Vini Buoni d’Italia: buone intenzioni, ma risultati non soddisfacenti
Bacco solo sa quanto avrei voluto parlar bene di Vini Buoni d’Italia 2006, terza edizione della guida ai vini da vitigni autoctoni pubblicata dalle Edizioni Gribaudo di Savigliano in provincia di Cuneo! Ne sarei stato lieto perché uno dei due curatori, Carlo Macchi, è un collega che stimo molto, perché tra i collaboratori figurano persone serie e amici come Angelo Carrillo, Francesco Annibali e Aurora Endrici, perché concentrare l’attenzione sui vini italiani ottenuti dalle molte varietà autoctone che figurano nel Vigneto Italia la considero un’eccellente idea e un tema che, nel mio piccolo, io perseguo, con i miei articoli, da molti anni. Invece, poiché tra il dire e il fare c’è sempre di mezzo il mare e molto spesso non bastano tutte le migliori intenzioni ad assicurare una riuscita, (perché di buone intenzioni è lastricato anche l’inferno…), il risultato è che anche questa nuova edizione della guida che dovrebbe esaltare e portare in palmo di mano i buoni vini italiani, quelli dalla corrispondenza vino – vitigno autoctono a prova di bomba, lascia ancora molto a desiderare e continua ad essere un vorrei ma non posso. Lo è perché non mantiene le promesse, e le premesse, contenute nell’introduzione a firma Mario Busso e Carlo Macchi, “di ricercare” e quindi di privilegiare e premiare “nei vini la corrispondenza con il vitigno e di prediligere i vini di più aggraziata bevibilità rispetto a quelli monolitici e strutturalmente impressionanti”. Premesse mirabili, ma poi la stessa guida finisce con il portare ad esempio di vino “rappresentativo e testimone della tipologia del vitigno e del territorio”, un vino dallo stile diametralmente opposto come il Barolo Campé della Spinetta, oppure il Dolcetto di Dogliani di San Fereolo, per poi assegnare i punteggi massimi dei “vini della Corona” ad una serie di vini che rappresentativi del loro terroir non lo sono in alcun modo. C’è poi un aspetto, diciamo così metodologico, che in questa guida non mi convince. In copertina viene strillato “i 1000 migliori produttori“, e questa affermazione viene ribadita nell’introduzione, dove si legge che “solo le migliori 1000 aziende italiane entrano in guida. Complessivamente sono stati degustati i campioni di oltre 4000 cantine che producono vini da vitigni autoctoni, ma solo 1000 sono entrate a far parte della nostra selezione. Questo vuol dire che un vino segnalato in guida deve essere interpretato come un risultato importante, perché dietro a quella cantina ve ne sono almeno altre 3000 che non hanno raggiunto il traguardo”. Quando si arriva ad affermare che solo le aziende in guida sono le “migliori”, occorre essere in grado di dimostrare, magari producendo gli elenchi dei vini e delle aziende i cui vini sono stati degustati nelle varie fasi di realizzazione della guida, di aver tentato di degustare il maggior numero possibile di campioni. Altrimenti potrebbe anche capitare che qualche azienda i cui vini non sono stati degustati si incavoli, e di brutto, vedendosi declassata e non classificata, quando, in realtà, non ha nemmeno partecipato alla gara… Parlando di Piemonte, poi, è solo lo spazio che m’impedisce di citare tutte le incongruenze ed i giudizi molto discutibili ai quali mi sono trovato di fronte, dalla scheda di Giuseppe Mascarello, di cui nonostante sia un barolista massimo vengono degustati solo due Dolcetto d’Alba, a quella dell’ottima cantina Rizzi di Treiso, produttrice di eccellenti Barbaresco, Barbera e Dolcetto d’Alba, alla quale viene suggerito “un maggior impegno nell’adesione al varietale“. E questo da chi non ha avuto dubbi nel premiare il Barolo della Spinetta, di Clerico, Parusso e di mandare in finale, ad honorem, il Dolcetto di Caviola… Va bene che de gustibus non disputandum est, ma accettare come pura espressione della soggettività organolettica il dare due stelle al Valtellina superiore Prestigio 2001 di Triacca, quando si assegna la Corona e 4 stelle allo Sforzato Ronco del Picchio 2003 di Fay, far risultare come migliore azienda calabrese Lento di Lamezia e non Librandi, assegnare solo due stelle all’eccellente Brunello di Montalcino 2000 delle Potazzine, (ma gli esempi potrebbero continuare a lungo quasi in tutte le regioni), mi sembra davvero troppo generoso… |