Viti più resistenti con un minore quantitativo d’acqua: la risposta della scienza ai cambiamenti climatici
Il tema dei cambiamenti climatici è di grande attualità e le conseguenze di tale fenomeno stanno investendo la maggior parte delle colture a livello mondiale, vite compresa. Gli effetti del riscaldamento globale del pianeta hanno ripercussioni gravi sui raccolti, per non parlare del lavoro dell’uomo. L’ultima vendemmia ne è stata una dimostrazione. Infatti, dopo un’estate torrida e priva di piogge, il processo di maturazione delle uve ha accelerato il proprio naturale corso, costringendo le aziende a vendemmiare in anticipo, anche di 2 settimane. I grappoli, con concentrazioni zuccherine altissime, sono stati però nettamente inferiori in termini di peso, a causa della scarsità d’acqua al loro interno. Se il vino sarà probabilmente di qualità migliore, dovremo però fare i conti con un problema quantitativo.
Portainnesti innovativi per salvare le piante
Premettiamo che l’esigenza di utilizzare dei portainnesti nasce alla fine dell’800 per contrastare il proliferare in Europa della fillossera, un insetto che attacca le viti, in particolare dalle radici, e ne provoca la morte. La vite americana, però, risultò immune a tale insetto. Per tale ragione, si è cominciato ad innestare i vitigni europei su un piede americano, ottenendo così una pianta ibrida resistente alla fillossera. Da molti anni la ricerca scientifica sta lavorando proprio sui portainnesti, considerati l’elemento su cui intervenire per rendere le piante più resistenti ai cambiamenti climatici.
La ricerca pionieristica del prof. Scienza
Particolarmente interessanti sono gli studi del prof. Attilio Scienza, agronomo di livello internazionale e titolare della cattedra di Viticoltura all’Università degli Studi di Milano. Pioniere dell’indagine sui cambiamenti climatici, già negli anni ’80 inizia a lavorare sulla vite con lo scopo di scongiurare la minaccia della siccità. Ma è intorno al 2010 che la ricerca del prof. Scienza ottiene nuova linfa grazie ai fondi ricevuti attraverso un bando del Progetto Ager, che vede fondazioni di origine bancaria unite per supportare la ricerca nel settore agroalimentare. Nel giro di pochi anni, arrivano i primi risultati e nel 2013 vengono presentati 4 nuovi tipi di portainnesti, denominati serie “M” in omaggio alla città di Milano. A breve molte aziende vinicole italiane di fama mondiale decidono di testare gli innovativi portainnesti, costituendo per tale scopo Winegraft, società nata nel 2014 alla quale partecipano produttori come Banfi, Cantine Settesoli, Ferrari e Zonin. L’ultimo, ma non meno importante, passaggio avviene nel 2016 quando i Vivai Cooperativi Rauscedo decidono di mettere in vendita le prime 30.000 barbatelle basate sui portainnesti M.
I benefici dei nuovi portainnesti
La vendemmia di quest’anno è stata solo un anticipo di quello che potrebbe accadere nei prossimi anni. Lo stesso prof. Scienza ha immaginato un futuro di grandi evoluzioni per la viticoltura italiana, con lo spostamento di vigneti tipici del sud Italia verso il nord, capace di offrire loro condizioni climatiche più adatte. I nuovi portainnesti potrebbero, però, limitare l’insorgere di questo fenomeno. Testati in vigneti differenti su tutto il territorio nazionale, questi piedi hanno mostrato da subito una buona resistenza alla siccità. In particolar modo, fra le 4 varianti presenti, quella denominata M2 si è comportata molto bene, grazie alle radici capaci di scendere a grande profondità nel suolo per intercettare le falde sotterranee. La variante M4, invece, sarebbe in grado di svolgere la fotosintesi clorofilliana con quantità d’acqua molto inferiori rispetto ai valori medi. Nel complesso, secondo i dati ricavati nella fase sperimentale, risulta che le piante di vite con portainnesti M richiederebbero dal 25 al 30 per cento in meno di acqua. Siamo di fronte a quantitativi enormi risparmiati, fattore che potrebbe scongiurare i principali pericoli per la vite scaturiti dal riscaldamento globale.