Albino Piona e il Custoza DOC
Fotografie di Danila Atzeni e Albino Piona
Premetto, da buon piemontese amo i vini prodotti da uve in purezza. Tuttavia, con il passare degni anni, ho imparato una cosa molto importante: le etichette che rimangono impresse nella memoria sono quelle diametralmente opposte ai propri gusti, ma in grado di regalare un sorriso e un senso di stupore alla fine della degustazione. Nulla è più importante che lasciarsi sorprendere ancora una volta, ribaltare le proprie convinzioni, nuova linfa vitale per rimanere con i piedi per terra, mai sentirsi arrivati, cosa che troppo spesso accade in questo mestiere. Il Custoza DOC 2017 di Albino Piona, rappresenta per l’ennesima volta un caso scuola in cui mi sono imbattuto e che conferma la mia tesi. In Italia, salvo casi rari, non penso esista un vino bianco fermo che contenga, nell’uvaggio, un numero maggiore di vitigni. Albino mette a dura prova i “puristi del vitigno in purezza”, ma quando si conoscono come le proprie tasche, territorio e potenziale dei propri vigneti, ci si può permettere di alzare la mano e prendere parola, anzi alzare proprio la voce, se non cantare, in alcune annate.
L’annata 2017 sappiamo tutti che non è stata facile per i bianchi italiani, la sinfonia è tutt’altro che Mozart, se mai un hard rock pesante e a tratti stonato, ma c’è chi è riuscito a portare a casa uve interessanti con livelli di acidità ottimali.
La famiglia Piona si occupa di viticoltura, in prossimità del Lago di Garda, dal lontano 1893, Albino fu il fondatore dell’azienda; da oltre un secolo la conduzione è prettamente famigliare. Le colline moreniche della zona vitivinicola del Custoza sono ricche di fascino e particolarmente vocate; per l’esattezza ci troviamo a Villafranca di Verona. Albino Piona lasciò la sua eredità al figlio Silvio che proseguì con impegno e continuò la produzione del vino e la gestione della trattoria di famiglia. Quest’ultimo, in onore del padre, chiamò suo figlio proprio Albino; oggi, l’ultimo erede di casa Piona rappresenta la terza generazione e si dedica interamente alla viticoltura. Albino “junior”, sin dal principio, ha voluto ammodernare la cantina sviluppando un suo personalissimo concetto d’innovazione.
L’ausilio di apparecchiature moderne e tecnicamente avanzate ha giovato, ma in nessun modo si è voluta perdere l’identità delle proprie origini riguardo ai vitigni o alle tecniche di vinificazione. Grazie a questa filosofia la cantina ha potuto svilupparsi fino a raggiungere gli oltre 45 ettari di vigneti tra Sommacampagna, Valeggio, Sona e Villafranca. Con il passare degli anni è diventata un vero e proprio punto di riferimento per la produzione del Custoza e del Bardolino, le DOC più importanti di questa sponda veronese del lago di Garda. Per fortuna anche i figli di Albino, ovvero Silvio, Monica, Alessandro e Massimo, hanno scelto di mantenere alti gli standard qualitativi investendo tutto nella cosiddetta “filiera corta”. Inoltre hanno approfondito sempre più un tipo di agricoltura attenta al rispetto dell’ambiente. In vigna si eliminano le erbe nocive attraverso lavorazioni meccaniche, evitando l’utilizzo di prodotti di sintesi, ne consegue la salvaguardia delle api, quella del terreno e delle falde acquifere sottostanti. Inoltre, come spesso racconta Albino: “cerchiamo di limitare notevolmente l’uso degli antiparassitari, si adotta il principio della “confusione sessuale”, un sistema alternativo agli insetticidi per bloccare o ridurre la riproduzione di parassiti dannosi per le coltivazioni: emettendo nell’aria il feromone sessuale emesso dalla femmina di ogni specifico insetto bersaglio si impedisce al maschio di localizzarla e fecondarla, riducendo la produzione delle larve. Non solo, con la nostra filosofia green ci appoggiamo a Globalpower l’energia virtuosa e collaboriamo con l’azienda Simba Paper Design, produttori di imballaggi, da sempre attenta al rispetto nei confronti dell’ambiente. Utilizziamo energia pulita e ci serviamo di scatole per il confezionamento rigorosamente in cartone con logo FSC® (Forest Stewardship Council®). Il marchio FSC certifica che il materiale deriva da fonti gestite in maniera responsabile.
La DOC Custoza, o Bianco di Custoza, è nata nel 1971; come cita il disciplinare: “la produzione comprende in tutto o in parte i territori dei comuni di Bussolengo, Castelnuovo, Lazise, Pastrengo, Peschiera, Sommacampagna, Sona, Valeggio sul Mincio e Villafranca di Verona.” I vitigni sono: Bianca Fernanda (sinonimo di Cortese B.), Garganega, Trebbiano toscano e Tocai Friulano B., da soli o congiuntamente per un minimo del 70% e ciascun singolo vitigno non può superare un massimo del 45%. Possono altresì concorrere alla produzione di detti vini, fino a un massimo del 30%, le uve provenienti dai seguenti vitigni a bacca bianca: Malvasia, Riesling (Riesling italico e/o Riesling renano), Pinot bianco, Chardonnay e Incrocio Manzoni 6.013 da soli o congiuntamente.
Ma veniamo all’assaggio. Il Custoza 2017 di Albino Piona è un blend di uve Garganega 40%, Trebbiano 10%, Trebbianello (Tai) 20%, Bianca Fernanda (Cortese) 20%, Riesling, Pinot bianco, Chardonnay, Incrocio Manzoni 10% allevate a 150/200 metri sul livello del mare ed esposte a sud. Il terreno ha una matrice prettamente morenica, l’età di questi vigneti si aggira tra i 15/25 anni. Si predilige il cordone speronato, guyot; su 3000/4000 ceppi una resa per ettaro pari a 130 quintali.
La vendemmia avviene dalla prima settimana di settembre a metà ottobre, seguendo il naturale andamento della stagione nel rispetto di ogni singola cultivar di riferimento che compone il blend. Vi è un’attenta raccolta delle uve, classica diraspatura e una breve macerazione pellicolare. Segue la pressatura soffice, un’accurata pulizia dei mosti, e fermentazione a temperatura controllata e maturazione sulle fecce fini in serbatoi inox. Tutte le uve vengono vinificate separatamente, adottando tempi di macerazione e fermentazione diverse per valorizzare al massimo le caratteristiche.
12,5 % Vol., il vino mostra una verve cromatica caratterizzata da sfumature oro che si contrappongono ad un paglierino luminoso e particolarmente vivace. Si muove lentamente nel bicchiere evidenziando archetti fitti e regolari. Un naso intenso che spazia dal tropicale maturo al fiore integro, fresco, dolce. Note di ananas, mango, nespola, su acacia, biancospino, menta peperita e foraggio di malga; subentra un respiro intenso di calcare, chiude un’elegantissima nota di lavanda affiorata dopo quasi mezz’ora dalla mescita.
Un vino che evolve nel bicchiere anche a temperatura da rosso, regalando un ventaglio di profumi che va via via ingentilendosi sempre più. In bocca l’acidità scalpita, la materia in prima battuta scivola con disinvoltura e una certa verticalità, ma dopo la deglutizione l’alcol affiora leggermente, registrando una sensazione pseudocalorica evidente ed una sapidità ben integrata con la materia. L’annata torrida si sente, punte di oltre 43 gradi non si possono dimenticare, né tanto meno fare miracoli in vigna, tuttavia il vino riempie il palato senza in nessun modo saturarlo, concludendo il suo viaggio in un finale dolce ed al contempo ammandorlato.
Caratteristiche che ben si prestano al piatto che ho cucinato, studiato appositamente solo dopo aver gustato il vino: “Spaghettone di Gragnano IGP, spadellato con pomodori Pachino, burrata pugliese, gocce di pesto fatto in casa con basilico di Prà e cubetti di melanzana fritta.” Un piacere per la vista, che ricorda la bandiera dell’Italia in un momento tanto difficile, e per il palato. Il contrasto tra le durezze del piatto e le linee sinuose del vino si intersecano alla perfezione, in un crescendo di sensazioni d’equilibrio gustativo che appagano la mente e il cuore.
Andrea Li Calzi