Solaia 1997
Degustatore: Roberto Giuliani
Valutazione: @@@@
Data degustazione: 01/2009
Tipologia: IGT Rosso
Vitigni: cabernet sauvignon 80%, sangiovese 20%
Titolo alcolometrico: 13,5 %
Produttore: ANTINORI – Marchesi Antinori
Bottiglia: 750 ml
Prezzo enoteca: oltre i 50 euro
Un mito da 98/100, miglior vino dell’anno, come dichiarò Wine Spectator alla sua uscita? Non direi. Non è certo per fare polemica spicciola che ho deciso di scrivere del Solaia ’97 di Antinori a distanza di nove anni, ma perché ritengo sia giusto invece riflettere sull’opportunità di rimanere sempre vigili e con i piedi ben saldi sul suolo. Costruire miti e leggende è sempre stata una passione per l’uomo, è un tentativo come un altro per sentirsi più vicini a Dio, a qualcosa che altrimenti sarebbe irraggiungibile, non alla nostra portata.
Ma la passione non sempre è tale, a volte il mito ha una pura funzione commerciale, ne abbiamo un validissimo esempio con quella assurda e diseducativa trasmissione che, prendendo spunto dal format americano già ben collaudato, vorrebbe farci credere di essere in grado di tirar fuori delle pop stars, fenomeni canori con l’X factor, ovvero quella dote speciale che li renderebbe unici e inimitabili. Peccato però che questi “fenomeni” siano del tutto costruiti e propinati commercialmente in modo ossessivo fino a farceli odiare, vedi il “caso” Giusy Ferreri.
Ora, se non ci fosse stata questa montatura mediatica, questo lancio discografico che ha battuto in intensità e concentrazione martellante numerosi professionisti affermati, la Ferreri sarebbe stata vista e apprezzata per quello che è, una cantante dalla voce particolare, simpatica, intonata, ancora tutta in divenire, ma che fa parte del nostro pianeta, non viene da Altair o da Vega! Ed ecco che, trovandomi di fronte a questo Solaia ’97 (annata del secolo? Altra operazione mediatica, che ha contribuito soprattutto all’aumento indiscriminato dei prezzi…), che alla sua uscita in commercio veniva venduto ad un prezzo fra le 60 e le 80 mila lire, e appena ricevuto lo scettro di miglior vino al mondo dalla più nota rivista enoica americana, Wine Spectator, arrivò velocemente a cifre vertiginose per un vino italiano, in alcune enoteche anche oltre le 400 mila lire, potete immaginare al ristorante, ebbene questo super tuscan ottenuto da cabernet sauvignon 80% e sangiovese 20%, a distanza di 12 anni dalla vendemmia, non sembra avere quell’x factor che dovrebbe renderlo davvero unico. Lo aveva prima? Certamente no, poiché un grande vino, anzi un grandissimo vino non può perdere le sue qualità straordinarie in una decina d’anni.
Intendiamoci, il Solaia ’97 non è in fase discendente, sta bene, almeno la bottiglia in mio possesso sembra godere di ottima salute: non ci sono precipitazioni tartariche né impurità (nonostante il vino non abbia subito filtrazioni), il colore è ancora bello vivo, rubino intenso con venature granate, segno comunque di un ottimo lavoro, la vigna Solaia si trova poi a 350 metri sul livello del mare, quindi in una condizione ideale per fornire profumi ed eleganza. Il legno? Quello è rimasto, dolce, cioccolatoso, e non si assorbirà mai, ma agli americani di allora piaceva da morire un vino così (oggi un po’ meno).
Il profumo è pulito e nitido già appena versato nel calice, c’è indubbiamente una componente eterea leggermente disgiunta, il frutto, prugna, ciliegia e un po’ di cassis, lascia infatti la tipica sensazione di “sotto spirito”, la speziatura c’è ma senza particolari slanci e complessità, è ovviamente una speziatura dolce, figlia del piccolo legno, si coglie qualche accento ferroso ed ematico, tabacco secco, nuances di liquirizia. La bocca conferma uno stile accondiscendente, morbido, levigato, la parte ancora tesa del tannino sembra più provenire dal legno che dall’uva, tornano le note eteree, un rimasuglio vegetale ci ricorda la massiccia presenza del cabernet, ma nel complesso il vino è più che valido, di ottima fattura, equilibrato e persistente.
Manca quel guizzo che dovrebbe renderlo inarrivabile, quel carattere unico che dovrebbe adombrare e mettere in fila colossi come il Barolo Monfortino di Conterno, il Brunello di Montalcino Riserva di Soldera, il Barbaresco Asili o il Barolo Le Rocche del Falletto di Giacosa, o per restare in zona super tuscan il Pergole Torte di Manetti; non si percepisce, non è prevenzione da parte mia, è solo che non c’è, è un vino prevedibile e senza particolari slanci, non ha l’eleganza e la complessità che ci si dovrebbe aspettare da un vino top, non racconta la storia di una grande vigna, non smuove le corde dell’emozione, non ti solleva da terra, non è un mito, eppure non c’è guida che non lo abbia premiato.
Mi piacerebbe vedere oggi, se quello stesso vino sarebbe altrettanto osannato, o semplicemente trattato per quello che è, un classico super tuscan costruito per un’epoca di cui non sentiremo proprio la mancanza.