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Storie di cantine, uomini e luoghi

Villa Parens, la nuova primavera della famiglia Puiatti

Avere delle idee, attuarle con sacrificio, vedendo realizzati i propri sogni, è quanto di più bello si potrebbe desiderare. Ma quando sei riuscito a costruire qualcosa di tuo, un qualcosa d’importante che profuma di storia famigliare, e poi, per svariati motivi, ti ritrovi a un certo punto a non esserne più il protagonista, allora i tuoi pensieri potrebbero essere assaliti da dubbi e incertezze, iniziando a chiederti se le decisioni che avevi preso a suo tempo erano quelle giuste o magari, potendo tornare indietro, avresti fatto un altro percorso.
Ma la vita degli uomini che vogliono essere protagonisti del proprio destino, e non subirne solo gli effetti, è fatta di presente e soprattutto di futuro. Il passato e materia dei libri di storia, da ricordare per trarne insegnamento, ma la vita va vissuta senza girarsi troppe volte indietro.
Questa mia premessa ci vuole portare alla conoscenza di un’importante famiglia di viticoltori friulani che, chiusa un’importante storia aziendale, ha deciso di iniziare una nuova sfida, spinta dalla passione e da una tradizione vitivinicola che ci riporta indietro nel tempo, agli inizi del risorgimento della viticoltura di questa regione.

Vigneti di Villa Parens - Friuli V.G.

Dire Puiatti, ci riporta subito alla mente l’importante figura di Vittorio, classe 1927, uno di quei grandi pionieri del territorio come lo sono stati i Felluga, Schiopetto, Jermann che, con le loro idee e il loro lavoro, hanno creato le basi per i futuri successi del territorio.
Vittorio Puiatti inizia a lavorare negli anni ’50 come enotecnico preso la Tenuta di Villanova ed è lì che impara le prime importanti nozioni sulla spumantizzazione, che saranno la base per una passione che trasferirà anche nella futura azienda di proprietà.
Una decina di anni dopo va a lavorare presso la cantina sociale di Codroipo e dopo il matrimonio con Leopoldina, decide di fare una nuova esperienza andando a ricoprire il ruolo di direttore, in zona Chianti, presso il ramo vino dell’azienda Bertolli, famosa soprattutto per la produzione di olio. Qui entra in contatto con l’affascinante mondo del Sangiovese e inizia ad acquisire importanti conoscenze sui vini del Chianti e le differenze che il vitigno è in grado di esprimere in tutte le sue zone, affinando anche importanti doti di commerciante, poiché svolge anche il ruolo di acquisitore di uve, da aziende della Puglia e delle Marche.
Da buon friulano però, sente il richiamo della sua terra e decide di fare ritorno a casa alla fine degli anni ’60.
Punta decisamente sulla zona del Collio che al tempo non aveva ancora una sua definita identità, ma di cui percepisce le enormi potenzialità.
Nel 1967 Vittorio fonda una sua azienda che inizialmente si chiamerà Enofriulia. Agli inizi dell’attività non ha vigneti di proprietà ma compra le uve da conferitori delle migliori zone del Collio, monitorando personalmente le varie fasi in vigna e vinificando le uve nella funzionale cantina di Capriva del Friuli. Con i primi introiti, iniziano anche i primi acquisti di vigneti che, anno dopo anno aumenteranno in quantità fino ad arrivare a contare quasi 60 ettari di proprietà.

Il cartello di Villa Parens

Vittorio ci lascerà purtroppo nel 2001, ma l’azienda, oramai, ha basi ben consolidate. La seconda generazione, formata dai figli Giovanni ed Elisabetta, in linea con la storia della famiglia, prosegue il percorso tracciato dal padre, mettendoci la propria freschezza e le proprie idee.
Nel 2003 iniziano i lavori della nuova cantina a Romans d’Isonzo, ubicata in prossimità dei vigneti di proprietà. E’ una struttura pensata per essere più funzionale, moderna, e permettere di aumentare la produzione. L’inaugurazione, avvenuta nel 2008, ci regalerà una bellissima struttura, ma per sostenere i costi di comunicazione e commercializzazione, necessari per affrontare i mercati esteri in modo adeguato, servirebbero produzioni ancora maggiori o magari affidarsi a qualche importante partner con cui realizzare un’intesa commerciale.
Quando si avvicina l’importante gruppo farmaceutico della Tenimenti Angelini con un’allettante offerta per l’acquisizione dell’azienda, i dubbi sono tanti. Vengono però valutati anche i benefici che un gruppo con un’organizzazione così importante avrebbe portato, permettendo di puntare senza patemi ai mercati esteri e consolidare così l’azienda.
Nel 2010 l’azienda Puiatti passa sotto la proprietà del gruppo Tenimenti Angelini e l’accordo che ne consegue porta Giovanni a diventare direttore responsabile. Viene pattuito che si continuerà a lavorare nel pieno rispetto della filosofia produttiva della famiglia, senza stravolgere una storia e un marchio oramai vincente.
A un iniziale rapporto in piena sintonia, seguiranno dei contrasti, causati soprattutto da un’inversione di rotta che la proprietà decide di compiere, puntando tutto sul business ad ogni costo, senza curarsi di quello che era stato il percorso intrapreso fino a quel punto dalla famiglia Puiatti che invece vedeva il vino con occhi più filosofici e romantici, simbolo di cultura di un territorio.

L'entrata

Il divorzio è inevitabile e sancisce l’uscita di scena dei Puiatti da un’azienda che, continuerà comunque a commercializzare il vino con il nome della famiglia. Resta il marchio, restano le etichette prodotte, ma una cosa è certa: si è persa l’anima e la storia di chi aveva fondato l’azienda.
Giovanni ed Elisabetta si mantengono però per poco tempo ai margini del mondo del vino. Troppa è la loro passione e il desiderio di continuare a tenere alto il nome del padre e della famiglia.
Possiedono ancora dieci ettari di vigneto di proprietà a Ruttars, in zona Collio. Decidono allora di recuperare e restaurare l’antica villa a Farra d’Isonzo, residenza comprata nel ’44 dal nonno materno, Ivan Petric e diventata, in seguito, la cantina dove il padre iniziò le prime spumantizzazioni nel 1978. Dal progetto di restyling è stata ottenuta una struttura efficiente, rimodernata con gusto, con una cantina funzionale, con attrezzature all’avanguardia che permettono alle uve che arrivano dalle vigne di seguire tutto il loro percorso di trasformazione, fino all’imbottigliamento che avviene sempre in loco.
Non manca una sala di ricevimento, dove i clienti possono degustare i vini in un’atmosfera di musica e colori emozionante e con annessa una cucina a disposizione per eventi e serate a tema.

La sala d'accoglienza

Villa Parens è il nome che accompagna la nuova avventura di Giovanni ed Elisabetta. Ma di nuovo c’è solo il nome perché la filosofia è sempre la stessa. Massimo rispetto per la natura, con l’obiettivo di ottenere in vigna uve di primissima qualità. In cantina pochi interventi mirati e vinificazione fatta esclusivamente in acciaio. Il legno è messo al bando, seguendo le convinzioni che da sempre la famiglia Puiatti si porta dentro di sé. L’obiettivo è quello di produrre vini eleganti, dove l’acidità e la freschezza devono essere le colonne portanti e dove i profumi varietali siano quelli predominanti.
Si è scelto quindi di evitare la macerazione sulle bucce, il riposo sui lieviti, la fermentazione malolattica, residui zuccherini e se possibile il superamento dei 12,5 gradi di alcol. La prima vendemmia della nuova azienda è targata 2013 e dai 10 ettari vitati si prevedono, a pieno regime, di produrre circa 60mila bottiglie.
Una parte importante della produzione è riservata allo spumante metodo classico, da sempre fiore all’occhiello della famiglia Puiatti. Vengono prodotti tre spumanti, un Blanc de Blancs Extra Brut di Ribolla Gialla e Chardonnay; un Blanc de Noirs, dosage zero millesimato di Pinot Nero in purezza; un Rosè de Noirs Dosage Zero di Pinot Nero vinificato in rosa. Tutti restano un minimo di 24 mesi in bottiglia prima di essere sboccati.
I vini fermi si dividono fra le tre linee prodotte. Il vino di partenza è il Maison Prindis, una cuvèe di Ribolla Gialla e Chardonnay, con un tocco aromatico di Sauvignon. E’ il tipico vino di benvenuto, quello da cui cominciare, per ogni occasione e per brindare, dal momento che “prindis” in friulano significa brindisi.
La gamma Ruttars vede nelle sue fila l’autoctona Ribolla Gialla che si esprime alla grande su quelle colline, il Sauvignon che fa parte della storia aziendale e che con il suo stile e la sua mineralità mira a non far rimpiangere certi Sauvignon di Sancerre prodotti nella Loira, e per finire il Pinot Nero, autentico pallino aziendale che resta in macerazione sulle bocce solo quattro giorni e dopo il passaggio in acciaio regala un vino elegante, versione sicuramente riuscita di questa tipologia così difficile da vinificare con risultati eccellenti. A finire la gamma “Collezione”, una linea con vini da invecchiamento che possono essere bevuti da giovani ma che regalano le migliori emozioni dopo quattro – cinque anni. Lo “Chardonnay Elijo” e il “Pinot Nero Ivangelo”, nella nomenclatura, racchiudono oltre che la tradizione anche i nomi della famiglia.
L’avventura è appena agli albori, i vini stanno iniziando ad affrontare i mercati e c’è grande attesa per sapere quale sarà il riscontro da parte degli appassionati. E’ cambiato il nome dell’azienda ma le persone e le idee sono sempre quelle che hanno permesso di ottenere ai Puiatti grandi risultati nel passato. Se son rose, fioriranno, ma quello che è certo è che per Giovanni ed Elisabetta è iniziata una nuova primavera.

Pupitre

DIALOGANDO CON IL VIGNAIOLO
Intervista a Giovanni Puiatti con l’intervento di Elisabetta Puiatti

La storia vitivinicola della vostra famiglia risale al 1967, anno in cui vostro padre Vittorio fondò l’azienda Puiatti. A distanza di più di quaranta anni, quali sono le emozioni e le speranze che vi portate dentro, all’inizio di questa nuova avventura?
La storia vitivinicola dell’azienda Puiatti ha radici lontane, ed è stato tutto merito di nostro padre Vittorio, un vero pioniere e grande innovatore per quanto riguarda gli aspetti tecnologici che hanno permesso di produrre prodotti di qualità. E’ stato il primo a considerare il vino non solo come semplice bevanda, ma come un prodotto nobile, artistico, capace di donare emozioni, confrontandosi in un territorio sempre un po’ chiuso come lo è il Friuli.
L’emozione nell’iniziare questa nuova avventura è tanta. Puntiamo a continuare un percorso che è sempre stato nel dna della famiglia Puiatti. La natura ama le cose semplici e quindi la nostra priorità è di lavorare intervenendo il meno possibile in vigna e in cantina. La natura, nel suo concetto di perfezione, alle volte può non esserti amica e allora bisogna accettare quello che ti porta in dono, anche se in certe annate avresti sperato in qualcosa di meglio.
Quando si produce vino, con lo scopo di commercializzarlo, si possono seguire due strade: fare un prodotto che soddisfi il mercato oppure seguire la propria filosofia, le proprie idee, la propria storia. La nostra azienda punta decisamente alla seconda delle strade perseguibili. Puntiamo a produrre vini eleganti, dotati di classe e finezza, con una bella acidità e un basso tenore alcolico. I profumi devono rispettare la varietà che si coltiva e in cantina non usiamo il legno, continuando un percorso iniziato da nostro padre che per primo ha iniziato a usare esclusivamente l’acciaio, in tempi in cui si usavano solo le botti di rovere, riscoprendo profumi e aromi varietali allora quasi sconosciuti e dimenticati.

Giovanni ed Elisabetta Puiatti

Com’è nata l’idea di dare alla vostra nuova azienda la denominazione di “Villa Parens” e soprattutto come pensate che, a livello commerciale, questo nome possa creare un filo conduttore con i clienti e gli appassionati che hanno a memoria l’antico marchio di famiglia?
Il termine “Parens” deriva dal latino ed è stato scelto perché volevamo in questo modo ricordare i nostri avi, i nostri genitori, chi ha rappresentato le origini della storia della famiglia Puiatti. Ovviamente se questo nome possa o no creare un filo conduttore con il vecchio marchio, è un dubbio e un quesito che inizialmente ci siamo posti. Però il nome Puiatti non si può scrivere sull’etichetta, ma resta sempre legato alla famiglia e alla sua storia per tutto il resto.
Per quanto riguarda la riconoscibilità del nostro nuovo marchio, per i mercati limitrofi non ci saranno sicuramente problemi, magari qualche sforzo in più dovrà essere fatto con i mercati che sono più distanti. Ma chi mi ha conosciuto sia come persona sia come uomo, penso che non avrà difficoltà a riavvicinarsi ai nostri vini. Trent’anni di lavoro hanno conservato rapporti e contatti importanti, che un po’ di passa parola e promozione aiuteranno a riallacciare.

Il Sauvignon Ruttars e il Prindis Maison

Marzo 2010. Il gruppo farmaceutico Tenimenti Angelini acquisisce l’azienda Puiatti. A beneficio di chi non conosce la vostra storia, puoi raccontare qualcosa a tal riguardo e soprattutto quali sono oggi, le sensazioni e lo stato d’animo nel veder il proprio marchio famigliare gestito da altri?
L’operazione che abbiamo intrapreso con il gruppo Tenimenti Angelini rientrava in una visione del mercato molto più globale. Con le nostre sole forze non eravamo in grado di sfidare un sistema globalizzato che per essere affrontato necessitava di maggiori numeri e forza commerciale. Nei maggiori ristoranti di tutto il mondo, con centinaia di prestigiose etichette nelle liste, i vini italiani rappresentavano una percentuale minoritaria rispetto agli altri paesi esportatori di vino. La decisione di costruire la nuova cantina mirava a darci i mezzi per affrontare questi mercati globali. Le circa 750mila bottiglie che producevamo, non bastavano però a sostenere i costi di comunicazione e vendita, bisogna superare abbondantemente il milione di bottiglie per iniziare a far quadrare i conti.
Ed è in questa situazione che il gruppo Tenimenti Angelini si avvicina alla nostra famiglia. Il gruppo aveva già delle aziende in Toscana e nelle Marche ma aveva deciso di crescere e ampliare i suoi mercati di vendita. Un marchio affermato come quello di Puiatti, le mie conoscenze e i miei contatti nel mercato USA, rappresentavano una succulenta opportunità. Ecco che arriva l’offerta: acquisire l’azienda, lasciando me alla direzione, con le redini del comando. Non avendo figli né io né mia sorella Elisabetta e pensando che l’avere alle spalle un gruppo importante e potente, commercialmente parlano, poteva rafforzare il marchio Puiatti e garantirci un futuro sereno, decisi di accettare.
Dopo un inizio senza grossi problemi, iniziarono i primi contrasti. Prima a livello commerciale e poi nel modo di concepire il vino, visto solo come puro business, con prodotti che si allontanavano dalla nostra filosofia e dalla nostra storia e che non prestavano grande attenzione all’aspetto romantico e culturale che circonda questo mondo.
Vedere oggi il nostro marchio in mano ad altri non ci crea problemi. Abbiamo metabolizzato la cosa. L’inizio di questa nuova avventura ci permette di ripresentare la nostra filosofia con dei prodotti che sono una continuazione di un percorso solo brevemente interrotto. Giacché la proprietà che ora dirige la “Puiatti” ha intrapreso un percorso diverso, non corriamo nemmeno il rischio di trovarci in competizione con dei prodotti simili ai nostri.

Giovanni ed Elisabetta in cantina

In tempi remoti, la vostra famiglia ha iniziato a usare solo acciaio inox 100%, sia durante la fermentazione sia per l’invecchiamento dei vini. Un metodo attualmente praticato da molti ma che fino alla metà degli anni ’80 era considerato rivoluzionario e anche decisamente fuori moda. Siete ancora fermamente convinti che la strada che evita l’uso di qualsiasi legno sia quella giusta per produrre i vostri vini? Convintissimi. L’uva non nasce con il sapore del legno. Puntiamo a produrre vini eleganti, dotati di classe e finezza, con una bella acidità e un basso tenore alcolico. I profumi devono rispettare la varietà che si coltiva, e in cantina non usiamo il legno, continuando un percorso iniziato da nostro padre che, in tempi in cui si usavano prevalentemente le botti di legno, per primo ha utilizzato solo l’acciaio, portando cosi all’attenzione profumi e aromi varietali allora quasi sconosciuti. Il legno porta ossigeno, e questo toglie eleganza e finezza al vino. Per un periodo abbiamo utilizzato persino dei tappi di vetro per parte della produzione, perché anche il tappo influenza e modifica il vino.
Lo stesso discorso lo si può fare per il cibo, se si parla ad esempio di affumicatura. I fumi sono sempre serviti per permettere la conservazione dei cibi. Oggi si cerca di dare un tocco diverso ma gli alimenti non nascono in natura con il sapore dell’affumicato. A me piacciono i profumi e i sapori originali, quelli naturali.

Le casse con i vini

Gli spumanti, in particolar modo il Prosecco, stanno raccogliendo tanto successo in Italia e all’estero. Ora si parla di fenomeno e di moda, ma la vostra storia produttiva è stata da sempre legata alle bollicine, spumantizzate rigorosamente con il metodo classico. Continuerete a puntare molto sugli spumanti e pensate che questo boom delle bollicine sia un fenomeno passeggero, destinato con il tempo ad affievolirsi, o che le fette di mercato acquisite potranno diventare stabili e consolidate?
L’augurio più sincero è che le fette di mercato che sono state acquisite dagli spumanti siano consolidate e se possibile migliorate. Anche al Prosecco auguro un futuro roseo e grandi successi. Ma c’è una grande differenza fra gli spumanti prodotti con il metodo Charmat e quelli prodotti con il Metodo Classico. I primi sono più semplici, ripetibili perché relativamente più facili da produrre.
Il Metodo Classico è invece la massima espressione della tecnica di cantina. Bisogna essere bravi a produrre un vino base, con determinate caratteristiche qualitative, e poi conoscere bene le leggi e le risposte della fermentazione al momento in cui si vanno ad aggiungere i lieviti e gli zuccheri in bottiglia. Arrivati a questo punto il dado e tratto e non si può più intervenire in un processo che rappresenta l’esaltazione delle qualità di un vino ma anche dei suoi eventuali difetti.
Ma i risultati che si possono ottenere possono essere esaltanti, e regalarci dei grandissimi vini, che devono però già nascere con questi presupposti, utilizzando grandi uve come il Pinot Nero e lo Chardonnay, che nelle varie fasi della spumantizzazione sono capaci di evolversi e acquisire complessità.

La gamma dei vini

Quanto è cambiato il mondo del vino, dai lontani anni ’70, periodo di nascita dell’azienda Puiatti, ai giorni nostri? Su cosa bisogna puntare principalmente, per restare oggi competitivi in un mercato che è diventato sempre di più globale?
Ovviamente il mondo del vino è cambiato moltissimo. C’è maggiore competizione innanzi tutto. A livello mondiale si sono affacciate nuove realtà, paesi, dove prima si produceva poco vino, che adesso cominciano ad avere numeri importanti. Il caso della Cina ne è un esempio, poiché sta per diventare il maggior produttore al mondo di vino. A livello locale invece, molti produttori che prima vendevano solo le uve, hanno iniziato a imbottigliare e commercializzare i propri vini.
Una differenza importante è il ruolo che la bevanda di Bacco riveste oggi nella società. Prima era solo una bevanda mentre adesso è un prodotto che rappresenta la cultura di un territorio. C’è più attenzione, interesse, curiosità da parte del consumatore. Il ruolo delle guide per un certo periodo è stato importantissimo, a Slow Food, ad esempio, va dato il merito di aver creato un movimento del cibo e del vino. Ma il produttore non deve andare alla ricerca del premio e poi adagiarsi. Deve migliorare, crescere. Sempre. Non bisogna seguire solo premi e fatturato (anche se importanti), ma crescere, seguendo la propria filosofia, cercando di distinguersi dalla massa.

Elisabetta e Giovanni

Elisabetta e Giovanni, non solo un fraterno legame di sangue, ma anche un binomio sul quale si poggiano le fortune presenti e future della nuova azienda. Quali sono i vostri ruoli e com’è il vostro rapporto in ambito lavorativo, sempre conciliante o avete qualche veduta diversa sugli obiettivi da raggiungere e il modo in cui operare per ottenerli?
Lavoriamo bene assieme, seguendo lo stesso obiettivo, facendo nostre la passione e le idee che ci ha tramandato nostro padre. Un rapporto in sintonia dove ognuno ha i suoi ruoli definiti. Elisabetta segue la parte amministrativa e la comunicazione, mentre io, da bravo enotecnico, seguo i vini, dalla vigna in cantina, e la parte commerciale. Io ho cercato di seguire le parole di mio padre che mi ha insegnato a cercare sempre di dare un’identità ai nostri vini senza scendere a compromessi.

C’è un vino della vostra produzione che ami in maniere particolare e al quale sei particolarmente affezionato?
La nostra storia è da sempre legata al Sauvignon, vino che amo. Non mi piace il modo con cui viene prodotto nel nuovo mondo, il mio è uno stile più vicino a quei Sauvignon che si producono a Sancerre, vini eleganti, con una buona acidità e profumi che ricordano frutta più nordica. Mi piace molto anche il Pinot Bianco, un vino dotato di grandissima eleganza ma scarso dal punto di vista commerciale. Non posso dimenticare il Pinot Nero in quanto siamo stati fra i primi a ripiantare questo vitigno, prima da utilizzare per la spumantizzazione e poi come vino fermo, in purezza. E’ un vino che mi emoziona, molto versatile visto che si può vinificare in diversi modi.

La cantina di affinamento

Vi siete posti degli obiettivi? Avete dei sogni o progetti che vorreste raggiungere e realizzare?
Quando s’inizia un nuovo progetto, non si vede l’ora di completare tutto e cominciare a lavorare e produrre. Il traguardo più bello sarebbe la conferma dei risultati già raggiunti, magari avendo la sensazione di essere anche un po’ migliorati. Con l’azienda più grande che avevamo prima, qualche piccolo compromesso lo dovevamo accettare, cosa che adesso non accadrà, visti i numeri esigui, così da permetterci di lavorare sulle selezioni, con l’obiettivo della qualità assoluta e di prodotti di alto livello, nel rispetto delle nostre idee.

Quale pensi, potrebbe essere il miglior regalo che potreste fare a vostro padre Vittorio che starà certamente seguendo dall’alto il lavoro dei propri amati figli e cosa starà pensando in questo momento?
Devo essere sincero, quando ho pensato di non dedicarmi più a una nostra azienda, mi sognavo mio padre un po’ incazzato. Quando è iniziato il progetto di Villa Parens invece, in sogno, mi appariva felice e contento. Mi auguro che possa apprezzare che stiamo facendo un bel lavoro anche senza andare alla ricerca dei grandi numeri. Passando dalla grande alla piccola azienda, le problematiche sono diverse e noi sappiamo bene come muoverci in questo contesto.
Mio padre è stato un pioniere del territorio friulano, termine che è ancora di moda quando si parla di lui. Indubbiamente è stato un personaggio importante nel nostro panorama vitivinicolo e siamo felici di poter portare avanti il suo nome e le sue idee in questa nuova avventura.

Stefano Cergolj

Perito informatico ai tempi in cui Windows doveva essere ancora inventato e arcigno difensore a uomo, stile Claudio Gentile a Spagna 1982, deve abbandonare i suoi sogni di gloria sportiva a causa di Arrigo Sacchi e l’introduzione del gioco a zona a lui poco affine. Per smaltire la delusione si rifugia in un eremo fra i vigneti del Collio ed è lì che gli appare in visione Dionisio che lo indirizza sulla strada segnata da Bacco. Sommelier e degustatore è affascinato soprattutto dalle belle storie che si nascondono dietro ai tanti bravi produttori della sua regione, il Friuli Venezia Giulia, e nel 2009 entra a far parte della squadra di Lavinium. Ama follemente il mondo del vino che reputa un qualcosa di molto serio da vivere però sempre con un pizzico di leggerezza ed ironia. Il suo sogno nel cassetto è quello di degustare tutti i vini del mondo e, visto che il tempo a disposizione è sempre poco, sta pensando di convertirsi al buddismo e garantirsi così la reincarnazione, nella speranza che la sua anima non si trasferisca nel corpo di un astemio.

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