Terraquilia, l’Emilia in quota
L’inverno batte gli ultimi colpi, alcuni alberi espongono riservati, la fioritura bianca, rosa.
Petali gialli e rossi adornano, sempre timidi, alcuni giardini, taluni rami mostrano piccole foglie verdi, di un verde brillante quasi luminoso. La strada che percorro inizia a salire e i tornanti che mi portano in collina prendono il posto dei rettilinei di terre piatte.
In un territorio ricco di storia ed eventi, dovrei raggiungere Guiglia, nelle prime colline poste sulla riva destra del Panaro. Questo piccolo comune è sito a circa 500 metri di altezza e racchiude alcune frazioni tra le quali Roccamalatina che deve la sua fama alle imponenti rocce affioranti di arenaria del medio Miocene.
Guiglia, come ogni comune di confine, è stato nel passato testimone di lotte e guerre, tra liguri e romani, tra longobardi e ungari, tra modenesi e bolognesi quindi tra guelfi e ghibellini.
Fra castelli edificati poi distrutti, tra famiglie che si successero nella dominazione del territorio, da ricordare i Montecuccoli, passano i secoli e arriviamo fino al termine della seconda Guerra Mondiale quando alcune bombe alleate danneggiarono numerose case e alcuni monumenti.
Detta anche il “Balcone dell’Emilia” per la sua invidiata posizione dalla quale, in quasi tutti gli angoli del centro abitato, si può osservare dall’alto l’intera provincia di Modena.
Insomma questa Guiglia ha da raccontare tante cose e tante altre sono da scoprire con passeggiate rilassanti, sguardi verso paesaggi affascinanti e assaggi di prelibati piatti.
Poteva mancare anche la parte enoica? Potevano queste colline dimenticarsi di viti, mosti e graspi? Per fortuna questa domanda viene soddisfatta quando decido di conoscere una giovane azienda che produce vino, posso dire, poco convenzionale.
L’azienda che visito nasce molto prima del 2004, data della messa a dimora dei primi vigneti, nasce nel DNA di Arturo Mattioli, forse inconsapevole di dare vita ad una stirpe di tenaci vignaioli.
Arturo lavora la terra e lavorare la terra in collina non è semplice, gelate primaverili, estati che non arrivano, autunni umidi gialli e rossi, inverni maledettamente freddi bianchi e grigi.
Romano apprende dal padre Arturo che se riponi gentilezza e rispetto nei confronti della terra, quella difficile, quella dura, essa ti ripagherà con abbondanza e soddisfazioni, ti riempirà la pancia e il cuore.
Con il Monte Cimone e il fiume Panaro che dialogano scambiandosi aria umida e fresca soprattutto in estate, nel Podere Conca d’oro di Guiglia crescono e si sviluppano i primi vigneti del 2004 su terreni misti di argille, sabbie e limo. Con esposizione a sud e a 490 metri sul livello del mare l’idea di Romano è fare vini con le proprie mani, sperimentando qualità autoctone e altre molto meno.
Il 2007 vede la nascita della prima sede, con alcune sistemazioni e ristrutturazioni adatte alla nuova produzione si procede alla raccolta dei primi frutti, Lambrusco Grasparossa, Pignoletto, Trebbiano Romagnolo e Malbo gentile finiscono in bottiglia con la precisa idea di vedere la tradizione che si rinnova e si propone al mercato con la consapevolezza di avere lavorato come un tempo, come aveva insegnato Arturo.
Dal 2009 TerraQuilia, dall’antico nome “Terre di Guiglia” è il nome dell’azienda che marchia le bottiglie. Arriva il 2010 e l’azienda si amplia, evidentemente le scelte fatte ripagano, vengono acquistati due nuovi poderi dove poter ampliare il vigneto e impiantare nuove qualità.
I vigneti volti a sud-ovest del Podere Fratelli Bandiera affondano le radici su terreni argilloso-limosi e trovano il loro habitat i rossi come Malbo gentile e Grasparossa, il Podere La Riva, è il Podere dove troviamo la nuova sede, ha le vigne esposte a nord e sono messe a dimora su terreni di argille nera e roccia qualità come Sangiovese, Pignoletto, Trebbiano Romagnolo, Moscato, Malvasia e Verdicchio di Guiglia.
Si avete letto bene, Sangiovese, un’uva espatriata dalla non lontana Romagna e anche se già a un’ora di auto troviamo la DOC Colli di Imola, imbottigliare Sangiovese qui, sulle colline modenesi non è certo consueto. Di Moscato e Malvasia troviamo sicuramente un riferimento storico in queste zone mentre il Verdicchio di Guiglia lo possiamo trovare solo qui.
In molte zone d’Italia avviene la scoperta di qualche uva dimentica, abbandonata forse per dare più attenzione a vitigni maggiormente produttivi o perché, in queste zone, negli anni ‘60 la collina viveva un progressivo abbandono. Fatto sta che alcune varietà arrivano fino a noi pur essendo in completa rovina, altre continuano in minuscole realtà ad essere curate e protette. Succede anche che alcune qualità sopravvivono solo presso privati che ne posseggono alcune piante raccolte in ridotti filari.
Proprio nel 2011 il signor Guerra avverte Romano, il titolare di TerraQuilia, che presso di lui si trova una vecchia vigna dalla quale si produce vino tipico della zona di Guiglia.
Guerra invita Romano a raccoglierne i grappoli dall’ultimo filare rimasto, l’ultimo superstite di una forse florida produzione passata, il testimone di antiche tradizioni che appassionano tanto Romano. Vengono fatte analisi e risulta essere un vitigno antico, non registrato. Il Verdicchio di Guiglia, parente del più famoso vitigno, può rinascere.
Corre l’anno 2011 e l’offerta dei rifermentati in bottiglia, core business aziendale trova si i favori per la qualità dei vini ma difficoltà a posizionarsi sul mercato; erano anni in cui il cambiamento in direzione verso vini più naturali, con idee volte al biologico erano ancora viste da molti con diffidenza, anche se il cambiamento era già in atto da tempo, i vini con il “fondo” potevano essere interpretati come poco puliti e gli aromi a cui non eravamo più abituati potevano destar preoccupazioni sull’integrità della bottiglia.
Ma non c’è vignaiolo che si da per vinto, si trovano quindi procedure per continuare a vinificare con questi sistemi apportando lievi correzioni.
La vinificazione in biologico è in atto da anni ma è dal 2011 che l’azienda decide di informare i consumatori con trasparenza e onestà trascrivendo in etichetta i reali valori di solforosa aggiunta, che risultano essere 4 o 5 volte inferiori al minimo stabilito dalla legge; stiamo quindi rasentando quel mondo dei vini naturali che sta riscuotendo favori e approvazioni.
Cambiano le etichette, cambiano alcune persone, passano un po’ di anni e TerraQuilia acquista sostenitori e certezze.
Mi accoglie la preparatissima Giorgia, figlia di quel Romano che sognava un’azienda che si è poi materializzata diventando un punto di riferimento; insieme a lei mi accompagna Manuel, tecnico e minuzioso maestro nello spiegarmi temperature, fermentazioni e mondo dei lieviti.
La prima vista mi viene proposta su vigneti inerbiti esposti a nord dove una nebbia bianca mi preclude ogni vista dell’orizzonte che immagino possa essere meraviglioso e questo mi basta.
Entriamo in cantina e mi sorprende l’estrema pulizia, quasi maniacale, degli ambienti.
Ordine e metodo aleggiano nell’aria, due tecnici parlano a bassa voce, quasi a non voler disturbare il liquido in evoluzione nelle cisterne di acciaio. Si parla di fermentazioni e rifermentazioni fino al momento di sederci ad un tavolo riempirci i calici.
Mentre Giorgia allestisce un perfetto tagliere con salumi e formaggi, Manuel mi serve un Terrebianche col fondo 2019, Pignoletto e colmatura di Trebbiano Romagnolo. Rifermentato in bottiglia che riposa per 24 mesi sui propri lieviti. Per non avere sensazioni diverse, figlie dello stesso vino, la bottiglia viene agitata per mettere i lieviti in sospensione. Il colore sarà quindi velato. Il naso è un girotondo di fiori di campo, camomilla e fieno, spezie e frutti a pasta bianca come pera, mela renetta, pesca, buccia di agrumi, arancia e cedro.
Il tipico aroma di lievito, pane, si avverte ma rimane a distanza rispetto al floreale e al fruttato, più permeanti.
Il sorso viene coinvolto da una bolla piuttosto fine che viene sospinta da un’acidità spiccata ai lati del palato, i frutti al naso turgidi, diventano maturi e convivono con fiori gialli. Fila giù che è una meraviglia e il ricordo di passeggiate estive si risveglia, le erbe aromatiche si sprigionano in un bouquet gustativo di bella presenza. Un vino da 12 gradi di alcol che ben scalda il cuore e si fa ricordare. Lo stapperei con uno sfizioso aperitivo dove i prodotti da forno fanno da base a formaggi freschi e salumi del territorio.
Passiamo al Nativo Ancestrale 2019, stesso taglio del precedente vino, questo sta in vasca un mese poi ne passa 24 in bottiglia sui suoi lieviti per essere sboccato alla volée. Colore giallo oro brillante con un naso complesso dove i sentori di crosta di pane si mescolano a fiori gialli e frutta a pasta gialla matura, miele e ricordi erbacei. Il palato sorride alla bellissima bolla, fine ed elegante. I frutti gialli maturi accompagnati dai lieviti mitigano una spalla acida interessante e una sapidità notevole. Una bellissima bevuta, equilibrata ed aristocratica che diviene assai persistente una volta appoggiato il calice sul tavolo. 12 gradi da sorseggiare accostato a gustosi fritti dell’Adriatico, in riva al mare tra le braccia di chi si ama. Intanto il tagliere che accompagna gli assaggi si alleggerisce ma fermo la generosa Giorgia che prontamente lo stava rifornendo.
Il Verdicchio di Guiglia non poteva restar fuori dal bicchiere e infatti Manuel si dà da fare per non lasciarlo vuoto, il colore di questo clone modenese ha i riflessi verdolini tipici della varietà, imbottigliato in prima fermentazione mantiene ogni caratteristica peculiare.
Il Tresassi Zero 2018 è sboccato alla volée dopo 30 mesi di permanenza sur lies, aromi di agrumi su tutti, soprattutto gialli, mela ed erbe aromatiche compongono il fine bouquet olfattivo. La beva è bella tagliente, diritta, freschissima e sapida quanto basta per invitarti al sorso successivo, vibra tra lingua e palato mentre le note di lime ti rimandano a stagioni lontane, tra risate e allegria. Da abbinare sicuramente a piatti di pesce non semplici ma saporiti, crostacei e mi spingerei fino ad una cucina esotica. Ma lo vogliamo accostare ad una spigola grigliata? Invitatemi se ciò accadesse, porto il vino.
Ma in questo tripudio di rifermentati e ancestrali troverà posto un calice di tranquillo, fermo, posato? Ebbene potevo non dare spazio a un gregario come il Malbo Gentile, qualità che vorrei conoscere meglio e alla quale Terraquilia dedica una bottiglia in purezza, Malbone 2018. Fermenta sulle bucce per 8-10 giorni solo acciaio, poi in bottiglia rimane per 36 mesi, colore rosso granato intenso con bellissimi riflessi, olfatto meravigliosamente “rosso” con ciliegie mature, frutti neri e spezie scure. Il palato è sorpreso dalla bella acidità, non eccessiva, i tannini importanti e eleganti morbidi, il tutto mitigato da un 12,5% di alcol che ti regala sensazioni molto gradevoli. Il frutto rosso diventa quasi confettura e poi pepe nero. Quella nota ossidativa, lontana e leggerissima lo avvolge di un fascino elegante, raffinato e coinvolgente. Lo amo già tantissimo, abbinato a un bellissimo formaggio pecorino stagionato, in questo caso più toscano che sardo direi, oppure a un intingolo a base di selvaggina da pelo troverebbe un degno compagno di giochi.
Assaggio anche un raro Sangiovese di collina modenese vinificato in bianco, Sanrosé Zero 2019, praticamente senza contatto con le bucce ma di un rosa corallo bellissimo, prima fermentazione in bottiglia con sboccatura alla volèe dopo almeno 20 mesi a riposare sui lieviti, naso ricco di piccoli frutti rossi e violetta, una beva spettacolare, fresca, quasi sapida con le fragoline di bosco che rimbalzano dalla lingua al palato poi si fiondano giù per gola lasciandoti incerto se i tuoi sensori gusto-olfattivi abbiano mai provato nulla di simile.
Aperitivi come se non ci fosse un domani con salumi e formaggi freschi, nelle Marche fanno il brodetto, mai assaggiato? Beh se dovesse capitare portatevi un Sanrosé Zero!
Il tempo passa svelto e incurante dell’ora che si è fatta, devo correre in pianura, saluto Giorgia e Manuel con un prossimo appuntamento già in tasca. Terraquilia, in una mattinata dove la collina era coperta da una coltre grigia, mi ha comunque colorato la giornata e questa non è una cosa da sottovalutare. La prossima volta farò una carrellata di rossi e scoprirò sicuramente nuove sensazioni.
Ah… forse non l’ho ancora detto, i rifermentati in quota sono una cosa meravigliosa!
Alessio Atti