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Un Freisa che non molla mai

calice di Freisa

Credo che i miei lettori sappiano tutti che per me il miglior vino del mondo è il Barbaresco e quello che amo di più è il Freisa. Ricordo ancora il 5 luglio 2003, quando ero impegnato in Monferrato e nell’Albese con la televisione polacca TVN per il primo programma televisivo che in questo Paese del Baltico si è dedicato al vino e e in particolare al vino italiano. Eravamo talmente inchiodati dalle riprese che, anche se ci trovavamo molto vicino al paese di Roatto in provincia di Asti, non avevo potuto partecipare alla giornata ”Quelli che il Freisa” né al convegno ”Freisa: perché solo vivace?” organizzati da Go Wine insieme al banco di assaggio con libera degustazione di un’ottantina di vini Freisa dall’accesso a prezzi popolarissimi, 5 euro in tutto compreso il calice. Ancora oggi mi mangio le dita!
Ma in trattoria, all’agriturismo La Rosengana di Cocconato d’Asti dove eravamo accampati con la troupe, mi ero comunque consolato bevendo (e comprando da portare a casa) qualche buona bottiglia di questo vino che ho imparato ad amare a Torino ai tempi dell’Università con i tomini ”elettrici” in salsa verde in un’osteria di due anziane sorelle in una traversa di via Po e con la finanziera nella trattoria della Posta Vecchia a Sassi, ma che all’estero purtroppo non si trovava. E non si trova! Al mio rientro fra i boschi freschi e umidi dei monti Beschidi, straordinariamente ricchi di funghi, avevo letto il resoconto dell’avvenimento scritto il 17 luglio da Mirka Frigo e Giorgio Luppi sul magazine on line Vinealia, che riporto immediatamente, perché l’argomento è ancora attuale.

grappolo di freisa

“”Durante il convegno, che ha visto la partecipazione di una cinquantina di persone, si è parlato del vino ottenuto dal vitigno Freisa, di cui porta il nome, e che è presente sul mercato soprattutto nella tipologia vivace. Questo in quanto (come illustrato dai relatori, moderati dal presidente Go Wine Massimo Corrado) il vino presenta nella versione ferma una marcata durezza, poco apprezzata dai consumatori. Una soluzione può essere quella, già in fase di attuazione, illustrata dal professor Gerbi (docente alla Facoltà di Agraria di Torino) di realizzare il vino con un ”governo” all’uso toscano: si tratta in pratica di far effettuare la fermentazione a una parte di uva, mentre una parte (il 20 per cento), raccolta e messa ad appassire o lasciata surmaturare in pianta, viene pigiata e aggiunta una settimana dopo.
L’idea, che dà vita a quello che si chiama SuperFreisa, è già stata abbracciata da due produttori e i risultati confermano ampiamente la maggior rotondità assunta dal vino, grazie anche a una riduzione dell’acidità e il plus di una maggiore intensità colorante. A questa proposta scientifica si può aggiungere, come illustrato da Danilo Machetti, ristoratore in Asti, quella di realizzare una versione passita e magari quella di aggiungere un’uva, morbida per eccellenza, quale il Merlot, al Freisa. Il Freisa, che è vittima tuttavia di una conoscenza non molto diffusa, al di là della zona di produzione, a favore dei più noti Barbera, Barolo, Barbaresco, potrebbe, se realizzato in versioni differenti, come sottolineato da Massimo Corrado, creare confusione nel consumatore.
Come in tutte le cose ci sono quindi i pro e i contro e non è detto che la verità stia proprio, come espresso nell’intervento di Balbiano, uno dei produttori storici, nel proporre vini che piacciono al consumatore, motivo per cui la sua produzione di Freisa si è orientata, pur avendo sperimentato altri percorsi, sulla versione vivace, pur riconoscendo che ciò vincola il prodotto ad un consumo sul mercato principalmente italiano. Secondo Vanni Cornero, giornalista de La Stampa, è importante non stare fermi a guardare, quando in un momento d’oro per il vino, come quello che stiamo vivendo, il Freisa, anche nelle proposte differenti dalla vivace, può (supportato dal plus del territorio da cui proviene e dalle sue peculiarità, note già cinquecento anni or sono, nonché dal fatto che è un vitigno storico o autoctono, se realizzato ”in qualità”) produrre un vino da far scoprire e apprezzare a sempre più appassionati.
 Ingrediente fondamentale di questa ricetta viene a essere una campagna informativa saliente che si traduca in una campagna di diffusione al bere e ad apprezzare vini che parlano del territorio. Non dimentichiamo poi che il Freisa proviene da zone simili ma differenti tra loro; abbiamo infatti il Freisa d’Asti, il Freisa di Chieri, il Monferrato Freisa e il Langhe Freisa, fatto che offre evidenti proprie caratteristiche ai vari vini, il tutto per una produzione di circa 4 milioni di bottiglie, un numero interessante ma non elevato, che potrebbe offrire al Freisa la possibilità di essere un vino se non di nicchia, un vino particolare“”.

vigneto di freisa

Cinquanta enoappassionati a discutere di passato, presente e futuro del Freisa sono tanti, specie se tutti addetti ai lavori e, dato il successo di quella manifestazione ne era seguita anche un’altra anche nel 2004, nella speranza che per quell’occasione le idee riuscissero a essere per tutti un po’ più chiare. Se è vero, infatti, che per il Freisa era già finita quell’epoca dell’assurda moltiplicazione delle rese che ne facevano un vino volgare ed era già cominciata quella della qualità, benvenuta per un vino così allegro e fruttato, è altrettanto vero che un vino così non lo si può certo prostituire facilmente alle nuove mode per inseguire i mercati londinesi.
Non tutte le operazioni di maquillage dei vini di grande impronta territoriale portano dei miglioramenti, com’è successo, infatti, nel caso del Sagrantino di Montefalco, che oggi ha un grande successo all’estero ma in quarant’anni è diventato un vino essenzialmente diverso da quello che si era sempre bevuto prima di ottenere la denominazione di origine, pur conservando i caratteri specifici di quel vitigno, ma forzandone alcuni con l’abuso di legni forestieri. E laggiù non è cambiato solo il vino, ma anche il paese, con problemi tutti nuovi, legati all’ampliamento dei vigneti e all’immigrazione di una marea di braccianti stranieri.
In particolare, quando si incomincia a giocare al piccolo chimico con vitigni estranei alla cultura e alla coltura del territorio, come invece da anni sponsorizza Riccardone superfusto, il ”gigante pensaci tu” soprannominato prima monsieur merlot e poi, passata quella moda, monsieur petit verdot perché vorrebbe fare entrare questo vitigno ormai un po’ in tutte le salse di cantina come se fosse il cacio sui maccheroni, i risultati di solito con il passare del tempo vanno invece nel senso opposto. L’appiattimento così progettato del gusto verso un vino che assomigli sempre di più a quelli dei cugini d’oltralpe ne indebolirebbe la base sicura che è ancora ben salda negli abbinamenti con le ricette della cucina tradizionale delle diverse regioni italiane che è più popolare rispetto a quelle raffinate della detronizzata noblesse de Paris.

vigneto di freisa

Semmai il Freisa andrebbe promosso all’estero in sintonia con il suo carattere e cioè in purezza e proprio in abbinamento a quei piatti monferrini e langaroli che solo questo vino rende superbi, facendo scuola di cucina attraverso retroetichette compilate intelligentemente, che possono diventare dei veri e strumenti di divulgazione molto apprezzati dai clienti affamati di indicazioni serie.
La novità si compra la prima volta quando ci s’innamora della confezione, questa è una verità commerciale piuttosto ben verificata, perché se si vuole promuovere un vino in un ambiente che non è il suo si deve puntare proprio sulla diversità dell’aspetto, ma per poter convincere il nuovo cliente a tornare a comprarlo si deve fare riferimento ai punti di forza reali, nel nostro caso la versatilità di questo vino dalle mille possibilità di abbinamento con i piatti rustici, che bisogna anche insegnare a fare, magari con un cartoncino al collare.
Non illudiamoci che con riferimenti a miti immaginari o caduchi, come tante chimere, il Freisa ne possa uscire vincente. Le mode durano solo per qualche anno e dopo aver stravolto e rifatto i vigneti passano in fretta e lasciano soltanto i danni alla lunga perché un reimpianto richiederà molto più tempo. Il Freisa non ne può uscire, per esempio grazie un’accoppiata con altre uve, vini o mosti dal nome che fa tanto chic e oggi fa il richiamo per le allodole che ci cascano. Al massimo si può passare sulle bucce del nebbiolo, come prevede un’antica usanza che ci ricorda ancora Bartolo Mascarello con ottimi risultati, tanto che il vino rimane ancora mosso.

vigneto di freisa

Per me non è stato per niente facile già accettare una realtà come il Freisa in versione tranquilla e sì che ne ho assaggiati tanti da quelli di Cavallotto, Saccoletto, Scarpa e Vajra e ancora scopro che il mio gusto personale non si adegua a questa benedetta gioventù e forse questo mio amore per le piccole bollicine rosse rimarrà ancora un punto di divergenza con diversi scrittori di vino (ma de gustibus non est disputandum…).
Avevo solidarizzato subito perciò con Balbiano, che in quel di Chieri aveva cominciato a produrre anche un tranquillo e moderno ”Surpreisa”, perché perlomeno ha sempre caparbiamente insistito nella sua produzione di spicco che rimane per me il suo Freisa vivace, il suo asso nella manica (l’amabile era il tipo preferito da mio nonno Pino e da mio zio Renzo, il secco da me). Ho amato il Freisa frizzante Luna di Maggio dalle vigne di Gianni Vergnano sulla collina del Cornareto a Castelnuovo Don Bosco, eppure anche lui ne fa una versione tranquilla e con affinamento. Mi piace il Freisa vivace di Vietti e ho gioito come pochi al mondo quando Mauro Sebaste è tornato a produrre il Freisa come piace a me, quello che porta il nome di sua mamma Sylla Dogliani, ”la dama di Langa”, una delle prime donne del vino già negli anni ’50, prematuramente scomparsa nel 1985.
E mi fa piacere farvi notare che anche gli stranieri che ogni tanto accompagno nel mondo del vino piemontese rimangono sorpresi da questi vini vivaci, quelli che hanno il fascino della scoperta e che ne sollecitano i sensi e la loquacità, più che dagli ottimi vini tranquilli che vanno immancabilmente a confrontare con i modelli che già conoscono perché sono diventati di gran fama, cioè con i vini più diffusi in ambito internazionale. Vorrei proprio vedervi scegliere qualche altro vino per godervi un tagliere di formaggi artigianali monferrini e langaroli!

vino freisa

Per onestà devo ammettere che se un vino è troppo vivace, i miei amici stranieri preferiscono che perda un po’ della sua prorompenza e apprezzano meglio piuttosto gli ultimi bicchieri di una bottiglia rimasta un po’ più a lungo aperta, o roteano il calice per fargli perdere un po’ di friccicore. Marek Bieńczyk, il decano degli scrittori di vino in Polonia, nella sua rubrica ”Note intorno al tappo” aveva anche scritto che ”agli italiani piace tutto quello che pizzica in bocca”. E non parlava solo di me. Ma rimane il fatto che solo con quel tipo di vino incominciano a capire le vere differenze dell’enologia italiana da quella degli altri paesi, la vera mentalità dei nostri vignaioli, la cultura e le tradizioni dei nostri borghi e la straordinaria ricchezza di differenti tipicità alimentari a seconda dei territori e delle popolazioni. Tutto il contrario dell’omologazione del gusto…
Accetto, quindi, perché in fondo la sfida mi diverte, un derby casalingo tra i ”buscianti” Freisa dai ribollenti spiriti d’osteria e quelli passati sapientemente in legno per diventare più raffinati e da ristorante, anche perché è proprio il vitigno a possedere sia i tannini da orticaria con note succose e amarognole che gli intensi profumi di fragole e more. Ovvero: l’esuberanza, più che l’armonia, è la vera dote del Freisa dalle innumerevoli sfaccettature derivate da un’uva tanto bonaria e generosa che avrà ancora tanto da sorprenderci.
Ecco perché condivido anche la sperimentazione di novità nella scelta dei terreni e nei sistemi di di allevamento e nella conduzione del vigneto e vedo di buon auspicio un saggio contendere di scuole di pensiero diverse a proposito della scelta del modo e del periodo di maturazione delle uve, privilegiando la maturazione polifenolica oppure il gusto della tradizione, che sono tutti argomenti intimamente legati a ogni singola vigna che, però, sarebbe giusto sempre nominare in etichetta.

vigneto freisa

Il genio non può avere limiti, dato che la viticoltura ne ha fatta tanta di strada dai tempi degli antichi Romani. Allora si lasciava arrampicare la vite sugli alberi e si usavano lunghe scale per vendemmiare, perciò è altrettanto sperabile che di strada ne faccia ancora e una differenziazione dei cru, anche per il Freisa, non potrebbe fare altro che bene. Snaturare però la freisa in matrimoni di convenienza combinati senza amore con altre uve da pubblicizzare in etichetta per esigenze commerciali… no, non la trovo una politica saggia. Mi sembra un’operazione come quella di una quarantina d’anni fa, quando venne fuori dal cappello di un improvvisato mago anche il Barbera bianco e forse, chissà, di questo passo ne verrà fuori in futuro anche uno… à pois o viola a stelline verdi! In fondo la freisa, che è già utilizzata insieme ad altre uve nella composizione del Monferrato Rosso e del Langhe Rosso, ma a cui sta stretto il ruolo di comprimaria, ha pienamente meritato una sua espressione in purezza perché fin dal primo momento di una benvenuta riduzione delle rese sa sfoderare subito gli artigli con dei vini sempre più interessanti e questo dimostra che la strada giusta per nuovi miglioramenti è proprio in vigna, e non nelle improbabili alchimie. Avete mai provato un bel Freisa con la finanziera di creste e bargigli di pollame, con le cappelle di porcino grigliate o con il fritto misto di verdure impanate? Oppure per cuocere dieci minuti le ciliegie snocciolate, qualche buccia di arancia tagliata sottile, un po’ di zucchero e di cannella in stecca, il tutto servito poi freddo con i biscotti della nonna? Si leccherebbe le dita anche Angelo Gaja, le roi a cui le fragole piacciono così tanto nel suo giovane Barbaresco…

Mario Crosta

Mario Crosta

Di formazione tecnica industriale è stato professionalmente impegnato fin dal 1980 nell’assicurazione della Qualità in diverse aziende del settore gomma-plastica in Italia e in alcuni cantieri di costruzione d’impianti nel settore energetico in Polonia, dove ha promosso la cultura del vino attraverso alcune riviste specialistiche polacche come Rynki Alkoholowe e alcuni portali specializzati come collegiumvini.pl, vinisfera.pl, winnica.golesz.pl, podkarpackiewinnice.pl e altri. Ha collaborato ad alcune riviste web enogastronomiche come enotime.it, winereport.com, acquabuona.it, nonché per alcuni blog. Un fico d'India dal caratteraccio spinoso e dal cuore dolce, ma enostrippato come pochi.

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