quelli dell’AIS.
Alessandro Franceschini