Luigi Moio e il suo chateau Quintodecimo
Nella ma vita lavorativa mi sono occupato di informatica prestando la mia opera in una multinazionale americana. I corsi di qualificazione, in Italia ed all’estero, sono stati sempre frequenti, ma nella seconda metà degli anni ’90 si sono intensificati per tutti ed in particolar modo per me che avevo iniziato un percorso formativo di gestione di progetti di sviluppo applicativo. Fra i primi corsi effettuati, e più volte ripresi per aggiornamenti ed “implementazioni”, l’argomento principale trattava “Metodologie” e “Qualità“.
In tutti quei corsi, mi ricordo, uno degli argomenti ricorrenti riguardava l’impatto dei costi dovuti al grado di qualità perseguito sull’intero progetto. La qualità, insomma, aveva un costo quantificabile in almeno un terzo del costo dell’intero progetto e tale impatto lievitava se si voleva ottenere un grado di qualità assoluto. Ho rivissuto quel periodo lavorativo durante la visita dell’Azienda ►Quintodecimo: lì nulla è lasciato al caso ed ogni imprevisto può essere gestito con l’esperienza acquisita e nell’ambito delle normali operazioni. Ogni cosa è stata progettata in funzione di un processo metodologicamente collaudato e con lo scopo di evitare qualsiasi possibile errore.
La qualità del vino è determinata dall’alta qualità dell’uva utilizzata e da un processo di trasformazione che quantomeno preservi la qualità della materia prima. Parlare di Luigi Moio sembra pleonastico, ma qualcosa va ricordato. È nato e cresciuto in una famiglia che fa vino da secoli in zona Falerno. Ha frequentato l’Istituto di Agraria ad Avellino e poi la facoltà di Agraria a Napoli. Da “Ricercatore” è andato a Digione al laboratorio degli aromi, insieme a colleghi di tutta Europa, dove è rimasto per oltre 10 anni e per un lungo periodo lo ha anche diretto.
Tornato in Italia e trovato una adeguata sistemazione professionale in ambito universitario e, dopo aver iniziato a prestare consulenze enologiche (tuttora in essere), ha cercato con pervicacia il luogo più adatto per creare finalmente una sua azienda vitivinicola sullo stile francese (uno chateau, per intenderci), perché il più completo ed il più adatto anche alla comunicazione del vino prodotto.
Lo scopo era quello di fare un gran vino in zona particolarmente vocata e con un vitigno tipico della zona stessa.
La zona fu individuata in quel di Mirabella Eclano, e insieme alla moglie Laura Di Marzio fondò Quintodecimo. La vigna fu impiantata con criteri mirati a produrre uva di qualità: conduzione biologica certificata, monitorizzazione strumentale e in tempo reale delle condizioni pedoclimatiche, creazione di un ambiente circostante equilibrato; basti pensare che tutt’intorno al vigneto sono state piantate tantissime specie arboree ed ornamentali, ma tutte altamente aromatiche e, naturalmente, le rose su ogni capintesta; il colore delle rose rispecchia il colore delle uve.
Questa visita è avvenuta alla fine di maggio 2013 e, a fine visita, quando ormai il sole era tramontato da un pezzo e le tenebre erano avanzate, siamo ripassati davanti la vigna e, nell’interfilare, abbiamo assistito ad uno spettacolo d’altri tempi: nell’interfilare era in atto la danza delle lucciole! La loro presenza è un indicatore biologico, al quale va aggiunto, come ci ha avvertito Luigi, un altro indicatore biologico: il ritorno dell’upupa, realizzare questo progetto di eccellenza con un sol vino (affiancato eventualmente da un secondo), come avviene a Bordeaux, non è riuscito a nessuno in Italia: non c’è questa forza, né la storia necessaria. In Campania, poi, sarebbe stato ancora più difficile produrre un vino e inserirlo in una fascia di prezzo medio-alta del mercato, in concorrenza ai più blasonati toscani e piemontesi. La Campania, però, offre una opportunità incredibile: tre vitigni bianchi (falanghina, greco di Tufo e fiano di Avellino) per confezionare tre vini bianchi dalle potenzialità ancora non del tutto esplorate.
Oggi sono sette gli ettari di proprietà dedicati all’aglianico per una produzione di 15.000 bottiglie: due “cru” di Taurasi Riserva (Vigna Quintodecimo e Grande Cersito) e un aglianico (Terre d’Eclano); l’obiettivo finale è quello di raggiungere 10 ettari per produrre 30.000 bottiglie (3.000 bottiglie per ettaro) suddivise su tre etichette. A questi vanno aggiunti altri 10 ettari, sempre di proprietà, dedicati ai bianchi: 4 ettari a Tufo per il greco di Tufo, 3,5 ettari a Lapio per il fiano di Avellino e 2,5 ettari poco distante dalla vigna Quintodecimo per la falanghina.
La cantina, infossata a 4 metri dalla vigna (“il vino deve fermentare dove sono state prodotte le uve da cui si ricava“), è stata progettata in funzione del processo di trasformazione, curando i minimi particolari; la disposizione delle attrezzature enologiche (sia durante l’utilizzo, sia quando sono stipati) è contrassegnate dal colore della pavimentazione: maioliche gialle per le attrezzature per la lavorazione dei vini bianchi e per il percorso dei relativi tubi di trasferimento dei mosti verso le botti; mentre sono di color vinaccia le attrezzature per i vini rossi; maioliche alternate per le aree comuni.
Le uve vengono selezionate ed eventualmente bonificate durante la raccolta; comunque i tavoli di cernita delle uve sono due: uno prima della diraspatrice ed uno dopo; su questo secondo tavolo vibrante vengono eliminati gli eventuali frammenti di raspi strappati e sfibrati durante la diraspatura: potrebbe portare una componente tannica astringente e sostanze amare al vino!
Per evitare l’olio derivante dalla rottura dei vinaccioli (ci darebbe un vino ossidato e vecchio), i fermentini, ognuno dei quali accoglie uve da una sola parcella, sono più alti della media e di diametro ridotto proprio per ridurre le superfici di contatto della massa liquida con le vinacce ed estrarre meno tannino e le macerazioni durano dai 15 ai 20 giorni con follature manuali e qualche rimontaggio per raccogliere i vinaccioli. Naturalmente i serbatoi per i vini bianchi sono posizionati sulla parte destra del percorso, su maioliche gialle!
Sopra la cantina c’è una vasta sala di degustazione, le cui ampie vetrate offrono una vista mozzafiato sul vigneto!
Oltre la sala degustazione c’è la dimora familiare, anch’essa progettata con gli stessi criteri. Ne fanno parte alcune stanze destinate a Bed&Wine per accogliere enoturisti; queste stanze, neanche a dirlo, sono rifinite secondo i vini della “maison”: i colori di pavimenti e rivestimenti, dei servizi, degli arredi seguono le colorazioni dei vini con i quali sono intitolate.
Il suo studio personale è un ambiente di soli 120 mq e nel quale c’è tutta la sua vita e le sue passioni: dai quaderni delle elementari (tutti rigorosamente catalogati), il primo progetto di una cantina, frutto di un’esercitazione all’Istituto Agrario, i suoi quadri (le etichette dei vini sono tutte disegnate da lui; ama dipingere: Van Gogh è il suo mito), la sua chitarra (ama cantare; fra i suoi cantanti preferiti ci sono Fabrizio De André e Pierangelo Bertoli).
È maniacale? Quest’uomo è dotato di una organizzazione mentale al di sopra della media e la applica in tutto ciò che fa. La meticolosità è la manifestazione esteriore dell’accuratezza e dell’attenzione ai minimi dettagli. L’accuratezza è necessaria a prevenire e a correggere gli errori già quando sono nella fase iniziale; se gli errori si scoprono quando si sono propagati nel processo, allora sono diventati errori grandi e la loro correzione diventa un intervento pesante dell’enologo. Con tutto ciò che ne consegue.
Oggi molti produttori reclamizzano i loro vini con definizioni che trovo presuntuose e pretestuose: “Vini Naturali”, “Vini Veri”, “Vini Biologici”, Vini Biodinamici”, “Vini Senza Solfiti Aggiunti”, ecc.; come se tutti gli altri fossero da mettere al bando. Poi, però, si scopre che quasi tutti soffrono di qualche difetto: ossidazione, squilibrio, riduzione, e “puzzette” varie.
Ma chi l’ha detto che i vini, se sono naturali, devono puzzare?
Agli eventi a banchi d’assaggio, quando sono presenti i vini francesi, quei banchi sono sovraffollati. Si tratta di “esterofilia”? Non lo so, ma una cosa è certa: a quei banchi, di solito, non si assaggiano mai vini che presentano difetti di sorta; anche se non sono vini di prima fascia, sono comunque vini tecnicamente perfetti. L’assenza di sbavature nel vino, seppur piccole, non è certamente mancanza di personalità né sintomo di un vino monocorde e che, quindi, non suscita emozioni.
Qualcuno lamenta scarsa emozione suscitata dai vini di Quintodecimo; qualcun altro dice che hanno un costo esageratamente elevato. Questi vini sono eleganti e tecnicamente perfetti: non mostrano difetti e mai si apprezzano note scomposte o “puzzette”. Le caratteristiche organolettiche e sensoriali, la tipicità e l’aderenza al vitigno sono fuori discussione.
E quando si parla di rapporto prezzo-qualità, bisogna fare molta attenzione. Il prezzo e la qualità sono due parametri soggettivi; la qualità di un vino la riconosciamo a seconda del gusto e dell’esperienza (molti di noi non sanno riconoscere neanche i più diffusi difetti!), mentre il prezzo di un qualsiasi prodotto siamo abituati a giudicarlo a seconda del proprio portafoglio. La qualità la si può giudicare meglio quando si va a visitare un’azienda e si verifica la bontà dei processi adottati; non basta assaggiare il vino!
Ho avuto l’opportunità di partecipare alla stesura di una Guida per vini con un buon rapporto prezzo-piacere; uno dei due parametri, il prezzo, è stato reso oggettivo: costo massimo fino a 15 Euro. In questo modo il rapporto funziona bene.
Il prezzo viene imposto dal produttore volendo porre quel prodotto su una fascia di classe e di prezzo e seguendo, naturalmente, le regole del mercato: la legge della domanda e dell’offerta. Quando a Gaja fu chiesto il motivo di un prezzo così alto imposto ai suoi vini, egli rispose candidamente: “Il giorno dopo l’immissione sul mercato, i vini erano stati comprati tutti. Allora mi sono chiesto se il prezzo non fosse troppo basso“.
A volte, sentire quei giudizi, mi fa tornare in mente il famoso verdetto della volpe “Nondum matura est”. Anche in quella circostanza si trattava di uva… Io credo che allo “chateau” di Quintodecimo ci si dovrebbero recare in “pellegrinaggio” molti appassionati, ma anche molti produttori e fare tesoro di quanto vedono.
La degustazione
Le etichette prodotte sono sei: tre da aglianico e tre vini bianchi; tutti i vini sono da monovitigno; tutte le uve prodotte provengono da vigne di proprietà e ciascuna insiste in zona tipica appartenente alla DOCG.
Via del Campo 2009
La falanghina. Il nome è ispirato ad una canzone di De André. Il colore è giallo oro luminoso. Avvicinando il bicchiere al naso, stupisce l’intensità, la ricchezza e la nitidezza dei profumi: banana, ananas e mela; poi, roteando il bicchiere, si riesce a cogliere anche frutti tropicali e frutto della passione e qualche refolo erbaceo. Il primo sorso ti cattura: l’ingresso è piacevole, fresco, avvolgente, veloce, scorrevole: non riesci a fermarti e la deglutizione è automatica e compulsiva! Al secondo sorso, a bocca “avvinata”, ritrovi tutta la frutta annunciata al naso; apprezzi quanto è minerale e sapido, intenso e persistente. Al terzo sorso scorgi, nel finale, una leggera nota di tostatura e noti che l’alcool è nascosto, non si avverte.
Voto: @@@@@
Exultet 2009
Il fiano di Avellino. Giallo oro con riflessi verdognoli. Profumi esuberanti: prima la pesca e l’albicocca,poi fiori di tiglio ed acacia, poi ancora apprezzi le erbe aromatiche: salvia e timo. Alla beva è fantastico, fruttato, sapido, secco e fresco. E un altro bicchiere l’ho svuotato! Di questo vino ho avuto il privilegio di assaggiare l’annata 2012 e confrontare la quota che sta maturando in acciaio con quello che sta maturando in barrique. Carica aromatica, acidità e sapore fruttato dell’uva sono alla massima intensità. Il campione che matura in legno dà la netta sensazione di un vino più maturo; si apprezza già il sapore di mandorla tostata e nocciola, ma il legno non ha rilasciato alcuna nota vanigliata.
Voto: @@@@@
Giallo d’Arles 2011
Ed eccoci al greco di Tufo. Il suo colore è giallo oro deciso. Fiori gialli ed una decisa nota minerale pervadono il naso. I sapori di frutta matura invadono la bocca; albicocca passita e buccia d’agrumi candita gareggiano in intensità con una imponente acidità e, quando ti accorgi di aver degludito, attingi ancora dal bicchiere per riprovare quelle sensazioni: è difficile capire tutte quelle sfumature con un sol sorso; sono tante! Ottima la gestione del legno e dell’alcool.
Voto: @@@@
Terra d’Eclano 2010
Questo vino è fatto con uve aglianico, provenienti dalle viti più giovani e dalle piante dalle quali sono state fatte le selezioni massali per impiantare il vigneto principale. Da subito si ha la netta sensazione che non è un vino di ricaduta o del “vino base”, bensì è un giovane puledro scalpitante, valido “delfino” dei due fuoriclasse della maison. È fruttato, vinoso ed emana odori di cenere e liquirizia; in bocca si ritrovano sapori di marasca e piccoli frutti rossi; è fresco, intenso e persistente. I tannini sono setosi e dolci, mentre l’alcool sembra inesistente.
Voto: @@@@
Taurasi Grande Cersito Riserva 2009
Uno dei due Riserva, che sarà immesso in commercio entro la fine del 2013: in affinamento. Si presenta di colore rubino cupo con dei riflessi porpora ai bordi. Grande nitidezza di profumi: ciliegia-marasca e arancia sanguinella accompagnate da leggera nota ferrosa e di cenere. L’ingresso piacevole in bocca porta molteplici sensazioni, soprattutto fruttate; è secco, ma l’acidità e la sapidità lo rendono molto persistente ed intenso. I tannini dolci ed avvolgenti vengono adagiati delicatamente nel cavo orale e nel finale si avverte una leggera e piacevole nota amaricante.
Voto: @@@@@
Antonio Di Spirito
Azienda Agricola Quintodecimo
Via S. Leonardo, 27, 83036 Mirabella Eclano (AV)
Tel./Fax +39 0825 449321
www.quintodecimo.it