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L’anno che verrà in Friuli: intervista a Roberto Felluga

Roberto Felluga

L’anno che sta arrivando tra un anno passerà, cantava il grande Lucio Dalla, e se questa è una verità inconfutabile, è altrettanto vero che per il comparto vitivinicolo del Friuli Venezia Giulia il 2017 porterà qualche trasformazione che tutti quanti stiamo aspettando per verificare che benefici e novità riserverà ad aziende e consumatori. Purtroppo non sarà tre volte Natale, e nemmeno festa tutto il giorno, ma in ballo ci sono novità importanti come la nuova DOC Friuli, la DOC interregionale delle Venezie per il Pinot Grigio e nuovi ettari a disposizione per piantare le barbatelle di Glera e soddisfare i crescenti bisogni di Prosecco che sembra vivere una epopea senza limiti.
Per parlare di questi ed altri argomenti che interessano l’intera regione, ho fatto quattro chiacchiere con una delle figure più importanti e competenti del panorama vitivinicolo regionale, quinta generazione di una famiglia che rappresenta un punto di riferimento carismatico di quel territorio che si chiama Collio, dove si producono vini di eccellenza, conosciuti ed apprezzati in tutto il mondo.
Roberto Felluga oggi conduce con serietà e professionalità le due importanti aziende di famiglia, la Marco Felluga e la Russiz Superiore che grazie alle sue idee si sono mantenute sugli alti livelli raggiunti dal padre Marco, ponendo le basi a nuovi traguardi e successi.

Il 2017 sarà l’anno dell’arrivo sulle etichette delle nuova DOC FRIULI.
Grande entusiasmo da parte delle istituzioni e di parte del mondo vitivinicolo, ma anche qualche voce di disaccordo.
Le voci controcorrente affermano che, sebbene resti la possibilità di utilizzare le vecchie denominazioni, una DOC regionale che permette rese maggiori in vigna, rischia di creare un livellamento qualitativo verso il basso e confusione nel consumatore, a danno soprattutto di quei piccoli produttori che fanno della massima qualità e dell’artigianalità il loro modus operandi.
Cosa pensi della nascita di questa nuova DOC regionale, quali i suoi punti di forza e quali invece le debolezze?
Nella tua domanda ci sono già molte risposte. Fermo restando che le denominazioni storiche rimangono e continueranno a fare il loro lavoro come hanno sempre fatto, va rimarcato che a livello regionale ad oggi solo il 50% del vino è etichettato come DOC e di questo il 25% è Prosecco.
Senza voler fare polemiche, penso che le zone di collina hanno da sempre cercato di valorizzare il proprio territorio e la propria storia mentre altre zone hanno creduto poco nei propri mezzi e possibilità, e la frammentazione eccessiva non ha certo giocato a loro favore.
La nuova DOC Friuli può essere una opportunità e un’occasione di rilancio, sempre se si punta a lavorare mantenendo alti i livelli di qualità e non viene vista invece come una denominazione di ricaduta verso il basso, utile solo a fini commerciali.
Io guarderei in maniera positiva a una DOC Friuli forte che valorizzi la regione intera e che possa andare anche in sana competizione con il Collio, fermo restando che bisogna continuare a valorizzare le zone di collina che da sempre hanno puntato sulla qualità come unica via percorribile.
A mio parere per gestire il tutto diventa fondamentale che ci sia una regia competente e con le idee chiare, che coordini le varie attività e che segua una strategia comune in modo da andare tutti verso la stessa direzione.

L’ultima vendemmia di Tocai in Friuli è stata quella del 2008 perché dopo la diatriba con l’Ungheria siamo stati costretti a cambiare il nome in FRIULANO.
Sono stati impiegati cospicue risorse pubbliche per la promozione del nuovo nome ma i risultati, inutile negarlo, sono stati deficitari.
Non voglio sindacare sul fatto se la promozione sia stata all’altezza e se le notevoli risorse a disposizione utilizzate nel modo più produttivo, ma il dato di fatto è che nel nostro territorio gli ettari dedicati al Tocai Friulano sono sempre di meno.
Nonostante questa premessa leggermente plumbea, sono molte le aziende che producono ancora degli eccellenti vini Friulano, apprezzati anche al di fuori dei confini regionali, ma il merito è più della singola azienda che frutto di un progetto a largo raggio.
Sorge spontanea la domanda? Quale futuro all’orizzonte vedi per il Tocai Friulano?
Posso affermare senza ombra di dubbio che le risorse messe a disposizione per la promozione del marchio Friulano sono state perse e utilizzate molto male. Visto che la gestione di queste risorse pubbliche erano sotto la tutela dell’assessorato alla agricoltura, l’allora assessore regionale alle Risorse agricole Claudio Violino non ha operato, a mio parere, nella direzione giusta. I risultati negativi sono evidenti, e non solo è fallita la promozione del nuovo marchio, ma c’è stata anche una netta diminuzione degli ettari vitati a Tocai Friulano.
La Giunta che successivamente ha preso la guida della regione e la stessa Confagricoltura, di cui io sono presidente per la sezione vitivinicola, aveva chiesto il piano delle spese, richiesta mai soddisfatta. Inoltre le risorse avrebbero dovute essere messe a disposizione solo per la promozione del vino, mentre è risaputo che sono state utilizzate anche per altro.
Una brava amministrazione, constatato che il suo operato non stava dando risultati, avrebbe dovuto cambiare strategia e questo invece non è stato fatto. Oggi il risultato è che in pianura il Friulano è quasi scomparso per far posto al Prosecco e al Pinot Grigio. In collina invece, anche se le produzioni si sono ridotte, sta tornando ad essere un vino di un certo spessore e qualità, anche se in questa fase ha, commercialmente parlando, un mercato di sbocco nazionale e in parte europeo, mentre all’estero e specialmente negli Stati Uniti ha perso gran parte delle proprie quote di mercato.
Per cercare di tutelare un altro autoctono friulano, la Ribolla Gialla, mi sto battendo per toglierla dall’ IGT delle Venezie in modo che sia un’esclusiva del Friuli. La nuova DOC Friuli prevede solo la versione spumante. I produttori di pianura vorrebbero far passare la Ribolla da IGT a DOC Friuli, ma se già in collina con rese da 100 quintali ettaro bisogna lavorare in maniera certosina per ottenere buoni risultati, con rese da 180 quintali ettaro non penso si possa fare grandissima qualità, e questo non sarebbe positivo per il prestigio di un’autentica eccellenza friulana.

Nel 2017 fra Veneto e Friuli le bottiglie prodotte di PROSECCO saranno 500 milioni. Nella nostra regione si contano già 3750 vitati (circa 20% del totale) che con le nuove concessioni aumenteranno di altri 600 ettari.
Il successo è innegabile e sembra non volersi arrestare. Dal punto di vista economico nulla da eccepire.
Tu che non producendolo puoi essere imparziale nel tuo giudizio, pensi che per la nostra regione tutto questo sia un bene o volendo guardare con una visione a lungo termine, ci possono essere degli effetti collaterali negativi di ricaduta?
Quando tempo fa mi è stata fatta la domando sul Prosecco, la risposta è stata chiara.
Se si devono creare posti di lavoro e mettere a posto i bilanci delle aziende allora non posso che vedere positivo. Ma se si parla di valorizzazione del territorio e mantenimento delle nostre tradizioni regionali, allora la risposta non può che essere negativa.
L’augurio è che, nonostante il boom del Prosecco, nella nostra regione si continui a investire sulle DOC storiche e sulla DOC Friuli dando risalto alle nostre varietà autoctone.

Mongris Pinot Grigio delle Venezie Marco Felluga ti suona bene o preferisci il PINOT GRIGIO DELLE VENEZIE Russiz Superiore? A parte gli scherzi, cosa pensi della nuova DOC interregionale delle Venezie che accomunerà le produzioni di Friuli, Veneto e Trentino sotto un’unica bandiera, fermo restante la libertà di imbottigliare Pinot Grigio DOC Collio o DOC Friuli?
La DOC Pinot Grigio delle Venezie è una denominazione che a livello di mercato penso la nostra azienda non userà mai, pur essendo io membro del ATS (associazione temporanea di scopo) che ha lavorato per riunire 23 mila ettari di vigneti di Pinot Grigio nella denominazione di origine controllata “Delle Venezie”. Sicuramente la realizzazione di una DOC così estesa può aiutare ad avere un riconoscimento e visibilità maggiore a livello mondiale, anche se per caratteristiche territoriali e pedoclimatiche le zone sono molto diverse se si va dal Friuli e si arriva al Trentino.
Il mio augurio è che la nascita di questa DOC possa avere una valenza positiva per avere un controllo maggiore sulle produzioni e una regolamentazione che possa sostenere e valorizzare il Pinot Grigio.
Può essere quindi una importante occasione di rilancio ma sempre se si punta sulla qualità e non solo sui numeri. Con il passaggio da IGT a DOC il consumatore si troverà la denominazione delle Venezie e quella del Collio sullo stesso piano, ma con evidenti differenze per quello che concerne il livello qualitativo. A questo punto il consumatore potrebbe porsi l’interrogativo sul valore reale delle denominazioni, su cosa significa davvero bere un vino DOC che dovrebbe rappresentare un territorio con similari caratteristiche e livelli qualitativi elevati.
Volevo dire a questo riguardo, che per cercare di tutelare le nostre produzioni evitando inutili confusioni, è in fase avanzata il progetto del Collio di passare con la vendemmia del 2017 da DOC a DOCG.

In Friuli Venezia Giulia negli anni ottanta c’era una prevalenza di UVE A BACCA ROSSA. Negli ultimi 15 anni la situazione si è equilibrata fino ad arrivare ai giorni nostri con un 80% di vigneto Friuli vestito di bianco, con Prosecco e Pinot Grigio a farla da padrone.
Siamo quindi destinati ad essere una regione che punta tutto solo sui bianchi o pensi sia frutto di un cambiamento periodico che potrebbe avere in futuro una nuova inversione di tendenza, e soprattutto che ruolo possono ritagliarsi le tipologie rosse nella nostra regione?
Sicuramente, se ritorniamo indietro nel tempo, in passato c’erano più produzioni di rossi, ma la realtà è che da sempre abbiamo avuto maggior predisposizione a fare vini bianchi, grazie anche alle caratteristiche del territorio, vini che con il tempo sono diventati eccellenze apprezzate in tutto il mondo.
Mi auguro che la tradizione bianchista della nostra regione possa consolidare il suo prestigio. Ovviamente questo non significa che non abbiamo anche ottimi prodotti, che ci danno grosse soddisfazioni, anche nella versione in rosso, vini che è giusto comunque valorizzare senza però perdere di vista quella che deve essere la strada principale che la nostra regione deve seguire.
Senza voler fare polemiche, trovo però strano che di recente l’Agenzia regionale per lo sviluppo rurale e l’Ersa abbiano organizzato un evento con importatori e giornalisti esteri per promuovere gli autoctoni rossi (in accoppiata con i bianchi del Piemonte). A mio modesto parere ci sono altre priorità e altri vini da promuovere a livello internazionale. Se si vuole crescere come movimento deve esserci una regia attenta e perspicace che decida quale devono essere le peculiarità della nostra regione, altrimenti si rischia di vagare senza una meta precisa, sprecando utili risorse.

Una delle critiche maggiori che da sempre vengono fatte ai friulani, è la cronica incapacità di FARE SISTEMA. Prese singolarmente ci sono tante ottime aziende che però non riescono a fare quadrato e lavorare assieme verso la stessa direzione aumentando la visibilità e potenza d’urto anche fuori dai confini regionali.
Stai notando dei cambiamenti e miglioramenti a questo riguardo, e possono essere i giovani, menti fresche, orientate meglio verso i mezzi informatici e il social marketing, i propulsori di un nuovo modo di lavorare e comunicare?
Ultimamente i rapporti con i vicini Colli Orientali si sono intensificati, per trovare delle soluzioni e strategie su argomenti e problematiche che sono comuni. Il Collio molte volte è stato accusato dalle altre zone vitivinicole di erigersi a un livello superiore, ma la realtà è che la nostra politica è stata sempre quella di puntare sulla qualità ed oggi abbiamo più visibilità anche perché siamo partiti prima degli altri.
La qualità non è prerogativa delle colline del Collio, ma si può fare dappertutto se si seguono determinati parametri e si lavora con l’intento di privilegiare l’aspetto qualitativo a quello quantitativo.
Non devono esserci gelosie, perché se un marchio ha più visibilità può fare da traino e aiutare anche gli altri, e l’esempio di Montalcino e della Toscana ne è un valido esempio.
Secondo me da noi restano ancora presenti, in parte, antiche gelosie che portano a fare ostruzionismo nei confronti di chi ha più visibilità e successo. Parlando della nostra azienda, tempo fa si era cercato di creare un gruppo di lavoro con altre importanti realtà friulane, ma dopo i primi segnali incoraggianti, il tutto è andato scemando perché sono iniziati e venire alla luce interessi personali che non collimavano con quelli del gruppo.
Credo che sarebbe da portare avanti, assieme alla regione, un progetto di aggregazione che possa unire gli interessi del settore agricolo con quelli del turismo creando sinergie, idee e progetti comuni.
Il mio augurio è che le nuove generazioni riescano a superare questi ostacoli e si riesca a fare finalmente sistema per il bene della gente e dell’immagine del territorio.

Fra un jobs act e l’altro la disoccupazione giovanile resta comunque sempre altissima anche se si sta verificando un avvicinamento delle nuove generazione verso il settore dell’agricoltura.
Al giorno d’oggi consiglieresti a un giovane friulano di iniziare a LAVORARE nel settore della viticoltura, e soprattutto ci sono ancora delle possibilità per chi decide di partire da zero in questo settore?
Inutile negare che oggigiorno è molto più difficile creare e gestire un’impresa. Tante aziende importanti sono nate nel pieno del boom economico sviluppatosi sulle macerie della seconda guerra mondiale, e che ha visto l’Italia arrivare ai vertici come uno dei paesi maggiormente sviluppati.
Mentre un tempo produrre e vendere vino era monopolio quasi esclusivo di Francia e Italia, oggi ci sono tanti paesi che lo fanno con successo. Ci sono paesi emergenti come la Cina, ad esempio, diventato oramai primo produttore e primo consumatore di vino.
In Italia invece i consumi di vino sono drasticamente diminuiti fino ad arrivare sotto quota 40 litri pro-capite e questo certo non aiuta se si deve vendere nel mercato interno.
Penso però che per un giovane il ritorno al lavoro di campagna sia una cosa bella e positiva. Spero che nei giovani ci sia maggior consapevolezza su tematiche come sostenibilità e rispetto ambientale, argomenti importantissimi.
Nel 2050 saremo sulla terra in 9,5 miliardi di persone. Quest’anno a metà agosto la popolazione mondiale aveva già esaurito le risorse a disposizione. Stiamo aumentando i consumi senza poter permettercelo. Ecco perché credo sia importante tutelare l’ambiente e promuovere politiche di salvaguardia. Il destino altrimenti potrebbe essere segnato, se non per le generazioni attuali, sicuramente per quelle non troppo lontane dalla nostra.

Fra i vini che producete mi piace molto il vostro Sauvignon Russiz Superiore. Accidenti casualmente mi è venuta in mente un’altra domanda da farti.
Cosa ne pensi di tutto il trambusto che ha suscitato la “SAUVIGNON CONNECTION”, la presunta frode da parte di un gruppo di produttori vitivinicoli che si sarebbero affidati a dei prodotti capaci di esaltare gli odori e gli aromi dei loro vini. Ricordiamo per correttezza che questi preparati non sono nocivi alla salute, ma non previsti dal disciplinare di produzione dei vini DOC e quindi per questo infrangono le regole e la libera concorrenza.
Nel tuo caso specifico ha avuto delle ripercussioni di immagine e di mercato?
I titoli sui giornali e l’enfasi data non hanno fatto bene all’immagine della nostra regione, e non parlo solo del mondo del vino. In Friuli abbiamo sempre dato la visione di un popolo lavoratore e serio, e la gestione del terremoto del ‘76 e della successiva ricostruzione è solo uno dei tanti esempi positivi.
Probabilmente ci doveva essere più cautela e riguardo da parte della magistratura per indagini che si sono protratte per lungo tempo e hanno creato uno scandalo mediatico che doveva essere ancora provato e quindi fino a condanna definitiva ancora presunto. Questo ha messo in cattiva luce e in una situazione di pericolo molte aziende oltre a gettare un velo di discredito su tutto il movimento.
Ovviamente se ci fosse qualcuno che ha portato avanti pratiche non corrette, sarebbe giusto che venga sanzionato e condannato. Ma spero nella buona fede di tutti i produttori coinvolti e mi auguro che serva da insegnamento per tutti in modo che ci sia sempre un modus operandi lineare che segua attentamente le direttive dei disciplinari, altrimenti il cattivo operato di pochi rischia di colpire tutto il comparto. Fortunatamente sui mercati non abbiamo riscontrato ripercussioni a tal riguardo.
Voglio concludere rimarcando che i nostri territori non hanno la necessità di trovare soluzioni alternative ed espedienti non permessi. La natura ci ha concesso la grazia di poter ottenere ottimi risultati semplicemente lavorando in vigna in maniera corretta e naturale, e il Sauvignon è uno di quei vitigni che, specialmente fra le colline del Collio, riesce a dare risultati incredibili in termini di frutto, mineralità, sapidità, corpo e bagaglio aromatico.

Parliamo però un po’ di te e del tuo lavoro.
Il 2016 sta velocemente andando verso la conclusione. Che anno è stato per la vostra azienda e quali sono i PROGETTI e le eventuali novità per il 2017?
Il 2016 è stato un anno positivo sia per il mercato italiano che per quello estero. La vendemmia è stata ottima ed ha bissato, in termini qualitativi, quella del 2015. Le premesse e le prospettive per il 2017 sono anch’esse interessanti.
Per quanto riguarda i progetti, stiamo sempre più continuando a lavorare con vini non di ultima vendemmia, ma cercando di valorizzare le potenzialità di invecchiamento dei bianchi del Collio, che possono evolversi nel tempo al pari di quanto fanno i rossi. Ad esempio il prossimo anno usciremo con un Sauvignon Riserva del 2012.
Un altro importante progetto è il lavoro che stiamo portando avanti sulla sostenibilità e rispetto dell’ambiente, cercando in vigna di ridurre i trattamenti e in cantina di limitare al minimo l’uso della solforosa.

Quando si chiude un anno è tempo di BILANCI. Cosa vorresti mettere nel cassetto come una delle cose belle che ti sono successe nel 2016?
Una delle cose che mi riempiono di orgoglio e soddisfazione è che mia figlia Ilaria abbia iniziato a studiare, all’università di Udine, enologia. Ha scelto questa strada senza costrizioni o imposizioni, frutto solo di passione verso questo mondo che fa parte del nostro DNA famigliare.
Si sta appassionando sempre di più e mi ha chiesto di aiutarla a conoscere le diverse realtà aziendali. E’ l’inizio di un percorso che andrà avanti nel tempo e che dovrà riservarle anche esperienze diverse, magari all’estero. Quello che sembra certo è che il lavoro della sesta generazione dei Felluga è già iniziato.

Stefano Cergolj

Stefano Cergolj

Perito informatico ai tempi in cui Windows doveva essere ancora inventato e arcigno difensore a uomo, stile Claudio Gentile a Spagna 1982, deve abbandonare i suoi sogni di gloria sportiva a causa di Arrigo Sacchi e l’introduzione del gioco a zona a lui poco affine. Per smaltire la delusione si rifugia in un eremo fra i vigneti del Collio ed è lì che gli appare in visione Dionisio che lo indirizza sulla strada segnata da Bacco. Sommelier e degustatore è affascinato soprattutto dalle belle storie che si nascondono dietro ai tanti bravi produttori della sua regione, il Friuli Venezia Giulia, e nel 2009 entra a far parte della squadra di Lavinium. Ama follemente il mondo del vino che reputa un qualcosa di molto serio da vivere però sempre con un pizzico di leggerezza ed ironia. Il suo sogno nel cassetto è quello di degustare tutti i vini del mondo e, visto che il tempo a disposizione è sempre poco, sta pensando di convertirsi al buddismo e garantirsi così la reincarnazione, nella speranza che la sua anima non si trasferisca nel corpo di un astemio.

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