Guido Marsella, l’artigiano del Fiano

Non vi fate trarre in inganno dal titolo di questo mio pezzo. Guido Marsella non è un artigiano in senso stretto, dal momento che di tecnologia in cantina ne dispone, diciamo quanto basta. È un artigiano, sicuramente però, nel suo modo di intendere e approcciarsi al vino che possiamo ritenere, senza dubbio, profondamente tradizionale. I macchinari, se così vogliamo chiamarli, si limitano ai classici tini d’acciaio con un pannello per il controllo elettronico delle temperature ed una linea automatica per l’imbottigliamento. Per tutto il resto Guido cura il suo fiano come un padre farebbe con un figlio, con tutte le amorevoli cure del caso. Pochissime, ricercatissime, bottiglie che produce solo dai vigneti di proprietà. Nessuna tentazione di acquistare uve o produrre altre etichette. Ogni anno solo quello che la vendemmia offre sia in termini di quantità che di qualità. Una qualità che, anche in annate considerate minori, non delude mai.

La nuova cantina è ancora in costruzione anche se esteriormente sembra più o meno terminata. Se non c’è volontà di espandere il business dal punto di vista della produzione di vino c’è, invece, l’intenzione di sviluppare un’attività ricettiva di tipo agrituristico. Un ulteriore passo in un percorso voluto e desiderato fortemente, senza forzature di sorta. La storia di Guido Marsella è, in questo senso, alquanto singolare. Insieme ai fratelli gestiva un vero e proprio gruppo di imprese attive nel settore edile. Un lavoro dal quale riusciva a trarre rilevanti soddisfazioni di tipo economico ma decisamente scarse dal punto di vista umano e personale. Quindi la scelta di mollare tutto, ritirarsi in campagna e dedicarsi esclusivamente al vino. Una ricerca di tranquillità coronata fin da subito con un, forse, inaspettato quanto immediato successo.

Dicevo, Guido coccola il suo vino come un figlio. In questa foto un po’ timidamente mostra le stufe che utilizza per riscaldare l’ambiente di cantina dove il suo fiano riposa in moderne vasche d’acciaio. Ritiene infatti che la temperatura all’interno delle vasche non sia mai veramente distribuita in maniera uniforme e che il calore, altrimenti, andrebbe disperso verso l’alto. In questo modo riesce, invece, ad esser sicuro che la temperatura sia più omogenea su tutta la massa. Ha tenuto inoltre a mostrarci alcuni contenitori vuoti, che gli servono solo per effettuare i travasi. Si preoccupava, infatti, che qualcuno potesse pensare, immaginandoli pieni, che la produzione limitata di bottiglie da lui dichiarata non fosse quella reale.

Il primo ad introdurre il suo fiano nella carta del proprio ristorante stellato fu Don Alfonso Iaccarino a Sant’Agata sui due golfi. Quindi seguirono, in breve tempo, gli altri nomi importanti della ristorazione in costiera. Man mano ha sviluppato anche un interessante lavoro all’estero senza, però, mai dimenticare tutti i clienti affezionati, quei ristoratori e quelle enoteche che fin dall’inizio gli avevano dato fiducia. Questo è un altro punto cruciale sul quale Guido è voluto tornare più volte. Oggi il suo fiano è venduto esclusivamente su prenotazione: i clienti storici hanno sempre una sorta di diritto di prelazione ed hanno sempre la precedenza nel caso in cui l’annata non sia particolarmente generosa e il numero di bottiglie sia ridotto.

L’esiguità della produzione è confermata anche dalle pochissime bottiglie (nella foto – roba da non crederci!) che Guido ha tenuto per se stesso. Purtroppo racconta che ogni anno decide di metterne un po’ da parte ma quando gli amici vanno a trovarlo con una scusa o con un’altra riescono sempre a convincerlo a mettere mano ad una delle bottiglie accantonate di riserva. Ha ammesso con un velo di rammarico che lui stesso se volesse degustare una bottiglia delle prime annate dovrebbe rivolgersi a qualche ristoratore-cliente, sempre che ne abbiano ancora. Il suo primo millesimo, il 1997, per la cronaca e per i pochi fortunati che l’hanno di recente assaggiato, risulta ancora perfettamente bevibile e godibile.

Noi ci siamo dovuti accontentare, si fa per dire, dell’ultima annata in commercio: la 2005. Guido è stato tra i primi (se non il primo) a decidere di uscire con il suo fiano mai prima di un anno dalla vendemmia, incontrando non poche difficoltà. La consuetudine della ristorazione napoletana e campana era (è?) quella, infatti, di avere sempre in carta solo i vini dell’ultimissima vendemmia, soprattutto se bianchi. La solita pigrizia di dover spiegare il perchè di una scelta così fondamentale e decisiva: solo col tempo il Fiano d’Avellino è in grado di esprimere tutte le sue potenzialità in termini di complessità e persistenza. Nella foto da sinistra: Vittorio Guerrazzi (presidente dell’Associazione Culturale Terra di Vino), il produttore Guido Marsella e Karina, una giovane appassionata ucraina che ha partecipato, entusiasta, alla visita in cantina.

Quello di Marsella è un fiano molto caratteriale e peculiare. È innanzitutto un fiano in purezza anche se il disciplinare prevede la possibilità di un 15% di greco, coda di volpe e trebbiano toscano. È una vendemmia se non tardiva sicuramente ritardata: da un lato per motivi strettamente climatici e dall’altro per la precisa volontà di ottenere la piena maturazione e la massima concentrazione delle uve. Le rese sono naturalmente basse dal momento che ci pensano fattori contingenti a mantenerle tali. Guido non interviene per contrastare le avversità ed aspetta di raccogliere quello che la vendemmia gli offre.

Non utilizza, per la cura del vigneto, neanche prodotti certificati biologici non essendo pienamente convinto della loro affidabilità. Le vigne hanno dai 15 ai 20 anni d’età. Sorgono su suoli argillosi con presenza diffusa e visibile (soprattutto nel vigneto più vecchio, quello nella foto) di ciottoli e pietre. Trattamenti ridotti al minimo. banditi diserbanti e altri prodotti chimici di sintesi. Quattro ettari per una produzione di poco meno di ventimila bottiglie. Ecco dunque un fiano per certi aspetti spiazzante. Potente, fruttato, floreale, ricco e complesso. Pur portando con sé anche una buona dose di mineralità non è e non lo si può considerare un fiano spiccatamente minerale, sottile o sobrio come riesce in altri terroir e con altri produttori.

La gradazione alcolica è quasi sempre importante e nel 2005 viaggia sopra i 14%. L’opulenza del frutto con i suoi accenni dichiaratamente esotici, i fiori gialli ed il sentore tipico della nocciola irpina (una nocciola tostata a tal punto che molti quando lo bevono pensano subito al legno…) disegnano un quadro che di anno in anno si offre diverso pur nella continuità dello stile del produttore. Come se indossasse una sorta di veste cangiante in grado di esaltare di volta in volta nuove sfumature e sfaccettature. Lo stesso Marsella, ad esempio, è rimasto spiazzato dall’evoluzione di questo 2005 difficilmente paragonabile ad alcuna delle sue versioni precedenti. Un’interpretazione originale da un terroir, quello di Summonte, di cui il suo è praticamente l’unica espressione in purezza. Gli altri pochi vigneti della zona vengono, infatti, solitamente assemblati con uve provenienti da altre sottozone.

Il Fiano di Marsella nonostante la sua riconosciuta bontà (critici indipendenti ed appassionati sembrano concordi) non è mai stato celebrato, inspiegabilmente, da nessuna delle guide più importanti di settore. È vero non è un vino dalla reperibilità facilissima ma non mi pare che le guide facciano sempre molto caso a questo particolare. Anzi di questo argomento ne abusano con discrezionalità ed una certa frequenza. E penso che ciò sia un’ennesima riprova, tangibile, di quanto esse siano poco affidabili.