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Vini di Vignaioli: l’altro vino


 

Vini di VignaioliE’ strano svegliarsi all’improvviso ed accorgersi che quello di semplici vignaioli è ormai divenuto “l’altro vino”. E che le loro etichette incontrano sempre più maggiore difficoltà a trovare spazio sugli scaffali e nelle cantine di enoteche e ristoranti. Siamo di fronte ai cosiddetti “duri e puri” del vino, come sono da qualcuno stati definiti. “Duri” per la fermezza delle loro convinzioni, “puri” perché da tempo hanno abbandonato l’utilizzo della chimica nella cura dei loro vigneti e bandito dalle loro cantine tecniche e tecnologie di vinificazione che potessero risultare in qualche modo invasive.

Una filosofia di vita prima ancora che produttiva.
Alcuni li considerano degli “estremisti”, io li ritengo invece degli “oltranzisti” in un senso, però, che tradisce il significato letterale, originale ed originario, del termine. Li considero vignaioli che vogliono andare “oltre”, oltre il grigiore della schematicità ed asfissia di un certo modo di fare vino – omologato ed omologante – perché, fuori dalla retorica di certi discorsi, il pericolo di una perdita d’identità dei vini e del territorio è sempre più reale e tangibile!

Obiettivo di questi produttori diventa, dunque, quello di cercare di recuperare un’interpretazione delle uve e del territorio quanto più fedele e trasparente possibile, un’interpretazione nella quale l’unico filtro ammesso è l’uomo-vignaiolo che, pur con una sua imprescindibile storia-esperienza personale, diventa allo stesso tempo custode della tradizione e della cultura locale del “fare vino”.
Il rispetto della vigna diventa rispetto per l’ambiente che ci circonda ed il rispetto della materia prima – così ottenuta – diventa rispetto ed ulteriore garanzia per il consumatore. Una sorta di quadratura del cerchio che non vuole essere dogma o punto d’arrivo ma punto di partenza e cammino di vita.

Tra queste righe non troverete il vino perfetto perché il vino perfetto non esiste
Troverete i vini di produttori, piuttosto, che non cercano di correggere le annate minori perché le annate minori non esistono: esistono solo annate diverse che il vignaiolo deve cercare di assecondare perché il vino deve riflettere con la sua diversità non solo la diversità di un terroir o il patrimonio di un’uva ma altresì l’imprevedibile andamento climatico di ciascuna vendemmia.
In cantina, infine, sono i lieviti autoconi ad avere il compito di non disperdere il faticoso lavoro dellla vigna e tocca esclusivamente agli elementi costitutivi dell’acino di preservare il vino nel suo percorso fino alla bottiglia e nel tempo (ecco spiegato, tra l’altro, il perché molto spesso questi vini soffrono il trasporto e questa non vuol esser una giustificazione per qualche prestazione deludente ma un ragionevole dubbio).

Ho deciso di non esprimere punteggi centesimali né di utilizzare nella valutazione le chioccioline ma di raccontare più semplicemente la storia di alcuni di questi produttori sia italiani e che francesi che ho incontrato all’appuntamento di Fornovo di Taro rinnovatosi per il quarto anno consecutivo vedendo crescere, di anno in anno, il suo numero di appassionati visitatori.
Permettetemi una sola ultima considerazione: erano poco più di una ventina di produttori e dalla conferenza stampa che ha preceduto il banco d’assaggio è emerso che facevano capo a ben sei (dico 6!) diverse tra associazioni e movimenti. Cari produttori non sarebbe il caso, come ha suggerito Samuel Cogliati di Porthos che ha guidato il dibattito, fare un unico fronte comune e organizzarsi a livello nazionale se non addirittura internazionale?

I produttori
Avevo deciso di inizare con lo storico Domaine Borgognone di Claude & Catherine Marechal. Un impedimento di natura fisica ha bloccato a letto Monsieur Claude che ha dovuto rinunciare a prender parte alla manifestazione. Ho deciso così di riassegnare ad un produttore di estrazione totalmente opposta questo stesso spazio. Jean Marc Brignot è, infatti, un simpaticissimo produttore praticamente esordiente (primo imbottigliamente annata 2004) di una zona semisconosciuta (soprattutto qui in Italia): il Jura ai confini tra Svizzera e Savoia. Le vigne sono però antiche e la materia prima di grande qualità. Sono i lieviti indigeni a svolgere la fermentazione alcolica così come i vitigni coltivati sono rigorosamente autoctoni: il savagnin e il ploussard. Unica deroga ammessa una parcella di chardonnay (tra l’altro da sempre presente in zona, nda) vinificata frizzante con leggero residuo zuccherino e denominata “Foudre d’Escamette“.
L’affinamento successivo avviene per alcuni bianchi e per i rossi in botti grandi da 500 litri. Durante questo periodo i vini continuano a rimanere sulle fecce nobili per riuscire ad ottenere la piena espressione del potenziale aromatico delle uve. Attualmente i vini prodotti sono “Le mouches ont pied” da uve ploussard spumantizzate in bianco (in pratica un blanc de noir), un Savagnin vendemmia tardiva (VT in misura del 30%), un Savagnin da vigne di 30 anni vinificato in legno e due versioni più tradizionali, cioè in rosso, di ploussard, una denominata “Cuvée en retard” e l’altra ancora in corso di affinimento e nome da definire.
I vini sono tutti caratterizzati da una forte personalità espressiva. Gradazioni alcoliche molto contenute, mineralità spiccata al naso, freschezza e grande sapidità al palato sono tutte caratteristiche che li rendono molto, quasi in maniera pericolosa, bevibili. Ho notato una mano decisamente più felice sui bianchi rispetto ai rossi ancora molto duri e piuttosto difficili da decifrare.

Francis Boulard può contare su vigne in ben sette comuni a nord della Champagne. La grande varietà di terroir e dunque di suoli e microclimi, tra cui alcuni di natura sabbiosa che sono piuttosto rari in questa regione, garantisce una notevole qualità delle uve per tutte e tre le varietà ammesse nello Champagne (che ricordo sono: pinot noir, chardonnay e pinot meunier). Questa diversità di terroir, alcuni dei quali Grand Cru, si riflette in maniera limpida ed inequivocabile nella fulgida espressività di questi particolarissimi champagne tra i quali spicca una memorabile versione biodinamica del cru Les Rachais 2001.
La famiglia Boulard ha iniziato a produrre champagne nel 1972 ed oggi, giunti ormai alla quinta generazione, si continuano ad utilizzare sempre gli stessi metodi di vinificazione tradizionali, controllando l’intero processo dalla cura maniacale dei vigneti alla vinificazione ed affinamento delle cuvée. Chicca finale, tra le diverse etichette proposte più di una non ha alcun dosaggio in modo da poter esprimere senza sovrapposizioni i sentori che provengono da ciascun terroir.

La Cantina Giardino, in provincia di Avellino, ad Ariano Irpino, promuove un progetto molto particolare ed interessante che consiste nel valorizzare i vitigni autoctoni irpini attraverso vini ottenuti da vigne molto vecchie di almeno 30 anni, anche se non di propietà. L’obiettivo è quello di salvaguardare, in questo modo, la originaria varietà biologica nel vigneto ed incentivare i vignaioli ad evitare gli espianti delle vecchie viti. I vigneti, pur non di proprietà, sono lavorati esclusivamente in biologico.
In cantina non vengono effettuate né chiarifiche né filtrazioni. Attualmente la produzione prevede un bianco IGT, Gaia, a base di fiano, un rosato, denominato Coda di Volpe Rosa, e ben tre rossi base aglianico: Le Fole, Drogone e Nude, tutti caratterizzati da etichette particolarmente originali ed accattivanti. A Fornovo sono stati presentati Fole e Nude in versione 2003, insieme al rarissimo olio da cultivar ravece 100%, altro (se non primo) vanto dell’azienda.
Vini dallo spiccata personalità: acciaio 100%, criomacerazione prefermentativa e lieviti naturali per il primo, 15 mesi di barriques nuove e lungo affinamento in vetro per il secondo ottenuto da vigne di ottanta (80) anni di età. Frutto e spezie segnano il profilo aromatico mentre estratti notevoli ed alcol (soprattutto nel Nude), acidità e tannini se da un lato rendono questi vini non particolarmente facili dall’altro ne delineano i tratti distintivi rappresentandone il fascino peculiare.

Dopo gli studi di diritto, Antoine Arena decise di tornare a prendersi cura del domaine di famiglia di circa 3 ettari. Il domaine si ingrandirà, successivamente, fino a raggiungere i 13 ettari di oggi. Il vigneto, tra mare e montagne, dicono sia spettacolare. Il suo talento di “vinificateur” non ha potuto prescindere dalla decisione di bandire l’uso di pesticidi ed altri prodotti chimici di sintesi dai suoi vigneti per un approccio che potremmo definire ormai biodinamico. Il suo motto è “fare quello che si dice, dire quello che si fa”.
Sicuramente tra i suoi vini è il Bianco Gentile quello cui Antoine tiene particolarmente, essendo ormai rimasto l’unico vigneron a fare rivivere questo vitigno corso che era quasi sparito del tutto. Nel mezzo degli anni 80, la Station Viticole Expérimentale della Corsica ha prelevato alcune vecchie marze che rimanevano ancora sulle viti più vecchie. Alcune sperimentazioni durante una decina di anni hanno dato dei risultati incoraggianti e il presidente della Station Antoine Arena, ha deciso nel 1997 di piantarne una piccola parcella. Il vino presentato, Fronovo, è una rarità ulteriore dal momento che è vinificato in secco contrariamente ai precedenti. Al naso sono nette le note di frutta bianca matura e di miele che diventano più sfumate e minerali con l’aerazione. Conviene lasciarlo molto nel bicchiere per poterne apprezzare la straordinaria evoluzione, confermata dagli incredibili profumi che continuano ad affiorare finanche a bicchiere vuoto. Un equilibrio sul filo del rasoio, che nonostante una certa grassezza ed una marcata rotondità (alcol che viaggia vicino ai 15%), non si traduce al palato in pesantezza alcuna e nel finale chiude con una seducente e piacevole punta di amarezza. Mi ha ricordato nella sua progressione quasi uno champagne “fermo”.

L’azienda agricola La Distesa si trova nella regione Marche, nell’area dei castelli di Jesi, nell’assolata contrada di Cupramontana. L’esposizione a mezzogiorno, l’altitudine di 325 metri, la grande escursione termica fra il giorno e la notte, il terreno argilloso e fortemente calcareo ne fanno il territorio ideale per grandi crus destinati a durare nel tempo.
Corrado Dottori ha deciso di adottare metodi di coltivazione a basso impatto ambientale (in conversione al biologico), basse rese per ceppo, selezione delle uve, vendemmia manuale in cassette, pigiatura soffice, fermentazioni controllate e attenti affinamenti. Il Verdicchio, qui principe incontrastato, viene vinificato in una duplice versione: una per così dire “base”, il Terre Silvate, nasce da un uvaggio di verdicchio, trebbiano e malvasia, seguendo l’antica tradizione di Cupramontana; Gli Eremi proviene, invece, da una selezione di verdicchio 100%, vendemmiato in leggera surmaturazione con una parte del mosto fermentata in botti di rovere di media grandezza. Nella versione meno ambiziosa sono le sensazioni vegetali e di frutta acerba a dominare il naso mentre il palato, non particolarmente lungo, è caratterizzato da grande freschezza e bevibilità. La versione più importante si presenta, invece, nettamente più complessa con marcati sentori di erbe aromatiche al naso e una bocca più voluminosa e avvolgente.

Tra le colline di Gambellara Angiolino Maule conduce, da par suo, La Biancara, azienda che pionieristicamente iniziò a diffondere il concetto di agricoltura biodinamica in Italia. Le uve, coltivate con metodi rigorosamente naturali, sono quelle autoctone: garganega e trebbiano. Il motto di Angiolino è “creare e regalare cultura”.
In cantina l’utilizzo di anidride solforosa è limitatissimo e in fase di imbottigliamento i vini non subiscono alcuna filtrazione. Vino simbolo dell’azienda è il Recioto di Gambellara, ottenuto con la pressatura di uve che hanno subito un processo di disidratazione in reti metalliche appese al soffitto, in un apposito capannone voluto da Angiolino, deumidificato e costantemente aerato. Ho avuto, poi, modo di assaggiare anche il Sassaia 2004, profondo e minerale uvaggio di garganega con un 10% di trebbiano, e il Tambaine 1999, un vino realizzato solo in annate particolari e frutto di vendemmia tardiva. Il vino si presenta ancora una volta al naso con note di spiccata mineralità, seppur con qualche lievissimo accenno ossidativo (non ossidato!). Il palato è fresco, quasi tannico, lungo e persistente nel finale.

Il tempo stringe. La pioggia continua, l’ora solare e il pensiero delle sette ore di macchina che mi separano da casa mi suggeriscono un anticipato rientro. Non prima però di fare qualche ultimo assaggio “en passant”. Sebastian Riffault mi regala uno spicchio di Loira con due Sauvignon molto diversi, stessa etichetta “Domaine de Quarterons” ma due annate diametralmente opposte. La 2000 calda, opulenta, meno complessa e persitente e la 2004 giocata invece su note fresche, minerali e soprattutto vinificata, per la prima volta, senza alcun apporto di solforosa.
Anche Philippe Terrier presenta due annate dello stesso vino, Les Sables, prodotto nella Aoc Cour-Cheverny sempre nella Loira. Anche in questo caso è il 2004 a mostrare decisamente un altro passo con la sua freschezza e il suo carattere più marcatamente minerale.
Walter de Batté continua, invece, a resistere sui terrazzamenti eroici della sua Liguria. Il Cinque Terre 2004 è un uvaggio di bosco 65%, albarola 25% e un pizzico di vermentino 5-10%. I sentori sono di fiori e di frutta bianca, il palato è fresco, vivace, molto piacevole. Il tempo è scaduto e con esso il mio breve viaggio “tra utopia e realtà”.
Non ho più tempo da dedicare agli altri artigiani-vignaioli presenti alla manifestazione, mi dispiace perché sono sicuro che ognuno di loro sotto a quel tendone aveva una storia interessante da raccontare ed un “territorio” unico da farmi vivere e provare attraverso i loro vini…

“Per arrivare all’idea bisogna passare per il reale”. Il reale era a Fornovo lo scorso week-end.

Fabio Cimmino

Napoletano, classe 1970, tutt'oggi residente a Napoli. Laureato in economia, da sempre collabora nell'azienda tessile di famiglia. Dal 2000 comincia a girovagare, senza sosta, per le cantine della sua Campania Felix. Diplomato sommelier ha iniziato una interminabile serie di degustazioni che lo hanno portato dapprima ad approfondire il panorama enologico nazionale quindi quello straniero. Ha partecipato alle più significative manifestazioni nazionali di settore iniziando, contemporaneamente, le sue prime collaborazioni su varie testate web. Ha esordito con alcuni reportage pubblicati da Winereport (Franco Ziliani). Ha curato la rubrica Visioni da Sud su Acquabuona.it e, ancora oggi, pubblica su LaVinium. Ha collaborato, per un periodo, al wineblog di Luciano Pignataro, con il quale ha preso parte per 2 anni alle degustazioni per la Guida ai Vini Buoni d'Italia del Touring. Nel frattempo è diventato giornalista pubblicista.

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