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Assaggi dall'Italia e dall'EsteroIl vino nel bicchiereItalia

Tre rose rosse per Sylla Dogliani

vigneti Mauro Sebaste

Nonostante sia nato praticamente in mezzo alle grandi botti e alle cisterne dello zio Renzo Farioli e abbia cominciato a giocare con i cestelli d’acciaio dei bottiglioni e le pastiglie di paraffina da mettere nelle damigiane (ma solo mezza per risparmiare!), di vino ne capisco proprio poco e qualcuno mi ha detto perfino che non ne capisco un ca…, come ha fatto uno dei più sinceri produttori che mi onorano della loro amicizia commentando, tra il serio e lo scherzo, la mia scelta di un suo eccellente giovane vino rosso con gli spaghetti estrusi al nero di seppia conditi con i ricci di mare raccolti alla mattina. Vengo da un mondo in cui bastava una stretta di mano per onorare patti della durata di una vita e spesso tramandati anche alle generazioni successive, quel mondo del vino della cantina sotto casa che aveva ospitato negli enormi tini al buio una famiglia di religione ebraica per sottrarla a rischio della vita ai rastrellamenti dei nazisti verso i campi di concentramento, quando anche noi bambini smettevamo di far chiasso per sederci buoni buoni sulle larghe scale d’accesso al solaio per ascoltare incantati l’allora ragazzino Uto Ughi che veniva a lezione privata di violino dal ragionier Mondini dell’ultimo piano.

la cernita delle uve

Ricordo perfettamente i vini che bevevo prima che il presidente della repubblica istituisse il 3 marzo 1966 i disciplinari delle prime 4 DOC (pubblicati sulla gazzetta ufficiale dal 7 al 16 maggio ed entrati in vigore dal il 1° novembre 1966), vini da bersaglieri a passo di corsa, e il ricordo estasiato di alcune di quelle straordinarie eccellenze di allora non mi permettono ancora di considerare come tali parecchi di quei vini di oggi che vengono osannati sotto le luci di troppe ribalte, anche se devo ammettere che le benemerite scuole di enologia come quella di mio cugino Tino ad Alba e tutte le altre hanno sfornato enologi sempre più capaci di eliminare i principali difetti di un vino, che una volta erano certamente molto più diffusi di oggi.
Da allora è passato più di mezzo secolo e, a 68 anni ormai suonati, certe volte mi sento perfino estraneo al mondo del vino di oggi che è completamente diverso da quello di decenni fa, ormai fuori moda. A quei tempi il vino (almeno per quei viandanti bevitori come noi che qualche anima buona faticava a riportare a casa in carriola) era sempre una scoperta perché passava prima in osteria, al circolo, in trattoria, dove lo si beveva senza dissanguare il portafoglio e lo si poteva discutere con i più anziani per capirne qualcosa da spiegare poi, proponendolo qualche volta anche alle ragazze con l’obiettivo di portarle in camporella. Oggi passa prima nei saloni delle enoteche o fra le vetrine luminose dei moderni vinobar e ci arriva già esaltato da una serie impressionante di guide e di riconoscimenti sotto le luci della ribalta che premiano a suon di punteggi il marketing più azzeccato, il miglior vestito della bottiglia, l’esposizione sui social del produttore, le stravaganze con cui viene dipinto a seconda della filosofia che questi segue per davvero oppure che smercia per darsi un tono da guru.

Mauro Sebaste

Abbiate pazienza se non riesco mai a dimenticare, invece, il mondo dei vignaioli con le loro proverbiali dodici erculee fatiche, quelli che non sanno incantare con le parole, ma che tutti i giorni vanno in vigna a sgobbare, anche di festa e di domenica, perfino con la febbre e sfidando il maltempo, quelli che soffrono per le malattie delle piante, la siccità, i debiti da pagare anche nelle annate avverse, per poterci assicurare un briciolo di felicità con il loro vino. Il primo vino, come il primo amore, non si scorda mai, rimane nel profondo della memoria come le bottiglie di quei vini che mi hanno procurato l’immenso piacere della scoperta quand’ero uno studentello nella fatal Novara proprio nelle ”farmacie dei sani”, là dove ci si poteva leccare le dita e fare la scarpetta senza subire occhiatacce dalle megere in ghingheri con il nasino sempre più su.
Per esempio in Monferrato alla ”Ca’ d’ Viulètta“ di Calamandrana, da quella signora Maria che era rimasta vedova da poco con due bambini piccoli e che aveva dovuto stringere i denti per piangere in cucina, ma non in sala, pur di ribaltare la realtà e continuare un sogno, oppure al Felicin di Monforte d’Alba della famiglia Rocca o alla Trattoria della Posta nella borgata Sassi a Torino, proprietà della famiglia Monticone (ci sono ancora, perciò andateci!).
Per non parlare dell’indimenticabile Locanda del Centro a Gallo d’Alba dalla mamma del prof. Luigi Cabutto, che è stata molto generosa con me e con tutti gli amici che le mandavo da Milano. Quante fettine di tartufo fresco quella santa donna ci metteva sui primi piatti, senza nemmeno contarle per non calcare sul prezzo, che bei vini potevamo bere senza poi doverci svenare per pagarli! Un monumento della cucina langarola che è stato demolito 17 anni fa per far posto a una moderna palazzina. Bòja fàuss!

Sylla Dogliani
Sylla Dogliani

Qui non c’è più il circolo delle bocce, là non esiste più nemmeno la panetteria che d’estate offriva le rane impanate e d’inverno il salam ‘dla duja, è sparita l’osteria delle due sorelle che intavolavano i tomini in salsa verde o le caldarroste per stappare qualche altra bottiglia di vino e perfino le anguriere all’aperto in campagna, cioè tutto quel mondo in cui il vino si misurava a pintoni e non con il bilancino da farmacista. Un mondo di bontà genuine e sapori sopraffini preparati con la sapienza e la generosità delle nonne nell’orto di casa, nel pollaio, nella stalla e nella cantina, quando accanto ai più famosi cavalieri del vino già negli anni ’50 iniziavano a brillare le prime donne del vino, come Tersilla Dogliani nota Sylla, soprannominata ”la dama di Langa”, la mamma di Mauro Sebaste che è prematuramente scomparsa nel 1985.
Cosa mi ha sempre conquistato di più di quei vini esuberanti fino alla goduria, per esempio i popolarissimi Freisa e Barbera? La straordinaria spontaneità e naturalezza con cui entravano e uscivano dal bicchiere (allora non si usavano ancora i calici), che era sempre pieno e sempre vuoto, perché non erano vini difficili, non erano fatti per scioccare il palato di un critico o per incantare un pubblico di vip, ma erano i classici vini da compagnia allegra, quella che poi finisce sempre per mettersi a cantare o va a cercarsi l’immancabile mobiletto del gioco della moneta in bocca alla rana, oppure un bel campo da bocce.

Mauro Sebaste in vigna

Nella seconda metà del secolo scorso, invece, sono stati fatti passi da gigante nelle prove enologiche e nelle elaborazioni di ogni sorta di cambiamenti, per poter far predominare la tecnica in quella simbiosi che produce un buon vino, quella dell’equilibrio tra il sole, la terra, il vitigno e il genio umano, che ne sono i fattori determinanti. Ma tutta questa tecnologia, che perfeziona indubbiamente il vino, insieme ai suoi pro ha anche i suoi contro.
I degustatori sanno che, negli assaggi, oggi ci sono vini sempre più ”prevedibili” e identificabili con precisione nelle caratteristiche. Vi si coglie la nota proveniente da quel tipo di legno, da quella tostatura, da quella variante di lieviti, da quel periodo di maturazione, da quel numero di follature, in poche parole si può già cominciare a parlare di grosso intervento della tecnologia per produrre vini molto simili fra loro indipendentemente dalle condizioni naturali, vini dai livelli di qualità standard ben definiti, ma oserei dire ingabbiati e, proprio per questo, che non entusiasmano più. Il fascino della sorpresa è stato immolato sull’altare della commerciabilità, questi vini sono sempre meno vivi e hanno perso un po’ della loro anima.
Il vino, però, è pur sempre il frutto di una fermentazione dapprima violenta, che lo farebbe letteralmente ribollire fra temperature che si alzano, e poi tranquilla, ma solo in apparenza perché si trasformano delle sostanze in altre, cioè si tratta di un cambiamento di stato della materia viva uva e non di un ”processo” tecnologico. Con tutta la perfezione possibile e con tutte le forzature ammissibili, avviene pur sempre un terremoto di mondi molecolari, che è genuino ed è per questo che il vino piace e che fa bene alla salute come ha dimostrato il paradosso francese.
Solo dall’uva sana può nascere un vino sano, solo dall’uva migliore può nascere un vino migliore e per farlo bisogna prestare tante più attenzioni al terreno, alle pendenze, all’esposizione, alle potature, a tutto ciò che di naturale e di umano c’è nell’arte della vinificazione. E questa rimane un’arte (è sempre meglio ripeterlo), che è una cosa ben diversa dall’industria. In quei vini si sente l’anima, quella che differenzia talmente le annate tra loro da suscitare stimoli organolettici sempre nuovi ai sensi, e perciò al cervello, di chi ne può bere.
Si è arrivati addirittura alla tragedia, quando le sciagurate strategie di alcuni innominabili imbottigliatori senza scrupoli, quelli che hanno sfruttato per decenni i piccoli vignaioli senza cantina propria, avevano massacrato senza pietà le doti organolettiche di vini fino a provocare un disastro nel 1986 con la tragedia del metanolo, quella che ha immediatamente dimezzato per sempre i consumi.

Botti Mauro Sebaste

Tutto il settore vitivinicolo, in particolare quello piemontese, ha dovuto affrontare a lungo quella crisi per tamponare le perdite dovute al crollo dei consumi di Freisa e Barbera, ma lo sapete tutti come sono i piemontesi delle campagne, vero? Parlo di teste dure con le mani callose, le scarpe grosse e il cervello fino, cioè di quelli che hanno continuato a farli secondo il modo saggio di coltivare la vite tramandato di generazione in generazione e di vinificare senza usare diavolerie né fare forzature o alchimie, piemontesi con la testa e gli attributi al posto giusto che si sono ingaggiati in  un riscatto impensabile al punto da convincere anche agli scettici e quelli che avevano ormai perso le speranze. Oggi si parla chiaramente di maestri del terroir e le cantine aperte, le strade del vino, il turismo del vino, l’agriturismo e un po’ di buonsenso popolare stanno restituendo un po’ alla, volta grazie a loro, quello che le scriteriate mode dei salotti che contano avevano loro tolto, colpevolizzandoli per non essersi prostrati ai nuovi feticci dei guru, i vini oggetti di culto, o, peggio, di non aver fatto parte dei loro pretoriani e cortigiani, con tanto di jus primae noctis di qualche cartone alla volta.
Nelle loro mani, Freisa e Barbera sono vini di forte personalità che possono raggiungere il successo soltanto in sintonia con il proprio carattere e confesso che per me non è stato per niente facile apprezzarli anche nella versione tranquilla, che mira a conquistare i palati più raffinati, ma uscendo dalla trattoria per entrare in gran pompa al ristorante con le bottiglie vestite di lusso, anche perché provengono da vitigni che traboccano di tannini da orticaria, sprigionano profumi penetranti di fragole e more selvatiche e stuzzicano il palato con una succosità e un amarognolo da sballo.
Ovvero: l’esuberanza e la generosità, più che l’armonia, sono le loro vere doti che solo un’enologia ben curata, lungimirante e al passo con le modernità tecnologiche riesce a proporre nelle innumerevoli sfaccettature espresse dalle uve di ogni singola parcella, bricco, sorì e cru al punto che queste uve tanto bonarie e generose avranno ancora da sorprenderci per gli sviluppi che incomincio finalmente a intravvedere.
Bisogna crederci e plaudo perciò alla ripresa della produzione di alta qualità di questi vini stuzzicanti che stanno cominciando a farsi apprezzare di nuovo, proprio nelle splendide versioni di oggi, dopo una pausa produttiva di riflessione da parte di molti produttori che, lo ricordo sempre, con il vino che producono ci devono campare senza rivolgersi alla San Vincenzo de’ Paoli e quindi non possono permettersi di fare tutto il vino come vorrebbero loro, ma soprattutto come quello che i grandi buyers si degnano di promuovere sui mercati dall’alto del loro piedistallo e a prezzi che lorsignori impongono.
La mia bicicletta da corsa ricorda benissimo le favolose vigne della frazione collinare di Santa Rosalia, in particolare, che è considerata la culla del Langhe Freisa, come quelle di Nizza Monferrato che è storicamente la culla d’elezione del vitigno Barbera e come quelle di Vinchio che sono nel cuore del Barbera d’Asti e che fruiscono del clima benefico della Riserva Naturale della Val Sarmassa, tutte famose già quando i consumi pro-capite di vino in Italia erano i più alti del mondo (vi ricordo anche il primato di 110 litri l’anno, più della Francia, che allora rimaneva al palo con 105). Ed è perciò con grande piacere e commozione che posso scrivere dei gioielli di queste tre zone vinificati da Mauro Sebaste. Lui ve l’avevo già presentato in un articolo precedente, con quel suo lavoro certosino di ricerca delle vecchie vigne, dei vitigni, delle tipicità del territorio e delle loro storie che continua sempre su questa strada per creare cultura e passione.

Nizza Costemonghisio 2017

Nizza Costemonghisio 2017
Le vigne si trovano nel comune di Vinchio a circa 280 metri di altitudine con esposizione sud-est su suoli sabbiosi con buona presenza di limo e venature di argilla. Le uve sono state raccolte dalla metà alla fine di settembre. Fermentazione con rimontaggi giornalieri e contatto con le bucce per 8-10 giorni in vasche termoregolate di acciaio inox, con sistema automatico computerizzato di rimontaggi e follature, senza l’aggiunta di nessun additivo chimico. Alla svinatura è seguita la fermentazione malolattica, quindi il vino è maturato per 6 mesi in tonneaux di rovere francese da 400 litri e si è affinato ancora in vetro per almeno altri 12 mesi,prima della vendita, per via del suo caratterino un po’ grintoso. L’affinamento lungo gli restituisce briosità, infatti da marzo scorso è migliorato ancora.
Il vino del lotto N/1 è di colore rosso rubino intenso e attacca con un profumo di sottobosco da funghi porcini e di  amarena che richiamano ai sensi uno spiccato vigore e un’esuberante rigogliosità. Adesso il bouquet è più ampio, intenso, ricco di aromi maturi e fragranti di marasca, piccola prugna damaschina Ramassin, corniolo e mirtillo rosso.
In bocca è potente e austero, si sentono i tannini scalpitanti della buccia dell’uva e dei vinaccioli, un’eccellente struttura e quella spiccata acidità che gli dona una piacevole freschezza anche con il tenore alcolico notevole del 15%. Ha un non so che di balsamico che mi sembra uscire dalla scorza dei vinchi ancora verdi, quelli che i nonni usavano per legare i tralci o per confezionare le gerle e i cestini. Finale salmastro e amaricante. Non morde, ma è pimpante, un vino da Bersaglieri, come quello che più piaceva al nonno Mario della fanfara di Lonate Pozzolo. Un vino burbero, contadino, maschio, da tagliata alla rucola, carni rosse alla brace, selvaggina da pelo arrosto e alla cacciatora, formaggi ben stagionati e leggermente piccanti come gli induriti Raschera e Bra, per non parlare del feeling amoroso con una specialità lombarda, la cassoeula, ma è veramente superbo e fa venire l’acquolina alla gola con il tagliere dei profumatissimi salumi monferrini. Andrebbe servito e mantenuto a 18 °C.

Barbera d'Asti Valdevani 2019

Barbera d’Asti Valdevani 2019
Le vigne si trovano nel comune di Vinchio, sottozone Boglietto e Valdevani, su suoli sabbiosi con buona presenza di limo e venature di argilla. Le uve sono state raccolte in settembre. Fermentazione con rimontaggi giornalieri e contatto con le bucce per 6-8 giorni in vasche di acciaio inox termoregolate con sistema automatico computerizzato di rimontaggi e follature, senza l’aggiunta di nessun additivo chimico. Alla svinatura è seguita la fermentazione malolattica e un periodo di riposo per conservare la freschezza e la dolcezza del fruttato fino alla primavera successiva, quando è stato imbottigliato nel mese di maggio e affinato almeno per un mese prima della vendita. Il vino del lotto BAV/2 è di colore rosso rubino intenso e attacca con la sua schiettezza spartana, intonsa dal legno e avvolta in una veste di benvenuta gioventù con un bel profumo di ciliegia matura. Il bouquet è ricco di aromi maturi e fragranti di ciliegia precoce di Rivarone a piena maturazione, mora di rovo con delicate note di sambuco nero e una sfumatura di ribes rosso. Vino pieno, gustosissimo, straordinariamente armonioso e vellutato, ben equilibrato tra morbidezza e potenza, infatti non scherza con il tenore alcolico, che è del 14,5%.
Uno dei tre migliori Barbera che abbia bevuto (non solo degustato) nella mia vita, sul podio con un 1926 e con un 1964, un re. La sensazione di calore che sa infondere è veramente notevole, come tutte le emozioni che mi sono esplose fino alle lacrime, ma di gioia. Ci voleva un langarolo per addomesticare quegli stalloni focosi che sono i tannini delle rive astigiane! Vino da agnolotti al sugo d’arrosto, bistecche di filetto di manzo appena scottate al burro, stracotto di asina, lumache in umido, arrosto di vitello all’acciughina, ma m’intriga anche con le grosse acciughe sotto sale comprate intere, diliscate e pulite a dorso di coltello e con uno straccetto bianco umido. Se viene servito e mantenuto a 18 °C, esprime al meglio tutte le sue doti organolettiche. Sopporta bene anche un grado o due in più, d’inverno, ma non meno d’estate se si vuole apprezzare pienamente un capolavoro di questo livello.

Langhe Freisa vivace Sylla 2019

Langhe Freisa vivace Sylla 2019
Dulcis in fundo, questo vino simbolo di ”Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto, sia: di doman non v’è certezza”. Un vino spensierato che era stato messo da parte per sei anni perché, come mi ha confidato Mauro, ”non aveva più mercato o comunque molto ridotto, un vero dispiacere perché lo producevo soprattutto in memoria di mia mamma che aveva iniziato proprio con questo vino”. Nelle cantine di allora non mancava mai la bùta stùpa, cioè quella con un leggero botto del tappo. La vigna si trova nel comune di Alba, proprio nella culla storica di Santa Rosalia su suolo prevalentemente argilloso, calcareo e sabbioso. I grappoli sono stati raccolti a fine settembre e sono stati sottoposti a pigiatura soffice con conseguente diraspatura e fermentazione a temperatura controllata. Dopo una macerazione di 3-4 giorni, il mosto-vino è stato svinato ancora molto dolce per terminare la fermentazione a bassa temperatura. Il vino è rimasto per qualche mese in vasche di acciaio. Dopo una lenta presa di spuma in autoclave, dov’è avvenuta ancora una rifermentazione che gli ha donato una finissima effervescenza, è stato imbottigliato ancora vispo nel mese di Maggio.
Il vino del lotto BASC/1 è di colore rosso rubino luminoso dai riflessi porpora con una spuma rosa chiaro che scompare rapidamente. Attacca con un profumo fine, soave, sensualmente seducente che ricorda la confettura di ciliegie e i petali di rosa rossa. Il bouquet si arricchisce anche di aromi di viola e mora di rovo con un accenno di goudron. In bocca è rinfrescante, di sapore asciutto con un bel fondo di lamponi maturi e rosa canina. Servito e mantenuto leggermente più fresco del solito, dai 14 ai 16 °C ma non oltre, esprime al meglio queste sue caratteristiche di fragranza e di freschezza e il tenore alcolico più leggero, un 12,5% tipico, classico, ne sottolinea la vivacità. Vino di buon corpo, con tannini ricchi e morbidi e un finale delicatamente mandorlato dolce. Talmente sexy che arrossirei se vi scrivessi a cosa ho pensato bevendolo voluttuosamente. Finché rimane così fresco, oserei chiamarlo… ”la” Freisa, perché riesce a sedurre come un’incantevole, sinuosa, ammaliante danzatrice del ventre.
Riscaldandosi nel calice emergono invece quelle sfumature di erba falciata, geranio e macis che ne preannunciano lo sviluppo in un vino meno delicato e meno rosa, ma più maschio e più verde. Ragazzi miei, siete adulti, scegliete voi! Ma mi sono convinto che sia proprio la temperatura di servizio in tavola la causa della perdita di sex-appeal di vini così buoni negli anni recenti. Ha fatto pessima scuola la cattiva abitudine di bere i vini rossi “a temperatura ambiente” nata quando questa nelle case di campagna era però intorno ai 18 °C, si tiravano su le bottiglie dalla cantina a 14 °C e si bevevano in un amen in bicchieri di vetro spesso, non si lasciavano certo i calici dalle pareti sottili a riscaldarsi ai 20, anche 22 gradi dei più comodi appartamenti di oggi, per non parlare dell’estate.
Per tornare a dilettarsi con il vino alla temperatura ideale si possono però usare tanti nuovi accorgimenti, dal secchiello di acqua e ghiaccio fino alle borse fascianti di ghiaccio secco, alle fasce di sughero o di polistirolo oppure ai thermos da tavola a doppia parete, senza dover rinunciare alla comodità del riscaldamento domestico e usando magari anche i termometri a fascia per regolarsi meglio. Non sono certo un talebano del mondo che fu, anzi consiglio di usare le modernità per godere del vino proprio come sapevano però fare anche una volta quando non le avevano e abbinavano il Freisa vivace a pietanze gustose come fasolà di cotenne e borlotti, fritto misto di frattaglie passate in farina, uova e pangrattato, bollito misto piemontese (7 tagli di carne di bovini adulti, 7 altri tagli di sostegno da carni diverse, 7 salse e 7 contorni), tomini in salsa verde, castelmagno friabile di alpeggio.
Altri potrebbero assegnare bicchieri, stelle, chiocciole, ma io ringrazio di cuore l’indimenticabile Sylla Dogliani per questo piccolo miracolo della sua passione che ha trasmesso a suo figlio Mauro e che illuminerà certamente il cammino delle sue nipoti, perciò… tre rose rosse in doveroso ossequio, anche se alla memoria!

Mario Crosta

Azienda Agricola Sylla società semplice
Via Garibaldi 222 bis, frazione Gallo Conforso, 12051 Alba (CN)
coordinate GPS: lat. 44.649330 N, long. 7.978653 E
Tel. 0173.262148, fax 0173, 262954
sito www.maurosebaste.it, e-mail info@maurosebaste.it

Mario Crosta

Di formazione tecnica industriale è stato professionalmente impegnato fin dal 1980 nell’assicurazione della Qualità in diverse aziende del settore gomma-plastica in Italia e in alcuni cantieri di costruzione d’impianti nel settore energetico in Polonia, dove ha promosso la cultura del vino attraverso alcune riviste specialistiche polacche come Rynki Alkoholowe e alcuni portali specializzati come collegiumvini.pl, vinisfera.pl, winnica.golesz.pl, podkarpackiewinnice.pl e altri. Ha collaborato ad alcune riviste web enogastronomiche come enotime.it, winereport.com, acquabuona.it, nonché per alcuni blog. Un fico d'India dal caratteraccio spinoso e dal cuore dolce, ma enostrippato come pochi.

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