Trippa piccante all’ungherese e Lambrusco Grasparossa di Castelvetro
Ingredienti per 4 persone:
- 1,3 kg di trippa mista di bue tagliata a listerelle
- 250 g di cipolle dorate
- 2 spicchi d’aglio
- 120 g di strutto
- 2 litri di brodo di carne
- 2 cucchiai di paprica dolce in polvere
- 2 cucchiai di paprica piccante in polvere
- cumino a piacere
- 60 g di concentrato di pomodoro
- 3 peperoni rossi a cornetto dolci
- le foglie di due gambi di sedano tritate a coltello
- un ciuffo di prezzemolo tritato a coltello
- 2 carote
- 3 patate medie
- sale fino quanto basta.
Per cuocere la trippa sarebbe meglio adoperare una casseruola larga a bordi alti tipo Wok cinese, per riuscire a cuocerla a lungo con un minimo di fiamma senza favorirne l’incollaggio sul fondo e la conseguente bruciatura, perfino rimescolandola poche volte. Portate pazienza anche se ci vogliono 3 ore (oltre a quelle di sbiancatura prima della vendita). Sarà squisita. Per i peperoni, che in Ungheria usano di diversi tipi, a volte anche verdi purché dolci, sarebbe preferibile usare quelli a cornetto, come i peperoni di Pontecorvo DOP, di forma allungata, perché hanno la buccia molto sottile e sono più digeribili, hanno un colore rosso e a volte con qualche piccola striatura verde, ma vanno bene anche il Friggitello campano e il Cornelio siciliano.
Affettate grossolanamente le cipolle e rosolatele in casseruola con l’aglio nello strutto. Quando la cipolla sarà imbiondita, buttate l’aglio, abbassate la fiamma e mescolatevi rapidamente la trippa a listerelle. Mentre la trippa rosola, sciogliete la paprica e il peperoncino in polvere con un po’ di cumino a piacere in una tazza di brodo di carne, quindi versatelo nella stessa casseruola della trippa e lasciate cuocere una decina minuti, mescolando bene per insaporire. Scioglietevi il concentrato di pomodoro e coprite appena la trippa in cottura con altro brodo di carne. Mettete il coperchio e continuate a cuocere a fiamma bassa per un paio d’ore, rimescolando ogni tanto.
Intanto lavate le verdure, affettate le carote e tritate le foglie di sedano e prezzemolo, quindi mettetele mano a mano nella casseruola e lasciatele cuocere ancora per un’altra oretta, aggiungendo ogni tanto ancora un po’ di brodo e rimescolando fino a quando la trippa si è ammorbidita per bene e il sugo si è concentrato abbastanza senza però attaccarsi al fondo. Verso la fine, regolate il sale e, nel caso, aggiungetene un po’.
Durante quest’ultima ora di cottura, lavate, pelate, tagliate a pezzetti le patate e lessatele in una pentola di acqua salata con un filo di olio di semi di mais per 15/20 minuti circa (a seconda della grandezza dei pezzetti), quindi scolatele quando potete servire la trippa calda e fumante in fondina con le patate lesse a contorno (d’inverno meglio in un coccio di terracotta per mantenerla sempre calda).
Il vino ”Vigneto Cialdini” Lambrusco Grasparossa di Castelvetro 2017
La prima volta in cui mi sono voluttuosamente goduto questa succulenta trippa è stata nel 2003, ai piedi della tenuta Disznókő di Mezőzombor presso Tokaj, dov’era stata sapientemente ristrutturata dai nuovi proprietari francesi l’antica villa padronale, Sárga Borház, che vi suggerisco volentieri, perché vale davvero la pena di fermarsi sotto un bersò fra gli olmi di questa bella maison jaune du vin in stile neoclassico costruita alla fine del XVIII secolo dal primo ministro ungherese di allora, Menyhért Lónyay. Oggi è uno dei ristoranti più celebri di tutta la regione per la sua cucina di ottimo livello, ma a prezzi popolari (un binomio più unico che raro), magari anche al suono di una fisarmonica lontana con le ragazze in pizzo bianco a rapire pian piano gli occhi nel giardino, come nelle immagini della belle époque che fanno capolino nella memoria.
Eravamo in Ungheria, perciò non avevamo di meglio di un Egri Bikavér come abbinamento, ma a ogni boccone mi veniva una voglia matta di potermela cucinare poi a casa e abbinarla a un vino ideale ”nostrano”, in particolare proprio quel favoloso Lambrusco frizzante che mi era stato appena presentato dall’olandese ”volante” Rico Grootveldt, export manager della Chiarli incontrato in Polonia con l’amico Franco Mario Algieri.
Questo vino proviene da una singola vigna di grasparossa, il vigneto Enrico Cialdini di 12,5 ettari, in una tenuta di oltre 50 ettari vitati situata a poco meno di cento metri di altitudine su un terreno ondulato nella zona precollinare a sud-est di Castelvetro. Il substrato dei suoli è costituito da antichi depositi del torrente Guerro con la presenza di letti di ghiaia a tessitura grossolana, mentre lo strato superficiale ha una grana franco-limosa di colore bruno tendente in alcuni casi al rosso, con una reazione neutra o debolmente basica.
Tutte le vigne attuali sono il frutto di un programma a lungo termine di riorganizzazione e reimpianto iniziato quarant’anni fa per individuare i terreni più vocati e il metodo di allevamento più adatto alle barbatelle da mettere a dimora e che sono state ottenute soprattutto dalla selezione massale di vecchi vigneti di cui si conoscevamo e si apprezzavamo le caratteristiche che influivano sulle doti organolettiche.
Lo spazio tra i filari è quasi totalmente inerbito tranne per 4 metri e se ne lavorano con sarchiatori o zappatrici soltanto circa 50 centimetri a destra e a sinistra delle piante per migliorare la portanza, la porosità e la struttura del suolo. A partire dal mese di giugno si fanno un paio di potature verdi (spollonatura, scacchiatura, sfemminellatura, sfogliatura, cimatura e diradamento grappoli) per facilitare anche il successo dell’azione dei presidi fitosanitari di difesa che ormai viene effettuata già da molti anni seguendo i protocolli della lotta integrata.
Le vigne sono tutte predisposte per la vendemmia meccanica secondo il modello Gdc (Geneva double curtain). La scelta della raccolta meccanizzata dell’uva è necessaria vista l’estensione del vigneto che, in questo modo, può essere vendemmiato in un periodo tra i 20 e i 25 giorni. Soltanto alcune partite di uva sono raccolte a mano da una squadra di una quindicina di vendemmiatori per ottenere un prodotto particolarmente selezionato. Anche se la resa d’uva per ettaro consentita dai disciplinari delle denominazioni è di 180 quintali, le rese d‘uva della Cleto Chiarli Tenute Agricole si attestano mediamente sui 140-150 quintali per il Lambrusco Grasparossa e raggiungono a fatica i 120 per il Lambrusco di Sorbara.
Pigiatura tradizionale con macerazione di 36 ore a temperatura controllata tra i 10 e i 12 °C, cui segue la svinatura del mosto e la refrigerazione per una singola fermentazione con presa di spuma in autoclave (cuve close) a una temperatura di 13-14 °C per un tempo da 60 a 90 giorni. Una singola fermentazione consente di ottenere vini frizzanti molto fruttati e perfettamente integri.
Di colore rubino porporino con riflessi violacei, molto intenso, non aggredisce con l’acidità, ma è ha un carattere più fine. Sprigiona aromi di mora di rovo, ribes nero, mirtillo e visciola sfumati da note di pepe e di selce. Secco, ma carnoso come le nocciole tostate, in bocca si avverte subito un’effervescenza segnata da un tannino scalpitante nel primo anno in bottiglia e più cremoso in seguito. Un vino di buona trama che sviluppa immediatamente il fruttato vivo che cede il finale a note di radice di liquerizia sfumate da un soffio di erbe officinali. Va servito a 14 °C nelle stagioni più calde, massimo 16 °C in inverno. Il tenore alcolico è da Lambrusco ”maschio”: 11%. Spassionatamente, una bottiglia non basterà, perciò regolatevi. Per fortuna ci sono anche le magnum…
Mario Crosta
Cleto Chiarli tenute agricole
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