#ManzoniBianco1 – In viaggio col Manzoni
Pioveva forte sulla strada per Asolo. Poi, d’improvviso niente, e sotto le nuvole grigie come ragnatele vecchie, si intravedevano appena le montagne. Sotto, ai loro piedi: la gobba sinuosa del Montello, a destra; i colli appuntiti di Asolo a sinistra. In mezzo, la valle di Biadene, che sale verso il Piave, e io ero là, in mezzo a quella terra rossa che ha portato il fiume alcuni anni fa (giusto 5-6 milioni).
In quel sabato di inizio febbraio la meta era la Cantina Cirotto, appena fuori Asolo. Il Manzoni bianco, il motivo: quel gran capolavoro del professor Manzoni. I Cirotto avevano già organizzato l’ottobre scorso un incontro attorno al vitigno bianco (una verticale del loro prodotto), ma stavolta Barbara e Francesco si erano dati ancora più da fare, e avevano coinvolto anche altri produttori, organizzando un confronto davvero interessante.
Ci nascondiamo presto sotto la cantina, fuggendo il freddo e l’umidità. Ci si conosce, e intanto si inizia a mangiare qualcosa, giusto per aspettare qualche ritardatario e per scaldarsi un poco.
La loro storia si è sviluppata nella seconda metà del ‘900, con Leandro che fonda ad Asolo la cantina nel ’49. Proseguirà poi Giovanni che trasmetterà la passione e la gestione dell’azienda a Barbara, Gilberto e Monica, a cui si unirà Francesco, suo marito e creatore dei vini in cantina.
Vitigni autoctoni, vini territoriali e semplicità sono i tratti distintivi di questa famiglia, ancor prima che dell’azienda. Una decina di ettari, e i vini simbolo della zona: il rosso del Montello, l’Asolo, e – speriamo lo diventi – il Manzoni bianco. Siamo infatti in uno dei territori fortemente vocati alla produzione di Prosecco, quindi come non cominciare con uno degli spumanti più di successo in questi anni?
Quattro i Prosecco in gioco: →Cirotto e →Vettori, extra-dry e brut. Confronti interessanti, per cominciare a confrontare suoli, microclimi e stili differenti. Quattro interessanti vini, fra i quali ho apprezzato molto la fine florealità che porta in dote Asolo, e in particolare la bevibilità della versione più secca.
La giornata ora può cominciare, con una presentazione doverosa del lavoro portato avanti dal prof. Manzoni negli anni ’30, ripercorsa grazie ad una presentazione precisa e ricca, opera di Barbara.
Come ho già raccontato su queste pagine, un anno fa, fu infatti il professore, specializzato in fisiologia vegetale, a condurre una grande serie di incroci, al fine di riqualificare la base ampelografica soprattutto del Veneto nord-orientale, colpita, a partire dal ‘700 con la gelata storica che compromise molti vigneti, da un lento declino, come se la storia della viticoltura fosse intimamente legata a quella della Serenissima Repubblica che quei territori governava. Quasi due secoli per lavorare alla ripresa, ma fillossera oidio e peronospora arrivarono, accompagnati dalla Guerra che distrusse quei territori ai lati del Piave. Il professore – più avanti preside all’Istituto Cerletti – credeva tuttavia nella bontà delle varietà rimaste nei vigneti di quei territori, e fu così che condusse molti dei suoi incroci proprio unendo varietà locali ad altre internazionali.
Non fu però il caso del Manzoni bianco, dove usò pinot bianco e riesling renano, l’uno “padre”, l’altro “madre”. Ne uscirono 28 figli (la serie 0) ma solo quello sul sesto filare, alla tredicesima vite risultò qualitativamente superiore. Fu così che nacque l’I. M. 6.0.13.
Iscritto a catalogo nel ’78 (qualcuno tra i Cirotto vi leggerà una coincidenza?), è un vitigno dal portamento elegante, assurgente ed eretto, con una foglia subito riconoscibile, medio-piccola e pentalobata, con un grappolo piccolo e compatto, che conduce a rese per ettaro modeste. Forse è questo, nonostante l’elevata qualità dei mosti, ad aver frenato l’ascesa di un vitigno così pregiato – poche centinaia di ettari in tutt’Italia. In molti ci credono, però, e così è facile ritrovarsi e riconoscersi attorno al Manzoni.
I Cirotto infatti hanno coinvolto anche un collega “oltrepiave”: Vettori, di Conegliano, e uno “oltreadige”, Fanti, di Pressano. Tre territori, tre produttori, un vitigno: quanti vini? Diversi…
Vettori 2011
Bel colore, brillante con riflessi verdi. All’impatto mostra subito note di idrocarburi e spezie, facendo lentamente comparire sentori fruttati, esotici, di ananas. In bocca è consistente, “carnoso”, ma mantiene una sua leggerezza. Buona l’acidità e la sapidità che rimangono.
Argille e depositi alluvionali su substrati marnosi del Terziario in quel di Conegliano. I vigneti sono a circa 180 m di altezza, su colline con pendenza moderata. Alcune bottiglie soffrono per tappi non perfetti.
Cirotto 2011
Colore ancora luminoso, appena velato. Esibisce subito un po’ dell’eredità della “madre”, con note speziate e idrocarburiche, ma che lasciano maggiore spazio alla frutta matura e al miele, rivelando una grande profondità. Al gusto morbido e pieno, grande ricchezza, equilibrato da una buona acidità che si fa notare. I profumi evolvono verso tonalità floreali e fruttate intense.
I terreni del “Montello e Colli asolani” sono molto diversi rispetto fra loro: ai piedi di Montebelluna e del Montello, gli antichi depositi del Piave chiamati ferretti. I colli asolani, invece, sono di natura più marnosa, alternati a conglomerati e calcari. Nello specifico dei Cirotto, i vigneti sono a 300 m, ricchi di ghiaia e arenaria. La lieve velatura è legata alla scelta di non chiarificare, per evitare impoverimenti del vino.
Vignaiolo Fanti 2011
Brillante giallo dai riflessi un po’ più carichi dei precedenti. Pompelmo, erbe aromatiche, salvia, “minerale”: molto espressivo e deciso nei profumi. In bocca è dinamico, dove morbidezza e freschezza – una nota quasi pungente – si integrano, e la sapidità dà consistenza al finale, con un ricordo di carne. I sapori carichi si specchiano nei profumi di una spezia molto fine, e di glicine.
Quella sopra Trento è un’area molto ricca in vulcaniti (terziarie e paleozoiche soprattutto), e anche i vigneti a Pressano sono ricchi in tufo e marna, intorno ai 300 m.
Fanti Isidor 2008
Bel giallo luminoso. Erbaceo, via via più profondo verso toni balsamici e minerali, idrocarburi. E ancora burro e zafferano. In bocca è cremoso, sapido, pungente. Dinamico. Ha grande struttura, e una lunga persistenza. Svela col tempo un ricordo floreale primaverile, quasi di gelsomino. Molto più in alto, a 600 m, questo vigneto sempre sulla riva sinistra. Terreni porfirici, e solo guyot.
Cirotto Sogno 2011
Bollicine fini e intense. Appena messo sotto al naso è un fiume di profumi: caramella, carruba, frutta secca, con sentori “minerali” che riescono ad emergere in mezzo a tanta ricchezza. In bocca è “affilato”, molto deciso nelle componenti acide. E nel finale si ritrovano sentori di salvia, fragola, pesca. Una delle grandi vocazioni del Manzoni, il metodo classico. Il Sogno non è ancora in commercio: la sboccatura à la volée è stata fatta giusto per i presenti, ma le altre rimarranno là, silenziose, ancora diversi mesi. Sotto terra, ovviamente. Ovvero da dove il Manzoni, sempre, riesce ad esprimere tutta la sua bellezza, in omaggio a chi credette in lui ottant’anni fa, e soprattutto a chi ci crede oggi. Un grazie ai Cirotto e ai vignaioli che si sono messi in gioco, e a presto davanti a un buon Manzoni.
Andrea Fasolo